La riapertura delle scuole è uno degli argomenti più delicati e dibattuti dell’ultimo periodo pandemico: sono ormai mesi che si cerca un compromesso tra la didattica in presenza e la salute collettiva, senza però arrivare a soluzioni pienamente condivisibili.
Nella tarda serata di lunedì 4 gennaio 2021, il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto-legge nel quale si è deciso lo slittamento all’11 gennaio per la riapertura in presenza al 50% delle istituzioni scolastiche di secondo grado, con la ripresa, invece, dell’attività in DaD dal 7 gennaio. Nel frattempo, gli altri ordini di scuola hanno ricominciato regolarmente le lezioni in presenza dal 7 gennaio fatte salve particolari ordinanze regionali.
Ed è in questa discrezionalità che si collocano le incertezze delle regioni e le varie discrepanze tra le medesime. Sono solo tre, infatti, quelle che vorrebbero confermare l’orientamento del governo, ovvero: Abruzzo, Toscana e Valle d’Aosta; tutte le altre sembrano procedere in maniera del tutto disomogenea. Basti pensare al Veneto nel quale, secondo l’ultima ordinanza del Presidente Zaia, ci sarà un ritorno in presenza delle scuole superiori di secondo grado solo a partire dal 1 febbraio, o ancora al Lazio, alla Liguria, all’Emilia Romagna e all’Umbria che sembravano pronte per una riapertura delle scuole in linea con l’ordinanza governativa, ma che solo oggi hanno deciso far slittare ulteriormente la riapertura. Riguardo i due casi invece che avevano fatto maggiormente discutere negli ultimi giorni: in Calabria il TAR ha ammesso il ricorso per il ritorno a scuola degli studenti delle scuole elementari e medie, mentre in Puglia Emiliano precisa che «nessuno studente è obbligato ad andare a scuola». Insomma, sembra trovarsi di fronte ad una vera e propria Babele di opinioni, anche riguardo al mondo della scuola.
Qui è possibile consultare le ordinanze regione per regione aggiornate in tempo reale riguardo la riapertura delle scuole.
Molto critica nei confronti di questo lassismo del governo è la Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL, con il comunicato stampa uscito nella giornata odierna che riportiamo, in parte, di seguito:
«[…] Le scelte politiche sulla scuola sono entrate ormai nel tritacarne della crisi di governo e antepongono alle attività educative finalizzate crescita umana e culturale di bambine e bambini, ragazze e ragazzi, l’apertura di quasi tutte le attività economiche. […] La riapertura delle attività in presenza non è un orpello ideologico o un oggetto di scambio politico, ma il risultato di precise scelte politiche ed organizzative in primo luogo a livello nazionale. Le scelte sul rinvio dell’apertura delle attività didattiche erano e devono essere del governo. Non si può modificare ogni quattro giorni l’organizzazione didattica per ragioni di posizionamento politico. Per questo chiediamo che il governo, a fronte del fallimento delle misure che andavano adottate, si assuma la responsabilità del rinvio della riapertura delle attività didattiche in presenza. Si riporti il confronto a livello territoriale coinvolgendo le scuole. Si faccia chiarezza sui dati o si dica che non è possibile farlo. Si anticipi il rischio della terza ondata su infanzia e primaria rafforzando da subito i protocolli di sicurezza sottoscritti con i sindacati. Non si deleghi più nulla alle Regioni a causa dell’incapacità del governo a decidere. Il governo si concentri sui vaccini e sulla costruzione di dati veri sulla diffusione della pandemia nelle scuole, se vuole che le istituzioni scolastiche riaprano davvero […]». Qui il comunicato integrale.
Vi è dunque l’eccessivo regionalismo alla base delle divergenze tra governo e regioni sulla riapertura delle scuole: da una parte, come abbiamo avuto modo di constatare, ci sono le responsabilità di chi in questi mesi non è stato in grado di mettere in sicurezza la scuola per garantire il diritto allo studio e il diritto alla salute, adottando misure sterili e alquanto discutibili, come i banchi con le rotelle (la ministra Lucia Azzolina, in primis). Dall’altra i presidenti di Regione che vogliono egoisticamente tutelare loro stessi senza voler assumersi alcuna responsabilità in merito. All’interno di questo contrasto chi paga le conseguenze sono solo gli studenti che vedono il loro diritto allo studio leso in ogni suo aspetto: un eterno procrastinarsi del rientro in presenza, la DaD proposta inizialmente come strumento emergenziale e/o di supporto ma che sta normalizzandosi col passare del tempo, la difficoltà di molti nel seguire le lezioni a causa di connessioni alla rete scadenti, attrezzature non adeguate o mancanza di spazi all’interno della propria abitazione.
Si naviga a vista, insomma, senza sapere dove si sta andando e come lo si sta facendo. Quello di cui siamo certi è che un governo e una società che non si curano del proprio futuro anteponendo il funzionamento dei settori produttivi e la salvaguardia di determinati interessi economici ad un sicuro rientro a scuola, è una società destinata miseramente a fallire.
Nicolò Di Luccio