Di Francesco

Quella tra Eusebio Di Francesco e la Roma somiglia ad una di quelle intense storie d’amore finite troppo presto. Una di quelle storie dove, alla prima difficoltà emersa, i bei momenti trascorsi insieme vengono messi alle spalle troppo velocemente. A volte nel calcio, purtroppo, non esistono sentimenti, né riconoscenza verso il lavoro svolto, quando l’unica logica appare quella dei risultati, gli unici a guidare le scelte delle società e che in determinate circostanze rendono questo sport a dir poco spietato. Certo, la stagione corrente della Roma non sta mostrando una squadra che brilla in termini di gioco espresso e di numeri, e le ultime uscite dei giallorossi non hanno fatto altro che darci un’ulteriore conferma di tutto ciò. Il 7-1 contro la Fiorentina, la pesantissima sconfitta nel derby con la Lazio e la eliminazione dalla Champions ad opera di un avversario più che alla portata come il Porto non sono state digerite dal Presidente e da parte della tifoseria, che già da tempo invocavano un cambio in panchina. Ma la verità è che interrompere il percorso di un giovane allenatore che alla sua prima stagione sulla panchina di una big ha mostrato bel gioco confrontandosi con le grandi d’Europa ed ha ottenuto ottimi risultati finali (3° posto in Campionato e semifinale di Champions), appare quantomeno prematuro. Soprattutto se si pensa che quello attuale della Roma non è altro che un normale ed ordinario momento di flessione le cui cause non possono essere certamente ricondotte al lavoro dell’allenatore, che anche quest’anno, a fronte di cessioni importanti, ha saputo sorprenderci, ancora una volta. In effetti, è dai tempi del Sassuolo che Di Francesco è abituato a stupirci, quando con quegli undici ragazzini era in grado di esprimere un calcio rapido e intelligente, che spesso e volentieri metteva in difficoltà le grandi del campionato. Analogamente, la sua storia più recente alla Roma sarà, nonostante tutto, ricordata per le sorprese che ha saputo regalare ai tifosi.

Di Francesco

Lo scorso anno, a margine della sua presentazione come nuovo tecnico giallorosso, Di Francesco fu subito privato di pezzi pregiati come Salah e Rudiger, riuscendo comunque, al netto delle critiche e della sfiducia che duravano dal pre-campionato e che lo additavano come non adatto a guidare una big, a raggiungere un ottimo terzo posto in classifica dietro le imprendibili Juventus e Napoli. Un traguardo, quello del podio, quasi oscurato da quella che è stata la più sorprendente delle sue vittorie, che probabilmente sarà destinata a legare per sempre il suo nome alla società giallorossa: il 3-0 inflitto al Barcellona nei quarti di finale della scorsa edizione di Champions League, valso l’accesso alle semifinali che mancava dall’anno 1984. Una prestazione memorabile, dal sapore di impresa, che emozionò tutta l’Italia dello Sport e che, addirittura, stava per ripetersi una seconda volta nel match di ritorno contro il Liverpool, quando, tuttavia, gli Inglesi infransero nuovamente il sogno europeo giallorosso, come nel 1984.

Di Francesco

Quest’anno, a fronte di ulteriori cessioni di rilievo come quelle di Alisson e Nainggolan, Di Francesco è comunque riuscito a mantenere la squadra in piena corsa Champions; oggi, a fronte delle mille difficoltà, la Roma è appena dietro Inter e Milan e può ancora giocarsi l’accesso diretto alla prossima edizione della massima competizione europea. Ma soprattutto, il tecnico ex Sassuolo è riuscito, ancora una volta, a fare ciò che gli riesce meglio: valorizzare e lanciare giovani talenti. Nicolò Zaniolo era un oggetto misterioso che da semplice pedina di scambio con l’Inter nell’affare Nainggolan, d’un tratto si è ritrovato schierato negli 11 titolari al Santiago Bernabeu contro il Real Madrid e che da allora non ha smesso di stupirci con delle giocate degne di un talento che rappresenterà indubbiamente il futuro del calcio nostrano. Allo stesso tempo, il modo in cui i talenti dei giovani Pellegrini e Cristante sono stati valorizzati non è qualcosa alla portata di tutti gli allenatori: grazie al lavoro e alla fiducia del Di Fra, i due rappresentano ormai i jolly del centrocampo giallorosso e sembrano aver sviluppato doti da leader in campo.

Insomma, in un anno e mezzo caratterizzato da eccellenti cessioni e durante il quale avrebbero potuto, per tali motivi, avvicendarsi diversi allenatori sulla panchina giallorossa, Di Francesco è stato sempre lì al suo posto, in grado di sorprendere, inventare ed emozionare. Eppure, a fronte di alcuni, pur discutibili, risultati la sua testa è stata consegnata al popolo per giustificare il momento no di una squadra comunque ancora in corsa per il principale obiettivo stagionale. Il tutto per via di un calcio di rigore ingenuamente regalato agli avversari di turno e che, se fosse stato seguito da un altro calcio di rigore, questa volta a favore, avrebbe verosimilmente scacciato via lo spettro di qualsiasi esonero. Ecco perché il calcio, unitamente alle logiche societarie di profitto, può in alcune situazioni essere veramente spietato: nel caso della Roma si è fatto presto ad individuare nell’allenatore che ha ridato alla squadra la dimensione europea che mancava da anni il capro espiatorio dei risultati negativi; a volte basterebbe la fiducia, la riconoscenza di società e tifosi e, perché no, qualche buon intervento sul mercato per dare la svolta alle crisi di risulati. Ma si sa, tifosi e società, specie in piazze difficili come Roma, hanno la memoria corta e spesso nel coalizzarsi sminuiscono radicalmente il lavoro dei commissari tecnici.

A differenza del direttore sportivo Monchi, che ha deciso di lasciare insieme al tecnico cui era molto legato, probabilmente sarà già passato qualche anno quando il resto della dirigenza e i supporters giallorossi si renderanno conto che il cambio di allenatore è forse intervenuto in via prematura e poco riconoscente. Per queste ragioni, Eusebio Di Francesco, a tutti gli effetti uomo solo in un calcio spietato, può andare via con il sorriso e la convinzione di aver lasciato un ricordo importante nella Capitale.

Amedeo Polichetti

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