Lontano da occhi indiscreti comincia la storia del Gigante, icona del capoluogo emiliano. Come ogni grande progetto d’arte, anche il Nettuno affonda le proprie radici in un abbozzo troppo spesso ignorato. Siamo a pochi metri da Piazza Maggiore, nel Museo Civico Medievale, inaugurato nel 1984 all’interno delle sale di Palazzo Ghisilardi-Fava, simbolo del Rinascimento bolognese.
Tutto ha inizio dalla cacciata dei Bentivoglio nel 1506, condannati dall’opinione pubblica a causa della strage dei Marescotti, che favorì l’entrata in città di Giulio II: da quel momento Bologna verrà considerata la seconda città dello stato Pontificio.
Con il subentro della Chiesa negli affari politici interni, cambia l’assetto giuridico: si instaura un governo misto sorretto dal legato papale e dal Senato degli anziani; anche il fulcro cittadino necessita di una nuova disposizione, di una renovatio imperii che promuova e valorizzi la rinascenza governativa dell’urbis.
Negli anni ’60, il cardinale legato di Bologna Carlo Borromeo decide di restaurare la piazza per papa Pio IV, zio materno, avvalendosi del sostegno del vescovo Pier Donato Cesi. Il Nettuno vincente agli occhi del papa, durante il concorso indetto nel 1563, è quello dello scultore fiammingo Jean de Boulogne di Douai, comunemente noto come Giambologna. L’artista fa leva sulla simpatia di Pio IV per Michelangelo, presentando nel suo prototipo bronzeo un volto simile a quello del Mosè di San Pietro in Vincoli, che tuttavia non verrà realizzato nel progetto finale.
Da ponte per il nostro viaggio all’interno del Museo, tra cimeli e antiche reliquie, la Sala dei Bronzi con i migliori pezzi della collezione Cospi. Al centro, protagonista indiscusso, il Nettuno in bronzo di Giambologna realizzato con la tecnica di fusione a cera persa. Subito dietro il secondo bronzo dell’artista manierista, il Mercurio volante, progetto in fieri che il Cesi aveva richiesto per il cortile dell’Archiginnasio, sede dell’antica università di Bologna. Come a conclusione di un asse tendente alla perfezione scultorea, la sala del Museo ospita persino un autentico Bernini, Il busto di Gregorio XV Ludovisi (1621-23).
Lasciata la stanza dei bronzi, giunti in piazza, si aprono le porte del cantiere. Davanti a tale magnificenza le domande sorgono spontanee: perché la fontana come simbolo di un nuovo governo papale? E per la statua, perché la scelta cade su un tema iconografico da repertorio prettamente pagano?
La risposta sta nel messaggio che la nuova amministrazione vuole scalfire nell’immaginario collettivo: un buon governo che punta alla grandezza e alla ricchezza della sua città. La fontana del Nettuno è chiara rappresentanza del potere politico della Chiesa su Bologna. Come tematica, il dio del mare veniva normalmente associato al potere per due caratteristiche attribuitegli dal mito: la bonarietà e la saggezza. Viene rappresentato in una specifica posizione, tratta da un passo dell’Eneide virgiliana: l’epos vuole che Giunone, avversa al principe troiano, contrasti lo sbarco sulle sponde laziali con una tempesta. Nettuno, informato da Giove, si arma dunque per ristabilire l’equilibrio sotto la sua giurisdizione. Sceso dall’Olimpo con il suo carro trainato da tritoni, alza la mano contro il vento e infilza le acque con il tridente, placando il maremoto.
È il potere politico che scende dal trono e porta ricchezza e fertilità; concetto ribadito dalle sirene che si toccano i seni e dalla presenza dei quattro fiumi (Nilo, Danubio, Rio de la Plata e Gange). Nell’aria bisogna imprimere l’idea di cambiamento, non a caso vengono rappresentati i puttini con le teste dei venti. È un governo generoso ma intoccabile, che non guarda la piazza, che non abbraccia il volgo ma fissa dritto con fierezza davanti a sé. Cesi porrà attorno alla fontana, progettata dall’architetto siculo Tommaso Laureti, una balaustra in ferro (rimossa nel 1888) cosicché il popolo possa usufruire dell’acqua per lavare le verzure e per il beveraggio dei cavalli solo da una seconda fontana, situata nella vicina piazza de’ Pollaroli (oggi in via Ugo Bassi). La fontana del potere, realizzata con marmo rosso di Verona e pietra bianca di Istria, porta come stemmi quelli del cardinale Borromeo, del vescovo Cesi, del Senato e del papa Pio IV; quest’ultimo era originariamente montato verso la piazza ma dopo l’Unità di Italia a padroneggiare su Piazza Grande sarà quello del Senato. Il complesso architettonico, inaugurato nel giorno di San Floriano del 1567, segna il punto di intersezione tra l’antico cardo maximus e il decumano, all’epoca via Emilia (attualmente via Rizzoli – via Ugo Bassi).
I lavori di restauro, iniziati il primo luglio 2016 e aperti al pubblico dal successivo 26 luglio, sono volti a recuperare il decorso del tempo e a valutare gli eventuali danni al fine di decidere le modalità di intervento, che potrebbero portare alla discussa applicazione di patine oleose atte alla conservazione. Il progetto proporrebbe anche il coraggioso ripristino di alcuni dei zampilli originari, mai stati del tutto funzionanti fin dalle origini. Cosa ne sarà del Gigante non è dato sapere, fino a quando, conclusi i lavori, uscirà a riveder le stelle.
Un doveroso ringraziamento va alla guida esperta che ha pilotato questo appassionato tour nella storia, Paolo Cova, storico dell’arte dei Musei Civici di Bologna.
Pamela Valerio