“Ragazzi di Vita” di Pier Paolo Pasolini è a teatro dal 2016: la regia dello spettacolo è a cura di Massimo Popolizio, la drammaturgia è di Emanuele Trevi e nella compagnia spicca il nome di Lino Guanciale, insieme a Sonia Barbadoro, Giampiero Cicciò, Roberta Crivelli, Flavio Francucci, Francesco Giordano, Lorenzo Grilli, Michele Lisi, Pietro Masotti, Paolo Minnielli, Alberto Onofrietti, Lorenzo Parrotto, Cristina Pelliccia, Silvia Pernarella, Elena Polic Greco, Francesco Santagada, Stefano Scialanga, Josafat Vagni e Andrea Volpetti.
Si tende a prendere posto in sala indossando almeno un sottile velo di scetticismo, perché “Pasolini è Pasolini” e chi meglio di lui potrebbe davvero essere in grado di raccontare le sue storie?
Eppure a volte l’ingenuità dello spettatore è quella che gode di più di uno spettacolo teatrale e fa piacere quando è proprio a quella che il regista e il drammaturgo vogliono parlare.
La semplicità con cui Popolizio mette in scena un romanzo del 1955, il primo romanzo di Pasolini, all’inizio spaventa e poi invece sorprende.
Spaventa perché quando si parla di miti dello scenario culturale italiano o internazionale, si ha il timore che non gli si dia un’adeguata imponenza, che qualsiasi libertà creativa debba essere in qualche modo sottomessa a quelle che sarebbero state le volontà originali dell’autore. Si teme perfino che la critica o lo spettatore medio interpretino un tentativo di vivere l’arte come un tentativo di uccidere l’arte.
Sorprende, invece, perché quando ci si trova lì e si è spettatori, si ha la sensazione che sia proprio quella semplicità che si stava cercando, la stessa che ha permesso alla narrazione di trasportarci fino alla scena finale senza che ce ne accorgessimo, e che sì, “Pasolini è Pasolini“, ma che la sua intoccabilità è un mito. Pasolini voleva essere raccontato senza limitazioni settarie o dettate da una élite culturale.
Ragazzi di Vita è uno spettacolo che sa intrattenere e trattenere, che cattura sin da subito con quella scenografia spoglia e con l’entrata prepotente del narratore, Lino Guanciale, che in camicia bianca ha la pretesa di raccontarci la storia di quei “disgraziati” ragazzi di Roma vestiti di sole mutande e della loro sopravvivenza a volte comica, a volte malinconica.
È uno spettacolo talmente curato nei movimenti scenici da far sembrare gli attori dei danzatori. Talmente incalzante, da permettere allo spettatore di immedesimarsi senza fare fatica, da far venire voglia di salire sul palco e radunarsi attorno ai protagonisti, di far domande al narratore, che pur essendo quasi sempre in scena, è una presenza che non disturba anzi, alla fine la si cerca.
La narrazione in terza persona, il più delle volte utilizzata anche dagli stessi protagonisti, si alterna a pochi dialoghi diretti e in qualche modo diverte, paradossalmente aiuta a tenere il filo e accompagna lo spettatore nel suo tentativo di immedesimazione.
È tutto semplice e allo stesso tempo complesso, di una complessità fine, criptata dalla bravura degli attori che tornano in scena, sempre gli stessi ma quasi mai uguali e che sembrano in qualche modo sfidarci: “Indovina chi sarò dopo“, paiono dire agli spettatori.
Ragazzi di Vita permette di uscire dalla sala teatrale senza avere il timore di ammettere di essersi divertiti, di dire che quel Pasolini-non-diretto-da-Pasolini funziona e piace.
Popolizio e i suoi attori parlano agli spettatori in modo diretto e lineare e non fanno sentire la mancanza della funzione catartica della rappresentazione. Il romanesco biascicato, la compostezza nascosta dei movimenti, i vestiti e gli oggetti di scena apparentemente minimali sono elementi che percepiamo come poveri, eppure sono frutto di una complicata macchinazione: non è forse anche questo il teatro?
Non necessariamente una ricerca esasperata di elevatezza, non per forza l’intoccabilità della citazione più aulica, quanto più la capacità di celare la complessità di una narrazione rendendola perfettamente fruibile.
Per informazioni sulle prossime date della tournée: teatrodiroma.net
Ludovica Grimaldi