Prima di lanciarsi in qualsiasi tipo di analisi legata all’incidenza dell’arrivo di Ancelotti sul gioco e sui risultati del Napoli, bisogna partire da una premessa: il 2-0 incassato nella serata di ieri all’Emirates Stadium al cospetto dell’Arsenal di Emery rimane un risultato ribaltabile, specie in una cornice di pubblico come quella del San Paolo, capace di far sentire il proprio calore soprattutto (anzi, visto il calo di spettatori registratosi quest’anno, verrebbe da dire soltanto) nelle grandi occasioni. Insomma, l’Europa League è un obiettivo stagionale del club partenopeo ancora raggiungibile.
Tuttavia, il modo in cui gli azzurri sono usciti sconfitti dalla gara di andata dei quarti di finale impone una riflessione sulle reali capacità del gruppo di affrontare le competizioni nel contesto europeo con la giusta determinazione. I protagonisti di ieri hanno parlato di mancanza di coraggio, una opinione condivisibile, se si guarda all’approccio con il quale gli uomini di Ancelotti sono scesi in campo: impauriti, in balìa dell’avversario, incapaci di reagire ai colpi subiti. Di certo non l’atteggiamento giusto quando ti pervade la consapevolezza di star giocando quella che può tranquillamente essere definita come la partita più importante della stagione, considerando che il Napoli ha abbandonato il sogno scudetto ormai da mesi di fronte ad una Juve irraggiungibile e che, dopo la prematura e deludente eliminazione dalla Coppa Italia a fine gennaio, la società ha concentrato tutte le sue forze sull’unica Coppa che appare come l’àncora di salvataggio di una annata sicuramente da dimenticare.
E più che l’atteggiamento e le prestazioni, sono i numeri che portano a questa conclusione. Vero è che la Juventus, ormai prossima alla celebrazione dell’ottavo titolo consecutivo, mai come quest’anno ha avuto un passo in più rispetto agli avversari ed ha verosimilmente chiuso il discorso campionato da un bel pezzo; senonché, gli azzurri hanno diversi punti in meno rispetto agli scorsi anni ed Ancelotti rischia di chiudere la stagione in maniera nettamente negativa se confrontata con i numeri raccolti da Sarri. Già, Ancelotti, proprio lui, l’uomo con il quale il Napoli avrebbe dovuto fare il tanto atteso salto di qualità e che, invece, si trova tuttora (saldamente) secondo in classifica, anche se esclusivamente a causa dei continui inciampi delle inseguitrici, che nell’ambito della loro lotta Champions non fanno altro che perdere continuamente punti per strada, rendendo il distacco con la Juventus immane ed, allo stesso tempo, imbarazzante.
La verità è che il promesso salto di qualità non è arrivato. O meglio, a voler essere ottimisti per la gara di ritorno e per il proficuo prosieguo della competizione, non è ancora arrivato. Il Napoli di ieri sera è stato un po’ lo specchio di quella squadra che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni: un gruppo dalle enormi potenzialità, ma con un evidente problema di mentalità che emerge in maniera particolare nelle sfide decisive. E se, finora, nemmeno un tecnico che di gare decisive in campo europeo se ne intende qualcosa è riuscito a risolvere l’annoso problema che da anni tormenta gli azzurri, vuol dire che quel salto di qualità dovrà ancora attendere prima di potersi manifestare nella sua pienezza. Lo stesso Ancelotti, nelle scorse settimane, una promessa sembra averla fatta, alludendo ad un promettente nuovo ciclo fatto di successi e di soddisfazioni ed alla imminente fine del dominio bianconero in Italia. Ma è chiaro che il richiamato new deal ancelottiano non potrà verificarsi attraverso prestazioni come quella offerta ieri a Londra, nemmeno nell’ipotesi di una Juventus fuori dai giochi, perché il Napoli cui stiamo assistendo nelle ultime uscite (trasferta di Roma a parte) è una squadra alla portata di tutte le sue inseguitrici in campionato.
Eppure, ciò che lascia perplessi di fronte all’inerzia mostrata ieri di fronte ai colpi di un pur ben organizzato Arsenal, è che, al di là di tutto, il Napoli aveva e continua ad avere tutte le carte in regola per poter arrivare fino in fondo in questa competizione. La rosa e le potenzialità degli azzurri non sono di certo inferiori a quelle della diretta rivale e di quelle delle concorrenti impegnate negli altri scontri. Casualmente, lo stesso si sosteneva qualche anno fa, nel corso dell’edizione di Europa League 2014/2015, quando il Napoli non fu in grado di sbarazzarsi di un abbordabilissimo Dnipro, rinunciando con troppa facilità al sogno finale che, anche in quel caso, avrebbe raddrizzato la stagione sfortunata, ma pur sempre negativa, di Rafa Benitez. E allora possiamo dire con certezza che quella del Napoli sembra essere a tutti gli effetti una paura da palcoscenico, un timore e una mancanza di coraggio che si manifestano quando le partite importanti assumono un peso eccessivo che diventa insostenibile e che finora ha spezzato tutti i sogni di vittoria partenopei sia in Italia che in Europa.
L’ingaggio di Ancelotti doveva mettere fine a tutto ciò e ridare consapevolezza, fiducia e carisma ad una squadra che insegue da troppi anni un trionfo tanto da esserne tormentata. Ma i numeri, i risultati e le prestazioni dicono che, ad oggi, l’obiettivo non è stato raggiunto ed, anzi, appare lontano. La speranza è che, nel giro di una settimana, questa distanza dall’obiettivo possa ridursi in maniera tale da allontanare lo spettro di una stagione fallimentare.
Amedeo Polichetti
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