Vesperbild è un viaggio, storico, artistico e culturale, nel quale oggi cercheremo di addentrarci. “Vesperbild: alle origini delle pietà di Michelangelo” è frutto di un lavoro attento, duro e meticoloso, che inizia nel 2013, per mano di un equipe professionale e affiatata composta da: Antonio Mazzotta (Università degli Studi di Milano), Claudio Salsi (Direttore Area Soprintendenza Castello, Musei Archeologici e Museo Storici del Comune di Milano), in collaborazione con Agostino Allegri (Università degli Studi di Milano) e Giovanna Mori (Conservatore Responsabile Museo della Pietà Rondanini). Con il contributo di opere di grandi artisti italiani come Giovanni Bellini, Carpaccio, Perugino e di importanti prestiti di istituzioni internazionali e nazionali come il Musée du Louvre, il British Museum, Victoria and Albert Museum, la Liebieghaus di Francoforte sul Meno, la Biblioteca Trivulziana e il Museo Poldi Pezzoli di Milano, la mostra appare come un vero e proprio viaggio nel tempo e nello spazio.
“Vesperbild: alle origini delle pietà di Michelangelo” apre il 13 ottobre 2018 e resterà accessibile fino 13 gennaio 2019, presso le Sale dell’Antico Ospedale Spagnolo del Castello Sforzesco di Milano.
Vesperbild: un titolo «insolito»
Come cita Claudio Salsi (Direttore Area Soprintendeza Castello, Musei Archeologici e Musei Storici del Comune di Milano) all’inizio della conferenza stampa, il titolo “Vesperbild. Alle origini delle pietà di Michelangelo” suona «un po’ insolito». Ma tutto ciò non è casuale, ma fortemente motivato. La scelta ricaduta sulla selezione del termine tedesco «Vesperbild», che nasconde una motivazione prettamente didascalica. L’obiettivo è quello di diffondere il significato di questa parola poca conosciuta ma che, inconsapevolmente, tocca da vicino le due culture, quella italiana e quella germanica. Vesperdbild significa letteralmente «immagine del Vespro» e rievoca il momento in cui il corpo di Cristo, deposto dalla croce, è in attesa di sepoltura. Durante il corso del ‘400, questa pratica di tipo devozionale si sviluppa soprattutto nelle regioni della Valle del Reno, in Germania. In Italia, invece, l’elaborazione dell’ immagine della Pietà assume linguaggi differenti e personalizzati. Sicuramente Michelangelo Buonarroti, in ambito italiano, è la figura che ne incarna meglio il contenuto, privandolo del suo senso totalmente religioso, e conferendole un senso universale. Il momento Vesperbild viene ricordato anche come momento in cui «il Cristo viene cullato dalla Vergine», oppure «Il pianto di Maria», per rimarcare da un lato la tenerezza e, dall’altro, il dolore della Madre.
Nel vivo della mostra
Il percorso espositivo della mostra, progettato da Andrea Perin, è articolato in tre sezioni: «La Pietà nasce in Germania», «La Pietà diventa italiana», «Verso Michelangelo». La tripartizione, pensata e creata con una logica precisa, evidenzia l’evoluzione del concetto di Pietas in due direzioni fondamentali: temporale e spaziale. A livello temporale, il range preso in considerazione va dal 1300 fino al termine del 1400. Mentre, a livello geografico, il viaggio artistico e culturale ha inizio nella Valle del Reno, in Germania, per poi giungere a Roma, in Italia.
La Pietà nasce in Germania
La prima sala vede come protagoniste opere di artisti stranieri. I vari Vesperbild sono realizzati con materiali e linguaggi lontani da quelli tradizionali, del nostro immaginario comune. Questa sala serve ad introdurre l’argomento e a infrangere il comune pregiudizio che porta ad associare la Pietà solo alla famosa opera di Michelangelo.
La Pietà diventa italiana
Nella seconda sezione invece vengono mostrate le iconografie del Vesperbild in campo italiano. Dall’Umbria al Veneto, ogni artista si avvicina all’immagine del Cristo e della Vergine in modo particolare, con linguaggi e materiali personalizzati e differenti. Questo allestimento intermedio aiuta a sospendere il discorso.
Verso Michelangelo
L’ultima sezione invece ci prepara alla visione del calco della Pietà vaticana di Michelangelo. L’opera, realizzata tra il 1497-99, è frutto di una serie di ispirazioni ed innovazioni originali, suggerita sicuramente anche dal contesto bolognese, con il quale l’artista viene a contatto tra gli anni del 1494-95. A Bologna Michelangelo ha la possibilità di studiare opere di artisti italiani da lui fortemente ammirati. Questi anni risulteranno quindi molto utili per l’artista, in cerca dell’ispirazione finale per il suo capolavoro: la Pietà vaticana. In mostra troviamo un calco di ottima qualità che segna la fine di un percorso storico e di ricerca, iniziato nel 1300.
La struttura del percorso, tanto semplice quanto peculiare, segue il concetto di «Cannocchiale ottico». Dall’inizio della mostra e dall’ingresso di ogni sezione, è infatti sempre possibile vedere la Pietà vaticana. Tale scelta voluta e ragionata dai curatori della mostra, serve a rimarcare l’onnipresenza del capolavoro di Michelangelo, che guarda e vige su tutte le altre opere. La Pietà vaticana risulta quindi diventare una sorta di «fantasma onnipresente», che aleggia alle spalle di tutte le altre Vesperbild.
Il paradosso
Il Paradosso finale è che la Pietà vaticana diventa un simbolo d’arte classica. Nell’immaginario comune, la parola Pietà rievoca principalmente il capolavoro di Michelangelo, mentre in realtà il percorso espositivo ci delucida riguardo a questa tematica, mettendo in evidenza di come le prerogative, di tutti i Vesperbild, nascano in una cultura anti-classica. Michelangelo, con il suo talento indiscusso, diventa protagonista del Rinascimento e della storia dell’arte italiana, superando gli antichi e cercando di dare un’interpretazione del tutto personale all’iconografia. La sintesi perfetta che crea è una composizione conviviale di amore e dolore, di tragicità e tenerezza, che entrano in sintonia nel momento nero della morte.
Il viaggio all’interno del paradosso procede idealmente e concettualmente negli spazi espositivi adiacenti alla mostra, nei quali troviamo il museo dedicato alla Pietà più matura e anziana del maestro: la Pietà Rondanini. Il rimando a tale opera era inevitabile, poiché funzionale al recupero dei modelli dei primi Vesperbilder tedeschi e demarca la volontà dell’artista di ritornare alle origini. Come ricorda l’Assessore alla Cultura del Comune di Milano, Filippo del Corno: «Questo è un viaggio nel tempo dell’arte per scoprire l’evoluzione di un tema iconico, la cui sintesi più celebre è rappresentata dall’opera di Michelangelo che trova, successivamente con la Pietà Rondanini, un esito estremo di un articolato percorso interpretativo».
Il viaggio allora potrebbe davvero terminare qui, in un chiaro e conciso ritorno all’espressività antica che, come è ben noto, ha ispirato, cresciuto e mai abbandonato il grande maestro Michelangelo.
«Vesperbild: alle origini delle Pietà di Michelangelo» è da vedere, vivere e immergervisi, senza avere la paura di essere abbandonati.
Marta Barbera