shutdown usa
Fonte: The New York Times

Shutdown è una parola semplice (possiamo tradurla con “spegnimento”), tuttavia racchiude in sé un concetto problematico e poco comprensibile per un cittadino italiano, immerso in una realtà garantista dove la Costituzione mette molti paletti a tutela dei lavoratori della pubblica amministrazione e del settore privato. Negli USA le cose sono un po’ diverse.

Cos’è lo Shutdown?

Lo shutdown non è nient’altro che la sospensione di tutte le attività (o anche solo di alcune) della pubblica amministrazione quando il Presidente degli Stati Uniti e il Congresso (parlamento degli USA) non trovano un accordo su questioni ritenute importanti o vitali da parte del Capo dello Stato.

Questa procedura è stata introdotta dall’Antideficiency Act che trova legittimità costituzionale nell’articolo 1 (sezione 9), che lega strettamente le spese pubbliche agli stanziamenti previsti dalla legge. Il Congresso statunitense ha il compito di gestire il bilancio dello Stato e approvare i programmi di spesa delle attività della pubblica amministrazione. Nel caso in cui il Congresso (composto da Senato e Camera dei Rappresentanti) non approvi la legge di rifinanziamento proposta dall’esecutivo, le attività della pubblica amministrazione vengono ridotte al minimo. La situazione di stallo si risolve quando il parlamento approva la nuova legge di rifinanziamento.

Conseguenze nella pubblica amministrazione USA

Le conseguenze di questo spegnimento agli occhi di un cittadino italiano possono sembrare assurde. A far le spese di questo stallo tra Presidente e Parlamento infatti sono proprio gli addetti ai lavori della pubblica amministrazione. Questi ultimi, nel momento in cui viene messo in pratica lo shutdown, vengono momentaneamente sospesi dai loro compiti abituali e inoltre, per tutto il periodo dello stallo, non ricevono compensi in denaro essendo sospesi anche i pagamenti. 

Le uniche attività che solitamente rimangono in piedi durante lo shutdown sono: assistenza sanitaria, servizi metereologici, riscossione di tasse, servizi di difesa militare e civile e il controllo del traffico aereo. Naturalmente, alla fine di questo periodo, tutto riprende secondo la consuetudine.

Il ricorso allo shutdown nel corso del tempo

Nel sistema americano si è ricorso con frequenza allo shutdown sia da parte del Partito Democratico sia da parte di quello Repubblicano. La legge ha origini non proprio recenti: questo sistema (quello dello spegnimento) è previsto sin dal 1870 e dal 1982 ha assunto i caratteri odierni.

Dal 1976 (allora il Presidente era Gerald Ford) ad oggi questa procedura è stata applicata ben 21 volte. La più recente, esclusa l’ultima di Donald J. Trump, è stata quella di Barak Obama. L’ex Presidente USA ricorse allo shutdown, durato ben 17 giorni, per ottenere dal Congresso il finanziamento per l’Obamacare. Il record lo detiene Bill Clinton, presidente dal 1993 al 2001, con un durata complessiva di 21 giorni.

L’ultimo Presidente americano, Donald J. Trump, è ricorso allo spegnimento già tre volte, tutte di breve durata, ma quest’ultima sembra essere più seria e duratura.

L’ultimo shutdown dell’amministrazione Trump

Lo stallo questa volta nasce per una tematica che sta particolarmente a cuore al Tycoon: Donald J. Trump ha incentrato la campagna elettorale sulla necessità di rendere gli Stati Uniti una nazione più sicura e il primo punto per far sì che ciò avvenisse era rappresentato dall’edificazione di un muro che separasse gli USA dal confinante Messico. Ciò per evitare, come sostiene Trump, che insieme ai migranti messicani giungessero nel Paese anche criminali incalliti e terroristi internazionali.

Per innalzare questo muro il Presidente statunitense necessita di 5 miliardi di dollari.

Il controllo sullo stanziamento dei fondi, come abbiamo visto in precedenza, spetta al Congresso, che in questa occasione è diviso più che mai: il Partito Repubblicano di Trump ha la maggioranza in Senato (dove quindi il progetto ha più possibilità di essere attuato), ma i Repubblicani sono in minoranza alla Camera dei Rappresentanti (qui sono i Democratici ad avere la maggioranza, ossia coloro che si oppongono alla politica discriminatoria del Presidente).

Ed ecco che nasce lo stallo: in virtù dei contrasti tra i parlamentari democratici, che bloccano il progetto di rifinanziamento, e il presidente Trump, che spinge invece per ottenere i fondi, 800.000 lavoratori sono a casa con lo stipendio sospeso dal 22 dicembre scorso (giorno del mancato accordo Congresso-Presidente).

Donald Trump sembra non voler cedere, minacciando incombenti disastri per l’economia americana: il Tycoon prepara la dichiarazione dell’emergenza nazionale, mossa che dice di avere in serbo e di essere legittimato a fare. In questo modo avrebbe tutti i fondi necessari (gravando sempre sul bilancio dello Stato ma aggirando il Congresso) per innalzare il suo muro. In caso di prolungato shutdown, inoltre, minaccia di non presentarsi al World Economic Forum dove la sua presenza, in questo importante summit, sarebbe invece più che gradita dato il momento attraversato dall’economia globale.

Altrettanto ferree sono le posizioni dei Democratici che non voglio appoggiare la politica della Casa Bianca, per cui lo stallo è destinato a protrarsi.

Intanto gli esperti immaginano cosa accadrà quando Congresso e Presidente troveranno una soluzione: nel caso di vittoria di Trump, quest’ultimo realizzerebbe una parte importante del programma presentato in campagna elettorale. Una seconda cortina di ferro, questa volta tutta a stelle e strisce, calerebbe tra Stati Uniti e Messico separando economicamente e fisicamente il Nord ricco del continente con il Sud povero. Per gli elettori repubblicani questa sarebbe una vittoria e rafforzerebbe la posizione del loro candidato.

La maggioranza democratica del Congresso si batte per una soluzione completamente differente: non concedere il rifinanziamento della pubblica amministrazione per evitare l’innalzamento del muro. Nel caso di vittoria di questi ultimi, la presidenza Trump, dopo molte altre turbolente vicende, verrebbe ulteriormente screditata mettendo una seria ipoteca sulla rielezione del Presidente per un secondo mandato nel 2020.

Alessandro Leuci

5 Commenti

  1. Grazie, chiarissimo ed esaustivo per i curiosi ignoranti come me! ☺ E complimenti due volte, vista per la giovane età: è bello e dà speranza vedere ragazzi così motivati!

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