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Un proverbio giamaicano recita “If you are a big tree, we are a small axe”. E Bob Marley, nel brano omonimo che ha reso celebre l’espressione, aggiunge: “ready to cut you down”. Il regista britannico Steve McQueen non poteva scegliere titolo più adatto per la sua serie antologica di film sulla comunità nera caraibica nella Londra degli anni ‘70. Small Axe è il nome che aggrega cinque film sullo stesso tema (tutti diretti da McQueen e scritti assieme a Alastair Siddons e Courttia Newland) dedicati a storie particolari e realmente accadute, dal forte richiamo autobiografico (la madre di McQueen è di Trinidad, il padre di Grenada).
Cinque film che sono soprattutto cinque accettate alla radice di quell’enorme albero che potremmo chiamare con tanti nomi: razzismo sistemico, intolleranza, discriminazione, ingiustizia, abuso di potere. Come se non bastasse, Small axe è la dimostrazione che il cinema ha ancora tutto l’armamentario adatto per poter affrontare temi ancora all’ordine del giorno in maniera onnicomprensiva, senza delegare il tutto a una lunga serializzazione o abdicando a facili messaggi pedagogici ma creando epopee (come fu Heimat di Edgar Reitz) capaci di segnare la storia del piccolo e grande schermo.

Infatti se c’è un motivo per amare Small Axe è la maniera in cui McQueen condensa in questi cinque tasselli di un solo grande mosaico la sua idea di cinema che già avevamo imparato ad amare in pellicole giustamente celebrate e celeberrimi: da 12 anni schiavo (con la pioggia di premi, tra cui l’oscar a miglior film) a Hunger su Bobby Sands e la sua lotta in prigione, per arrivare alla dipendenza sessuale di Shame, sembra che nel cinema di McQueen l’idea di un potere che dispone con violenza dei corpi e delle idee su cui si abbatte sia una costante che parte dai piccoli gesti e deflagra in esplosioni di violenza inaudita. È un potere che reclama una dipendenza nei suoi confronti, e se vede venire meno questa pretesa reagisce spezzando le gambe e annullando l’individuo. Per farlo usa le armi a sua disposizione: polizia, aule di tribunale, istituti di detenzione (o scolastici) “speciali”, ghettizzazione. In Small Axe, però, vediamo anche in quale modo questo attrito è capace di strutturarsi in codici di resistenza e autonomia: ovvero la nascita – e la crescita – di una comunità che si salda come tale, con la creazione di un suo linguaggio, di una sua letteratura, una sua musica – insomma, di una sua esclusività. E di come questa comunità inizi a reclamare giustizia, praticando una resistenza sempre più consapevole di sé.

Mangrove, primo film della serie Small Axe.
Fonte immagine: https://i-d.vice.com/en_uk/article/4adwdd/mangrove-steve-mcqueen-review-racist-britain

Il primo film di Small Axe, “Mangrove”, è il nome di un ristorante aperto da Frank Crichlow a Notting Hill alla fine degli anni ‘60. Se il locale diventerà celebre anche per le persone famose che vi hanno transitato nei decenni (Jim Hendrix, Nina Simone, Bob Marley, Vanessa Redgrave tra i tanti) ciò che ha consegnato il suo nome alla storia è stato il riconoscimento giudiziario dei primi abusi della polizia dovuti a odio razziale: una polizia che cercò in tutti i modi di chiudere il locale accusando il proprietario e gli avventori di qualunque cosa, dalla vendita di stupefacenti alla prostituzione al gioco d’azzardo, quando in realtà il Mangrove era solo un ristorante di cucina tipica molto apprezzata. Dei cinque film è il più apertamente politico e forse l’unico che si lascia andare a dichiarazioni più eloquenti da parte dei personaggi sul piano retorico; ha senso, essendo ambientato per larga parte in un aula di tribunale dove osserviamo il processo ai Mangrove Nine: nove persone di colore processate per rivolta in seguito a una manifestazione di protesta per le violenze della polizia, nel 1970. Tra black panther e retate razziste concluse con pestaggi, è anche il film più lungo dei cinque: più di due ore in cui McQueen riesce a gestire una miriade di personaggi costruendo immagini potenti.

Il secondo film di Small Axe, Lovers Rock“, è anche il più sorprendente. una esperienza sensoriale inaspettata dopo la dura requisitoria di “Mangrove”.
Un blues party in una casa, una sera qualunque del 1980: solo tanta musica, brandelli di conversazione, volti e piccole storie qualunque che McQueen assembla magistralmente in un flusso di coscienza sinestetico, muovendo la macchina da presa sinuosamente, cogliendo sguardi, baci, molestie, fraintendimenti: tutto passa al vaglio della macchina da presa e diventa una composizione corale. In Lovers Rocksembra accadere tutto e niente“, come puntualizza Peter Bradshaw sul Guardian. In effetti è così, e il bello è questo. Quando partono le note di “Silly Games“, una decina di minuti estatici, forse siamo di fronte a una delle scene di cinema più belle degli ultimi anni. Una lunga epifania, ricostruita da un McQueen che da bambino queste feste le aveva viste davvero: anche se nel dormiveglia, sepolto e riscaldato da una montagna di cappotti a casa dei suoi zii.

da “Alex Wheatle”

Il terzo e il quarto film della serie Small Axe sono entrambi duri apprendistati: “Red, White and Blue” si concentra su Leroy Logan (interpretato da John Boyega), un giovanissimo ricercatore che in seguito al pestaggio di suo padre da parte della polizia – ancora una volta per motivazioni razziali – decide di partecipare al primo programma di reclutamento poliziesco dedicato alle minoranze. Diventerà uno dei primi poliziotti neri mettendosi contro la sua stessa famiglia, il suo quartiere (dove viene percepito come un traditore) e con colleghi di lavoro pronti a lasciarlo morire qualora si presenti l’occasione. Se fino ad ora avevamo vissuto le vicende di queste persone dall’interno della comunità e contro il sistema, con il terzo film di Small Axe seguiamo l’inserimento nel sistema da parte di un corpo estraneo che prova a cambiarlo dall’interno. Potremmo dire che in realtà il vero interesse di McQueen in questo caso è il rapporto padre-figlio, ritratto con grande delicatezza e sulle cui noti dolci-amare si chiude la vicenda.
Sempre una storia di mentori, padri e radici è il quarto film di Small Axe, “Alex Wheatle”, dove l’impianto letterario della vicenda è marcato: un ragazzo, imprigionato in seguito alle rivolte di Brixton del 1981, rievoca la sua vita al compagno di cella, dall’infanzia passata in istituti alla scoperta civile/politica del proprio ruolo nella società; Alex Wheatle diventerà in effetti uno scrittore di professione (da noi un paio di suoi romanzi sono arrivati tradotti dalla casa editrice Spartaco).

Small Axe
Education
Fonte immagine: https://www.frieze.com/article/steve-mcqueens-small-axe-stories-britain-needs-hear

E infine, “Education” chiude la serie di Small Axe: legato a un trascorso autobiografico del regista, è la storia di come una semplice dislessia possa essere sfruttata dal sistema scolastico per relegare un bambino, Kingsley, ai margini della società spedendolo in una scuola per bambini definiti subnormali così da impedirgli un’istruzione paritaria. C’è una sequenza allucinata che descrive alla perfezione il modo in cui McQueen riesce ancora una volta a parlare di biopolitica dei corpi e di prigioni, di violenze strutturali e annullamenti della personalità con intuizioni folgoranti: vediamo una sorta di insegnante che, per una sequenza lunga, ma lunga in modo intollerabile, intona in maniera disastrosa alla chitarra “The House of the Rising Sun”, mentre Kingsley dorme, altri disegnano uno scarabocchio, qualcuno è attento, altri sono alienati. È così assurdo ma anche così vero da lasciare un’impronta indelebile: sentiamo una sensazione di malessere eppure non c’è nessuna violenza visibile, nessuna aggressione verbale o psicologica evidente.
Il modo in cui questa serie di 5 film riesce, senza nessun collegamento narrativo stretto tra l’uno e l’altro, a dialogare tra le sue parti, a creare congiunture e ponti, è mirabile – grazie all’uso di un linguaggio universale che non lascia indifferenti.

Rilasciato dalla BBC nel Regno Unito a novembre 2020, e da Amazon PrimeVideo negli Stati Uniti pressapoco nello stesso periodo, per ora non sappiamo quando Small Axe arriverà in Italia e su quale piattaforma. Ma di una cosa bisogna essere sicuri: quando sarà disponibile anche da noi sarà un appuntamento da non perdere. Di grandissimo cinema.

Nicola Laurenza

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