“Satellite”, un salto nell'universo emotivo di Giuseppe Brogna
Fonte: Ufficio Stampa Sfera Cubica

Fluttuare sospesi nello spazio infinito, perdere la cognizione, nella consapevolezza che per ritrovarsi è opportuno lasciarsi andare: “Satellite”, fresca release di Giuseppe Brogna parla di assenza, invoca assenza. Il cantautore salentino, alla prima pubblicazione con l’etichetta bolognese Emic Entertainment, ha saputo nel suo ultimo singolo decifrare un codice, per sua natura soggettiva, non semplice da svelare: la gestione di una mancanza, esperienza universale che non risparmia, praticamente, nessuno.

Potrò mai essere invisibile

per poter essere ovunque sei?

Introvabile, nel tuo disordine,

il tuo satellite, ovunque sei.

Coltivare un rapporto interpersonale sano soddisfa l’esigenza, tipicamente umana, di trovare una base sicura dove attraccare in questo immenso ed incerto universo: in ogni legame profondo, ciascuno di noi ripone nell’altro minuscole particelle di sé, di cui l’altro si fa custode. Nel momento in cui la corda che tiene uniti due o più individui si spezza, si sperimenta un duplice dolore causato dalla perdita, assieme all’oggetto dell’amore – in qualunque forma esso si manifesti -, di parti interne, di conseguenza un impoverimento del proprio Io.

Arrivati a questo punto, è come se il soggetto dovesse compiere un itinerario a bordo di una navicella spaziale che segue, solo ed unicamente, la rotta delle emozioni più viscerali, al fine di recuperare i corpi solidi di sua appartenenza aggregatisi tra loro per andare a formare il pianeta che prima d’allora aveva condiviso con l’altra/e metà. Vista la miriade di elementi astronomici che si incapperanno lungo il tragitto, non sarà di certo un’impresa da poco mantenere l’orientamento: sono i satelliti a consentire il raccoglimento delle informazioni necessarie per non smarrirsi.

Per comprendere il background e il concept di “Satellite”, abbiamo deciso di farcelo raccontare direttamente da chi l’ha concepito. La nostra intervista a Giuseppe Brogna:

Ciao Giuseppe, grazie mille per averci concesso questa intervista. Se pensi a due instantanee della tua vita artistica, quali sono le visioni che spiccano nel fondo della tua memoria?

«Ciao amici di Libero Pensiero, grazie a tutti quanti! Tralasciando la mia carriera artistica nell’accezione più pura del termine, un ricordo che ritengo indelebile è il giorno in cui mio padre mi regalò una chitarra acustica di colore nero che, tuttora, conservo con meticolosità. Da quel momento a questa parte, sentii la musica come un qualcosa di cui non potevo fare a meno: è come se in me si fosse scattata una scintilla che mi ha fatto innamorare di quest’arte in tutte le sue mille sfaccettature. Arrivando a tempi più recenti, sicuramente la pubblicazione del mio primo EP “Ricordi” può, indubbiamente, considerarsi un traguardo di cui difficilmente ci si scorda: ripensando a quando imbracciai per la prima volta il mio strumento prediletto di passi ne ho compiuti!»

Arrivando al tuo singolo recentemente pubblicato “Satellite”, il contesto (il gigantesco Universo) in cui hai deciso di ambientare il metaforico viaggio del protagonista assume, a mio avviso, un ruolo preponderante: è come se volessi dare una dimensione di assoluto ad un sentimento spesso relegato all’interno di confini scioccamente imposti dalla ragione. Può essere una chiave di lettura? Quale significato si prefigge il brano?

«“Satellite” nasce come canzone d’amore, ma affronta anche tematiche quali la nostalgia, la malinconia e la speranza. Il brano parte da una riflessione in merito il percorso circolare interno di queste sensazioni: pensieri ricorrenti e desideri si agitano di continuo nel nostro animo, plasmandoci a loro piacimento. Il protagonista compie un giro intorno a sé stesso, senza prefiggersi alcuna meta: guidato dal suo cieco amore e dalla speranza che tutto possa ritornare ai fasti di un tempo ormai andato, cerca nel suo universo interiore – spazio immenso e prima d’allora inesplorato – sé stesso. Il buio e il satellite, rispettivamente, altro non sono che allegoria del vuoto sentimentale e di un qualcosa o, in alternativa, un qualcuno a cui aggrapparsi.»

La vita è transizione, la perdita il suo prezzo: la nostra esistenza è una sfilata di separazioni che non riguardano solamente il mondo esterno, ma anche noi stessi. Con quali modalità è possibile elaborare la sofferenza generata dal distacco e saggiare la forza interiore di cui si può essere capaci?

«Il distacco, così come il dolore ed altri spiacevoli inconvenienti che, volenti o nolenti, bisogna affrontare nell’arco della vita sono inevitabili e, per di più, favoriscono la nostra crescita spirituale. Dal mio punto di vista personale, tendo, per quanto possibile, a ragionare, a trovare un senso logico: il disordine può portarci ad impazzire, reperirne le cause può essere d’aiuto. In tal senso, “Satellite” è il miglior modo che ho concepito per dare un senso a tutti quegli attimi in cui ho patito l’abbandono, reazione naturale alla fine di un legame affettivo.»

Quanto la musica ti ha aiutato nel sopperire ad assenze importanti?

«Come già accennato, la musica rappresenta per me un porto sicuro nel quale ritrovarmi ogni qualvolta mi perdo e per perdermi quando sono troppo al sicuro. Razionalmente parlando, non può lenire i mali o risolvere le problematiche che ci affliggono; sicuramente può, però, essere d’ausilio per non lasciarci sopraffare dalla negatività: se assecondata a dovere consente di raggiungere livelli di concentrazione impensabili.»

Vincenzo Nicoletti

Vincenzo Nicoletti, classe '94. Cilentano d'origine, bresciano d'adozione. Oltre che per la scrittura, coltivo una smodata passione per i viaggi e per lo stare all'aria aperta. Divoratore onnivoro di libri e assiduo ascoltatore di musica sin dalla più tenera età.

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