Con sorriso e sguardo malizioso, Kikito guarda al di là della frontiera del Messico, sfidando le barriere, Trump e le leggi anti-immigrazione.
La denuncia di un intero popolo, quello messicano, nel viso candido di un bambino che dice addio alla speranza dell’attuazione del programma DACA (voluto nel 2012 dal governo di Obama e annullato poi da Trump) che avrebbe integrato i bambini messicani, immigrati negli Stati Uniti, fornendo loro permesso di soggiorno e di lavoro. Il programma, infatti, impediva l’espulsione di circa 800.000 giovani soprannominati “Dreamers”, in riferimento al celebre “American dream”, e dei quali Kikito è divenuto simbolo.
L’opera, provocatoria e potente nel suo immaginario, nasce dall’estro dell’artista parigino JR. Tutto comincia – come racconta l’artista – con un sogno, fatto qualche tempo prima, in cui un bambino guardava al di là dell’installazione metallica che divide la California americana da quella messicana per volere del governo Trump. JR decide quindi di mettersi in contatto con artisti di Tecate, città vicino Tijuana, per trovare il modo di realizzare l’opera sognata. Così, dopo che l’autorità americana gli ha proibito, come c’era da aspettarsi, di installare la gigantografia di un bambino che col suo sguardo potesse sfidare la politica trumpista, l’artista JR ha cercato un modo lecito ma astuto per portare a compimento ciò che aveva in mente. E ci è riuscito. Gabbando le autorità e leggi americane, ha chiesto ad una famiglia modesta e residente in prossimità del muro il permesso di impiantare sulla loro terra la fotografia che avrebbe da lì a poco scosso l’opinione pubblica americana. Concesso il benestare, il componente più piccolo della famiglia, Kikito, ha inoltre posato per JR, divenendo ben presto simbolo della lotta al razzismo, alla xenofobia e all’abbattimento delle frontiere.
La realizzazione dell’intero impianto ha richiesto 3 mesi di lavoro, e l’installazione è avvenuta solo dopo che Donald Trump aveva annullato il programma DACA, revocando quindi la protezione di 800 mila giovani messicani. Una coincidenza che ha del profetico, dato che né JR né altri erano a conoscenza dell’annullamento del programma.
Non è la prima volta che l’artista parigino si cimenta in opere di questo tipo. Stupirono i ritratti di palestinesi ed israeliani affissi sul muro di Gaza nel 2007. Un’opera da un forte impatto sociale e mediatico che ha fatto il giro del mondo in poche ore. Un collage di gigantografie di visi comuni, colti in momenti di spensieratezza e allegria, uniti, seppur idealmente, proprio da quel muro, causa di guerre senza fine. Quei visi per un attimo ci hanno fatto sperare in una pace possibile tra i due paesi, ci hanno fatto immaginare le terre di Israele e Palestina come luoghi di pace e non di guerra; ci hanno fatto pensare che la pace è in fondo un ideale semplice da realizzare.
Con la propria arte, innocuamente provocatoria ma assolutamente efficace nel suo intento, JR e la sua équipe cercano di lasciare un segno nelle coscienze di chi la osserva. L’artsita in persona, nelle sue interviste, spiega come le sue opere nascano dall’esigenza di spingere le persone a riflettere, a discutere di problemi che ci sembrano politicamente e socialmente lontani e che invece ci riguardano fortemente.
JR, sia con l’opera Face 2 Face sul muro di Gaza sia con la gigantografia di Kikito sulla barriera messicana, ci costringe a volgere lo sguardo lì dove non vogliamo, per comprendere che in fondo quel muro siamo noi e che gli occhi di Kikito sono anche i nostri. Il suo sguardo è volto a speranze attese e mai arrivate, alla paura di passare improvvisamente da uno stato di integrazione a uno di emarginazione e minoranza. Quell’immagine ci dice chiaramente che se può guardar un bimbo in faccia alla realtà, può farlo chiunque; ci costringe a domandarci cosa possa significare quel muro per noi e se si tratti di qualcosa di davvero così lontano. Quanti muri innalzati abusivamente nella nostra vita ci ritroviamo a dover abbattere e quante volte ‘tentiamo la fortuna’ altrove. Chi da piccolo non ha mai sognato di poter raggiungere le terre americane, dove tutto era possibile? Chi ancora non crede ad una forma di riscatto lontano dal ‘qui’? Siamo tutti un po’ emigranti perché tutti un po’ sognatori. Da un sogno è partita l’idea di JR e ai ‘Dreamers’ è rivolta l’opera. Che mondo è quel luogo in cui si mettono limiti ai sogni? Ed è un bambino a chiedercelo e a ricordarcelo. Bisognerebbe poi capire a cosa serva la globalizzazione digitale, il mercato libero se non si è pronti ad abbattere le vere barriere, quelle culturali e geografiche.
E mentre Kikito guarda dall’alto i suoi sogni andare in fumo tra le terre lontane d’America, noi tiriamo un sospiro di sollievo perché siamo dalla parte ‘giusta’ del muro, sperando segretamente di non ritrovarci un giorno, e per volere altrui, dalla parte ‘sbagliata’.
Agnese Cavallo