direttiva europea per contrastare la violenza di genere - reato di stupro
Fonte immagine: rtrfm.com.au

In Europa una donna su tre ha subito violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita. Ogni settimana, nell’Unione Europea, almeno due donne vengono uccise dal proprio partner o da un familiare, mentre il 32 per cento degli autori di molestie sessuali proviene dall’ambiente lavorativo della vittima. È questo il contesto in cui, l’8 marzo del 2022, ha visto la luce la direttiva europea per contrastare la violenza di genere. Proposta dalla Commissione europea e approvata dal Parlamento lo scorso giugno, la direttiva era ora al vaglio del Consiglio UE, che ha approvato un testo finale profondamente diverso rispetto alla bozza originale della direttiva.

Così come proposta dalla Commissione, quest’ultima definiva il reato di stupro come rapporto sessuale senza consenso, togliendo le vittime dalla condizione di dover necessariamente fornire prove di subita violenza, minaccia o costrizione. Una definizione che, dopo mesi di negoziati, è stata rifiutata da ben 14 Stati membri tra cui Bulgaria, Ungheria e Repubblica Ceca, ma anche – meno prevedibilmente – da Francia, Germania e Paesi Bassi. Se l’opposizione dei primi tre Paesi è motivata da ragioni ideologiche spesso riconducibili alla necessità di combattere la diffusione di una presunta ideologia gender, l’opposizione di Francia, Germania e Paesi Bassi non entra nel merito della direttiva europea per contrastare la violenza di genere, ma è motivata da ragioni tecniche. Come si legge sul sito di Euronews, infatti, la posizione di questi Paesi si basa su motivi puramente legali, che vedono il diritto penale di competenza esclusiva dei singoli Stati membri, ragione per la quale lo stupro deve poter essere perseguito solo a livello nazionale.

Non a caso, per bypassare il tema delle competenze giuridiche e includere lo stupro all’interno della direttiva, la Commissione aveva fatto riferimento al reato di sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, su cui l’Unione ha pieno diritto di legiferare visto che – tra le altre cose – tali reati sono spesso compiuti a livello transfrontaliero. Una strategia che purtroppo, però, non è riuscita a condurre al risultato sperato visto che il testo originario proposto dalla Commissione è stato modificato attraverso l’eliminazione dell’articolo 5 che, appunto, conteneva la controversa definizione di stupro. Per quanto paradossale possa sembrare parlare della criminalizzazione dello stupro come qualcosa di controverso, il pomo della discordia nasce in questo caso intorno al tema del consenso.

In molti Stati europei, infatti, lo stupro è punito solo quando è possibile dimostrare che ci sia stata una violenza, una minaccia o un abuso di autorità. Non basta, dunque, che lo stesso sia praticato in assenza di consenso. Una circostanza che risulta problematica sotto molteplici punti di vista. Anzitutto, infatti, queste leggi non riconoscono quelle forme di violenza, come gli stupri coniugali, che vengono consumate senza minacce esplicite, per non parlare del fatto che lo stato di shock in cui ragionevolmente può venire a trovarsi una vittima di stupro fa sì che essa non sempre riesca a reagire, indipendentemente dalla presenza o dalla gravità delle minacce perpetrate dal suo aggressore. Come se ciò non bastasse, poi, sono proprio le leggi che si basano sull’uso della forza che finiscono per alimentare il fenomeno della vittimizzazione secondaria. Quel fenomeno, cioè, che vuole la vittima parzialmente responsabile della violenza subita magari a causa di una mancata reazione. Eppure, una gran parte degli studi sulla violenza sessuale dimostra come quella dell’immobilità sia una condizione più che diffusa tra le donne che subiscono uno stupro, con circa il 70% delle vittime che riferisce di aver provato questa condizione di paralisi.

Al contrario, le leggi che si basano sul criterio del consenso – come quella approvata in Spagna, che ha avuto il merito di ispirare la direttiva europea per contrastare la violenza di genere – spostando l’attenzione dalla vittima al carnefice, aggirano questi ostacoli e allargano il campo della violenza sessuale a tutti quegli atti praticati in assenza di consenso da parte della persona offesa. Alcuni Stati sostengono che definire lo stupro come un atto sessuale non consensuale finirebbe in realtà per danneggiare chi lo denuncia visto che la mancanza di consenso esplicito risulterebbe ben più difficile da dimostrare rispetto alla presenza di minaccia o coercizione.

Quale che sia la motivazione di fondo, la direttiva europea è stata fortemente depotenziata, dimostrando come i corpi delle donne siano troppo spesso trasformati in un terreno di scontro da chi combatte battaglie che poco hanno a che vedere con la reale necessità di prevenire e perseguire la violenza che colpisce un numero crescente di donne. Un risultato finale che almeno è stato mitigato dall’obbligo creato in capo agli Stati membri di “mirare a sensibilizzare l’opinione pubblica sul fatto che il sesso non consensuale è considerato un reato penale”. Così facendo, dunque, la definizione basata sul consenso sarà alla base di obbligatorie campagne di sensibilizzazione, pur restando non applicabile in tribunale come reato europeo.

A questo punto, come sostenuto dalla relatrice del testo del Parlamento Evin Incir, la speranza è che promuovendo un cambiamento culturale attorno all’idea di consenso si possa arrivare comunque ad aprire la strada all’adozione della legislazione futura. I cambiamenti culturali, tuttavia, si verificano con una certa lentezza e passano anche attraverso quelle istituzioni e forze dell’ordine per cui non è più prevista la formazione sui temi della violenza di genere. All’interno della direttiva scompare, infatti, anche il riferimento alla necessità di formare magistrati ed esponenti di pubblica sicurezza, ritardando ulteriormente la possibilità di creare un ambiente in cui le donne siano incoraggiate a sporgere denuncia e ridimensionando al ribasso il contenuto della direttiva europea, che perde forse l’occasione di segnare una piena vittoria per le politiche di genere.

Virgilia De Cicco

Virgilia De Cicco
Ecofemminista. Autocritica, tanto. Autoironica, di più. Mi piace leggere, ma non ho un genere preferito. Spazio dall'etichetta dello Svelto a Murakami, passando per S.J. Gould. Mi sto appassionando all'ecologia politica e, a quanto pare, alla scrittura. Non ho un buon senso dell'orientamento, ma mi piace pensare che "se impari la strada a memoria di certo non trovi granché. Se invece smarrisci la rotta il mondo è lì tutto per te".

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