Anche a Napoli, tra le imponenti mura del Museo Archeologico Nazionale, si parla di riscaldamento globale, trasformazioni ambientali e futuro del pianeta – e, ovviamente, del nostro: dopo Milano, “Capire il cambiamento climatico”, la mostra prodotta da OTM Company e Studeo Group in collaborazione con National Geographic Society e la curatela scientifica di Luca Mercalli, arriva nella città partenopea per restarvi fino al 31 maggio del prossimo anno. L’obiettivo? Smuovere le coscienze, far sì che sperimentino, in maniera forte e diretta, lo stato di profonda sofferenza in cui la Terra è costretta a vivere.
“Capire il cambiamento climatico” è una vera propria immersione negli effetti devastanti di anni di sfrenato sfruttamento delle risorse offerteci dal pianeta e di irresponsabile indifferenza nei confronti dei segnali da esso lanciati.
Studiato con estrema cura, il percorso espositivo – un viaggio lungo quattro sale – impressiona il visitatore insistendo proprio sul concetto di cambiamento: da immagini idilliache, di terre e mari incontaminati che accolgono la vita con la gaiezza di una madre fertile e sana, si passa – accompagnati dalla voce di quattro testimoni, un orso polare, una tartaruga, un elefante asiatico e un uomo – alla visione della tragedia attuale.
La plastica si annida tra le piante, si deposita sui fondali marini, facendosi spazio come un abitante prepotente e abusivo; i ghiacciai si fondono, le foreste bruciano, bufere spaventose travolgono case e strade; animali spaesati e indifesi si ritrovano a solcare terreni aridi, a sopravvivere tra rottami e alberi piombati giù.
Scenari apocalittici aiutano così a prendere consapevolezza del disastro al quale quotidianamente contribuiamo: è bene riflettere sulle proprie scelte, modificare i propri comportamenti. Un aiuto concreto in tal senso ci viene fornito dalla terza sala di “Capire il cambiamento climatico”: giochi interattivi e una parete touch offrono tutte le informazioni necessarie per imprimere una svolta al proprio stile di vita e per provare a migliorare le condizioni in cui versa la Terra.
A concludere l’itinerario una stanza interamente dedicata ai dati scientifici circa lo stato di salute del pianeta, dati dai quali si apprende che il riscaldamento globale è un fenomeno in atto e allarmante. La temperatura continua difatti ad aumentare: il 2018 è stato l’anno più rovente della storia e lo scorso luglio il mese più caldo mai registrato a livello globale. Non sono meno preoccupanti i numeri sull’altra piaga che affligge la Terra, quella della plastica: annualmente finiscono in mare 8 tonnellate di materiali plastici e di questo passo, nel 2050, gli oceani saranno popolati più da rifiuti che da pesci.
Dunque, ignorare l’emergenza ambientale sarebbe come guidare l’umanità verso il suicidio: agire non è più un optional, bensì un dovere. Ce lo dice anche Antonio Carloni, direttore della mostra e dell’OTM Company, col quale abbiamo avuto il piacere di chiacchierare.
Di seguito l’intervista.
“Capire il cambiamento climatico” è uno sguardo consapevole al presente, uno stimolo a migliorare il futuro del pianeta. Com’è nata l’idea di allestire questa mostra?
«L’idea nasce da un festival di fotografia che ha luogo a Cortona (AR), il “Cortona On The Move”, di cui siamo gli organizzatori. La peculiarità dell’evento è quella di raccontare il mondo attraverso le problematiche sociali e politiche del momento. Tre anni fa ci siamo accorti che l’ambiente e il clima sarebbero divenute delle tematiche contemporanee e così abbiamo chiesto alla National Geographic Society di poter collaborare con loro a una mostra che avesse come argomento proprio il cambiamento climatico. La formula che abbiamo utilizzato è davvero innovativa: si tratta della formula delle “proiezioni immersive”, che fa sì che “Capire il cambiamento climatico” non sia soltanto un’esposizione fotografica, ma un vero e proprio spettacolo nel quale si uniscono dati scientifici a video e fotografie per creare un impatto emotivo molto forte. L’idea di fondo è quella di rendere il tema ambientale, in genere oggetto di discussione tra gli scienziati, comprensibile a tutti attraverso un linguaggio semplice e diretto. E non c’è linguaggio più diretto di quello delle emozioni.»
In effetti, “Capire il cambiamento climatico” cerca un contatto diretto con i visitatori. Lo testimoniano anche le sezioni interattive. Che reazione vorreste ottenere da parte del pubblico?
«Nello scenario attuale sono tre le macrocategorie che possono impegnarsi a risolvere la problematica del cambiamento climatico: quella politica, adottando una visione a lungo termine e costruendo un’impalcatura legislativa che contribuisca a risolvere il problema; quella economico-industriale, finanziando idee e soluzioni ecosostenibili; infine, la macrocategoria costituita dai singoli cittadini che possono modificare le proprie abitudini quotidiane per contribuire, giorno per giorno, a risolvere una parte del problema. “Capire il cambiamento climatico” utilizza, come già detto, un linguaggio semplice, quasi “pop”, se vogliamo. È quindi inevitabile, durante il percorso della mostra, arrivare a un confronto che renda consapevoli di come poter affrontare il problema in casa, nel mondo dei trasporti e nel mondo dell’alimentazione. Il risultato che ci aspettiamo è in realtà variabile, perché la città di Napoli è la seconda, dopo Milano, a ospitare la mostra. Il pubblico, soprattutto quello costituito dalla fascia giovanile della popolazione, probabilmente reagirà in maniera diversa, ma l’idea alla base è quella di far sì che lo spettatore esca dalla mostra con un po’ di autoconsapevolezza in più.»
Idealmente, dove potrà portarci, tra vent’anni, questa lotta per la sensibilizzazione sul tema dell’emergenza climatica?
«Da padre di due figli piccolissimi, personalmente, quello che mi piacerebbe è che tra vent’anni si possa continuare ancora a fare le cose più semplici, come ad esempio aprire una fontanella e poter bere dell’acqua che non sia inquinata, o semplicemente poter avere ancora accesso all’acqua potabile. Il punto è che noi stiamo erodendo una quantità di risorse che è di gran lunga superiore alla quantità di risorse che il nostro pianeta può permettersi di generare, e ce ne accorgeremo con il passare del tempo. Tra vent’anni i miei figli saranno dei ragazzi e mi auguro semplicemente possano avere lo stesso privilegio che abbiamo avuto noi di volere andare a sciare e trovare ancora della neve su cui farlo o che possano immergersi in un qualsiasi mare e trovarci dei pesci, non delle bottiglie di plastica.»
Articolo e intervista a cura di Anna Gilda Scafaro e Anna Rita Orlando