L’addio di Totti è solo l’ultimo prodotto del disastro societario Made in Pallotta, capo di una società troppo distante da squadra e tifosi ed il cui unico vero interesse sembra essere il nuovo stadio.
«So quanto siano pazzi i tifosi romanisti, ma sono preparato: voi non sapete quanto sono pazzo io». Queste le parole di James Pallotta il giorno in cui assunse l’incarico di Presidente della AS Roma. All’epoca furono in molti a storcere il naso e a sollevare dubbi sulla efficacia e la consistenza di una presidenza straniera nella capitale; in particolar modo, le perplessità erano prevalentemente legate al fatto che tale nuova gestione arrivasse dopo venti anni durante i quali la Roma era stata gestita da dei romani doc come i Sensi, bravi come pochi a mostrare la loro vicinanza a squadra e tifosi. In effetti, non è trascorso molto tempo per rendersi conto che quanto affermato da Pallotta a margine della sua nomina come Presidente corrispondesse al vero, considerando il disastro societario cominciato un anno fa, intensificatosi nel corso della corrente stagione e culminato con gli episodi legati a Totti e De Rossi.
L’inizio del declino societario
La lunga parabola discendente della Roma e l’inizio del disastro pallottiano coincidono con il giorno immediatamente successivo alla sconfitta subita contro il Liverpool in semifinale di Champions; una partita che lasciò a tifosi, allenatori e dirigenti il rammarico di una finale sfiorata insieme alla consapevolezza di poter utilizzare le prestazioni vistesi durante il torneo come punto di partenza per una nuova Roma che fosse grande anche in Europa. In effetti, oltre alla storica vittoria ai danni del Barcellona nei quarti di finale, i giallorossi avevano impressionato il pubblico europeo per aver superato un girone difficilissimo con Chelsea ed Atletico Madrid e per essere arrivati in semifinale con un gruppo unito guidato da un allenatore alla sua prima panchina importante ma in grado di leggere le partite come pochi. Poi il buio: da un lato, alcuni dei protagonisti di quella stagione, quali Nainggolan e Alisson, pedine fondamentali dell’11 giallorosso, furono ceduti; dall’altro, la squadra non fu rinforzata a dovere, tant’è che lo stesso Francesco Totti ieri in conferenza stampa ha rivelato come alcune richieste fatte da Di Francesco prima dell’inizio della scorsa stagione non siano state prese minimamente in considerazione da Pallotta e dalla società.
Una stagione da dimenticare
Il risultato della deludente sessione di mercato estiva e dei malumori interni creatisi per effetto dell’inconsistenza societaria è stato un anno travagliato, fatto di figuracce e di litigi e conclusosi con un quinto posto che ha precluso la qualificazione in Champions League. Prima l’ingeneroso esonero di Di Francesco, che da allenatore del futuro è diventato il capro espiatorio di un periodo negativo della squadra, poi le concomitanti dimissioni di Monchi, arrivato con buone prospettive e con un progetto a lungo termine ma scappato via dopo nemmeno due anni; per non parlare dell’addio annunciato a Ranieri a stagione ancora in corso e con un obiettivo ancora ampiamente alla portata, di fronte al quale l’allenatore romano ha mostrato tutta la sua signorilità e il suo attaccamento alla maglia più che alla poltrona. Infine, le discutibili e tristi vicende legate a due bandiere come De Rossi e Totti, trattati come uomini qualunque il cui passato e la cui storia non sono stati in alcun modo oggetto di valorizzazione.
Poca presenza a Trigoria e poca vicinanza alla squadra e ai tifosi: le principali colpe della gestione Pallotta
Vi è chi parla di deromanizzazione della società e chi invece allude ad un semplice incapacità gestionale ed organizzativa degli Americani. Quel che è certo è che la Presidenza Pallotta ha dimostrato, ove ve ne fosse ancora bisogno, come la gestione di una società non possa avvenire a migliaia di km di distanza. Ciò perché alla gestione economica delle casse si deve accompagnare quella dell’allenatore, del gruppo, della piazza e dei tifosi. Questi ultimi hanno bisogno di vedere il loro presidente sempre presente accanto alla squadra, di essere tranquillizzati quando le cose non vanno e di vedere una società attiva sul mercato, affinché tutte le voci sulle sottese logiche di profitto vengano smentite e rimpiazzate da un amore incondizionato verso la squadra. Tutto questo non è accaduto, con la conseguenza che Pallotta è stato inevitabilmente additato come il classico imprenditore straniero in cerca di profitto che ha preferito mettere se stesso e non la squadra al primo posto. E le indiscrezioni in tal senso sono state rese ancor più sensate dal forte interesse manifestato verso la costruzione del nuovo stadio, unico tema al quale il patron americano sembra essere veramente legato.
Totti, De Rossi, il nuovo stadio… e la deromanizzazione
Eppure, più che l’assenza e la inerzia mostrata dalla società nell’ultimo anno, non vi è dubbio che ciò che ha realmente urtato la sensibilità e la pazienza dei romanisti è stato il trattamento riservato alle due leggende giallorosse. In effetti, la vicenda Spalletti aveva già lasciato intendere quanto fosse elevato grado di suscettibilità dei romanisti di fronte a qualsiasi tipo di disprezzo espresso nei confronti di Francesco Totti. Lui è una figura sacra, a tratti mitologica, nei confronti della quale non possono che essere espressi complimenti ed apprezzamenti, per via della sua storia, del suo amore verso la città e la squadra. Quello stesso amore dimostrato a margine del suo ritiro, quando ha accettato prontamente l’incarico da dirigente riservatogli con il fine di continuare, in un certo senso, a vestire quei colori e sentirsi ancora parte integrante del gruppo. Tuttavia, dopo due anni ci si è resi conto di come l’incarico conferito a Totti fosse solamente di facciata, un qualcosa per convincere la piazza che ‘Er Pupone fosse ancora lì al suo posto a guidare le scelte societarie. La conferenza stampa di qualche giorno fa non ha lasciato dubbi al riguardo e ha fatto luce su un Totti mai coinvolto in decisioni di rilievo, mai consultato in momenti importanti, emarginato ed isolato. Lo stesso tipo di emarginazione adottata anche nei confronti di Daniele De Rossi, l’uomo che ha ereditato la fascia di capitano da Totti, anche lui figlio di Roma e dei romanisti, a cui, tuttavia, la decisione di mancato rinnovo del contratto è stata comunicata a sole due giornate dal termine della stagione.
Insomma, la gestione Pallotta è riassumibile in una sola parola: disastro. Esiste qualcosa di peggio che smantellare una squadra con un grande potenziale, allontanare un allenatore e un direttore sportivo dalle grandi prospettive e mettere da parte due figure leggendarie della città in grado di poter fare da collante tra società e tifosi? Probabilmente no. E probabilmente, considerando l’inerzia sul mercato, ma la grande insistenza per la costruzione del nuovo stadio che potrebbe fruttare grandi affari alla proprietà, quel processo di deromanizzazione di cui tanto si parla è veramente in atto.
Amedeo Polichetti
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