Dall’inizio della guerra scoppiata alle porte dell’Europa, l’Occidente non ha avuto dubbi sul ruolo da assumere tra le parti in conflitto e nonostante la scelta, lo schierarsi, ha assunto i caratteri di una dicotomizzazione estrema che non lascia spazio a riflessioni di natura critica e ragionata. La guerra in Ucraina si sta combattendo anche a suon di cancel culture, un atteggiamento nei confronti dell’Altro sviluppatosi nell’era dei social network che affonda le proprie radici nella Storia e assume i connotati specifici della situazione contingente manifestandosi in Occidente nelle forme della russofobia.
È parso naturale e giusto, infatti, condannare l’aggressione di Putin e schierarsi dalla parte dei civili ucraini, costretti a subire sulla propria pelle gli effetti devastanti delle bombe e dei crimini di guerra. Cosa ben diversa è eliminare o condannare ogni manifestazione culturale appartenente al mondo russo e alla sua storia. È questo infatti un processo estremamente pericoloso, perché implica la cancellazione della memoria di ciò che è stato e sminuisce il valore del passato e della Storia come sede dell’identità, individuale e popolare.
In questo senso è significativo il caso della cancellazione del corso su Dostoevskij che si sarebbe dovuto tenere all’Università Bicocca di Milano dallo scrittore Paolo Nori: un vero e proprio episodio di russofobia che è stato per qualche settimana fonte di dissenso e proteste. Il tentativo di insabbiamento e cancellazione di uno dei più grandi scrittori al mondo, il cui messaggio ha un carattere tanto universale da riuscire a parlare con estrema facilità agli uomini e alle donne che abitano l’età moderna, ha scatenato diverse reazioni nell’opinione pubblica e nel ceto artistico e intellettuale italiano: un esempio tra tutti è quello di Jorit, lo street artist napoletano che si è schierato contro la cancel culture con un murale proprio su Dostoevskij, comparso qualche settimana fa sulla facciata di una scuola di Fuorigrotta.
Oppure torna in mente la scomparsa di Yuri Gagarin dal nome di un evento della Space Foundation, l’associazione senza scopo di lucro che decide di cambiare il nome della serata da Yuri’s night a A Celebration of Space: Discover What’s Next, decisione scaturita, come sottolineato dall’associazione in una nota sul web poi misteriosamente sparita, a seguito dei recenti eventi mondiali.
Quando si tratta di cultura, il tentativo di minimizzare e ridurre l’Altro a mero antagonista, negandone i caratteri peculiari e unici, si può far risalire addirittura alla classicità. Un esempio virtuoso immerso nel clima imperialista che perdura da secoli è quello di Tacito e del Discorso di Calgaco ai Britanni che compare nella sua Vita di Giulio Agricola, in cui lo scrittore lascia trapelare il proprio dissenso nei confronti della politica imperialista romana attraverso le parole del capo della fazione avversa, i Britanni, un popolo invaso e che vide cancellate le proprie tradizioni a favore dell’imposizione di un modello apparentemente più civile. Nel timore di una cancel culture ante litteram, Tacito vela il proprio dissenso pur non esitando a schierarsi
La russofobia, a sua volta, è stata anticipata durante il Novecento, in letteratura come in tutte le altre forme di espressione culturale, dalla fobia per altre popolazioni. Gli studi del Postcolonialismo si sono occupati proprio di questo: smontare e decostruire il discorso coloniale ascoltando la voce di quei popoli che fino a quel momento erano stati raccontati solo secondo i canoni dell’oppressore. Edward Said, nel suo saggio Orientalism, ha analizzato nello specifico i processi di dicotomizzazione dei discorsi letterari, che portano a vedere l’Altro, le popolazioni asiatiche, africane e mediorientali, come la controparte inevitabilmente negativa dell’Occidente positivo e positivista.
In una situazione storica che ci obbliga alla riflessione e a tentare di analizzare ciò che accade intorno a noi, la soluzione sta sempre dalla parte della complessità e della considerazione di ogni aspetto delle singole vicende, che inevitabilmente richiede un forte spirito critico da opporre con violenza ai tentativi di propaganda propugnati, nel caso specifico della guerra in Ucraina, da entrambe le parti in causa.
Giulia Imbimbo