Nella società contemporanea cresce il numero di decessi in età infantile causati dalle nuove tecnologie, in particolare dai social network. L’aspetto macabro di queste tragedie è che non c’è una persona in carne e ossa a provocare la morte, bensì un insieme di dispositivi virtuali manipolati da menti tanto malate quanto in apparenza invisibili. C’è un’inerzia oscura che gradualmente si impossessa del corpo delle vittime, riducendolo ad automa. E, se i morti potessero parlare, probabilmente nemmeno loro saprebbero rispondere alla domanda “Cosa ti ha spinto a farlo?“.
A Napoli, nel settembre scorso, un bambino di undici anni è stato spinto al suicido da uno strano fenomeno che aveva invaso la rete, ovvero Jonathan Galindo, un personaggio con sembianze pseudo-umane controllato presumibilmente da un ampio gruppo di persone le quali, tramite i vari canali social, si erano poste l’obiettivo di “uccidere bambini”. In questi ultimi mesi questa piaga sembra essersi arrestata perché i profili social dei responsabili sono stati chiusi. Adesso, la magistratura dovrà dare la giustizia che merita alla famiglia della giovane vittima.
Il 21 gennaio, a Palermo, all’incirca negli stessi termini, si è tolta la vita la piccola Antonella, dieci anni, che cingendosi una cinta attorno al collo per una prova di resistenza avviata sul social TikTok, è stata ritrovata svenuta nel bagno dalla sorellina più piccola. Poche ore dopo i medici ne avrebbero certificato la morte cerebrale. I genitori della bambina hanno già acconsentito all’espianto degli organi: «Altri bambini potranno vivere grazie alla nostra Antonella», ha detto il padre Angelo.
La sfida nata sul social, denominata “Black Out Challenge” consiste in questo: attorcigliarsi una cintura al collo e vedere quanto tempo si riesce a resistere senza soffocare. Antonella, come la sfida prevedeva, prima o poi avrebbe dovuto liberarsi da quella morsa, cosa che non è riuscita a fare probabilmente perché era ancora intenta a filmare la scena con il proprio telefonino. Il dispositivo è stato subito sequestrato dalla questura di Palermo per individuare, nel marasma caotico dei social network, gli eventuali responsabili.
Al netto delle responsabilità dei genitori – per le quali indagheranno le autorità giudiziarie laddove fosse necessario – credo che la questione sia un tantino più complessa. Dovremmo chiederci cosa sono realmente i social. Sotto un punto di vista tecnico, siamo tutti consci del fatto che sono il canale di informazione e di intrattenimento più usato, soprattutto dalle nuove generazioni. Tuttavia la totale assenza di norme rende pericoloso il mondo della rete: chiunque può accedervi, anche persone con una stabilità psichica precaria, che ne fanno un uso improprio con, purtroppo, epiloghi tragici. Ma quanti altri bambini e bambine saranno sacrificati per renderci conto che è necessario un maggior controllo di queste piattaforme?
L’attendismo e l’indifferenza non hanno mai portato da nessuna parte. Circa dieci anni fa, i social sono entrati con prepotenza nella nostra vita quotidiana oltre ogni aspettativa. Difatti, nessuno di noi – forse nemmeno gli stessi ideatori delle piattaforme – avrebbe mai potuto prevedere che un mondo così denso di aspetti positivi potesse causare la morte di una bambina di soli dieci anni. È evidente che i social si propongono come controfigura della nostra vita reale e, così come la nostra esistenza al di fuori di tale dimensione è limitata da norme e leggi da rispettare in virtù di una pacifica convivenza civile, allo stesso modo queste piattaforme dovrebbero essere seriamente regolamentate con leggi ad hoc, per evitare che accadano certe tragedie.
Proprio in riferimento alla scomparsa di Antonella, il 22 gennaio il Garante per la protezione dei dati personali ha disposto per TikTok il blocco immediato «dell’uso dei dati degli utenti per i quali non sia stata accertata con sicurezza l’età anagrafica». Tecnicamente significa che un qualsiasi utente con l’intenzione di iscriversi al social non potrà farlo finché la sua età reale non verrà accertata con sistemi più rigidi e difficilmente aggirabili, cosa che attualmente, secondo l’Autorità, non è sufficientemente garantita. Questo divieto, però, sarà temporaneo. Durerà infatti fino al 15 febbraio, data entro la quale il Garante si è riservato ulteriori valutazioni. Il provvedimento di blocco verrà portato all’attenzione dell’Autorità irlandese, considerato che recentemente TikTok ha comunicato di avere fissato il proprio stabilimento principale in Irlanda.
Legiferare è del tutto necessario. Ma è altrettanto vero che la qualità di una legge si evince anche dalla capacità che i cittadini hanno di non infrangerla e dagli strumenti che essi hanno per proteggersi dai rischi che comporta l’accesso alla rete. Il tempo per adempiere a entrambe le richieste – promulgare leggi e sensibilizzare i cittadini – l’abbiamo avuto. Dall’uscita del primo Iphone nel 2007 al lancio di TikTok in Cina nel 2016, si è sviluppata una certa consapevolezza dei rischi del web e di come evitarli tutelando i soggetti più deboli, in primis i minori. Con la vicenda di Antonella questo problema torna attuale e richiede soluzioni immediate: quando potremo avere, magari partendo dalle scuole, un apparato funzionante di sensibilizzazione sull’intera sfera della rete?
Antonio Figliolino