Da giorni ormai, l’umore, le strade, le notizie dal telegiornale e molte vite hanno il colore del fango. Melmosa, scura e pericolosa è diventata la quotidianità di chi vive in Emilia-Romagna, e che in pochi giorni ha visto portarsi via beni materiali, vite umane e ricordi per la furia delle piogge e dei conseguenti disastri. Straripano i fiumi, ma l’argine della solidarietà umana cerca di confortare, almeno un po’, le braccia di chi da ore e ore imbraccia arnesi per liberarsi da quel fango disastroso. In breve tempo, si sono moltiplicati gli aiuti mediante raccolte di beni di prima necessità, donazioni e volontariato.
Privati, istituzioni, personaggi pubblici e grandi aziende si sono mossi, e continuano a farlo, per promuovere i soccorsi alle popolazioni alluvionate. La regione ha indetto una raccolta fondi “Un aiuto per l’Emilia Romagna”, su conto corrente intestato all’Agenzia per la sicurezza territoriale e la protezione civile dell’Emilia-Romagna, da destinare alle persone e alle comunità emiliano-romagnole. Parallelamente, alcuni dei Comuni colpiti dall’emergenza come Forlì, Faenza, Modena hanno promosso, medianti i loro siti istituzionali, delle raccolte fondi a cui far riferimento per poter esprimere il proprio sostengo anche a distanza. Ad essi si aggiunge la Caritas italiana che opera sul territorio.
Al di là del sostegno economico, sono necessari beni materiali nell’immediato: prodotti per l’igiene e sgombero, beni alimentari non deperibili, farmaci, vestiti, scarpe e lenzuola. I comuni dell’Emilia-Romagna colpiti (tra cui Forlì, San Giovanni in Marignano, Faenza, Lugo, San Mauro Pascoli) hanno individuato diverse sedi presso le quali portare i beni utili da distribuire a chi ne ha bisogno.
Tante sono le forze in campo al momento per aiutare a mettere in salvo le vittime dell’alluvione, ripulire le strade e le case. Tra di essi vi sono le forze armate, ma anche squadre di volontari proveniente da ogni parte d’Italia. La Regione ha istituito il numero verde 800024662, attivo 7 giorni su 7, dalle 8 alle 20, a cui ci si può rivolgere per formulare particolari richieste di aiuto, segnalazioni o per offrire la propria disponibilità d’aiuto. Per chi vuole agire direttamente sul campo, inoltre, i diversi comuni hanno messo a disposizione svariati contatti, tra cui numeri telefonici, e-mail e moduli da compilare per potersi recare direttamente lì a soccorrere le popolazioni colpite, raccomandando attrezzature quali guanti, abbigliamento idoneo, stivali o scarpe adeguate, badili, spazzoloni spingiacqua o attrezzatura idonea. In alternativa, mediante il sito www.volontarisos.it è possibile registrarsi ed esprimere le proprie preferenze su fasce orarie e luoghi dell’Emilia-Romagna presso i quali prestare servizio.
Tra coloro che necessitano di aiuti vi sono non solo persone. Per questo motivo, l’associazione ENPA lancia un appello a tutti quelli che posso fornire ospitalità agli animali sfollati. Ad essa si unisce anche l’associazione “Cave Canem”, da sempre impegnata per sensibilizzare sul rispetto degli animali e prestare loro aiuto, lanciando una raccolta fondi sul proprio sito. Tra le richieste di aiuto si leva anche la voce dell’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) di Bologna, che al momento è nei vari punti dell’Emilia con i suoi volontari e guardie zoofile per soccorrere e cercare stallo ad animali domestici e non.
Oggi, tutto questo è sintomatico di un’umanità che ancora sa essere tale, tuttavia c’è qualcosa in più che gli uomini e le donne devono e possono fare per aiutare domani tutti i quei territori che domani potrebbe essere l’Emilia: prevenire. La situazione critica che ad oggi la regione italiana sta affrontando non è un caso sporadico, ma un sintomo evidente della crisi climatica in atto, infatti Legambiente informa che «dal 2010 a oggi, nella nostra penisola si sono verificati 1638 eventi estremi». La stessa associazione dunque, coglie l’occasione per lanciare alcune misure da mettere in atto per fare in modo che l’aiuto di oggi duri anche in futuro. Secondo l’associazione, è necessario innanzitutto liberarsi dalla dipendenza delle fonti fossili, incentivando il ricorso alle energie rinnovabili; bloccare l’avanzata della cementificazione, che contamina l’effetto drenante della terra; infine, è bene favorire la rinaturazione dei corsi d’acqua e ampliare gli spazi esondabili. In sintesi, bisogna accelerare il processo di adattamento al cambiamento climatico, se vogliamo che il fango non si lavi più via con le lacrime.
Alessio Arvonio