“Vuole fare sesso con un uomo e magari anche con una donna. Vuole anche restare chasidish in tutto e per tutto senza dubitarne”
Shmutz, p. 204-205.
“Un libro sporco dal cuore puro” così il New York Times ha definito “Shmutz”, esordio letterario dell’autrice Felicia Berliner, e pubblicato in Italia lo scorso 12 settembre per Mar dei Sargassi Edizioni, con la brillante traduzione di Marina Finaldi.
Arguto e provocatorio, “Shmutz” ci catapulta nella vita e nei pensieri di Raizl, una ragazza della comunità chassidica di Brooklyn che, poco prima dei suoi 19 anni, scopre un mondo tutto nascosto dietro lo schermo del computer con il simbolo della mela morsicata, un preludio del peccato? Navigando in rete alla ricerca dell’immagine proibita di D-o, Raizl si imbatte in un universo censurato dalla religione, fino a finire su un sito porno. Da quel primo incontro con la pornografia Raizl non riesce più a farne a meno, tanto da far quasi crollare a picco la sua vita. Così inizia la sua non-ribellione. Raizl fa della pornografia una vera e propria semiotica, elaborando un nuovo e personale sistema di segni e simboli attraverso cui avvicinarsi all’alterità e grazie ai quali riesce a conoscere sé stessa più di quanto aveva fatto in diciannove anni.
L’autrice mantiene una certa riservatezza sulla sua vita. Delle poche informazioni condivise, si sa che ha frequentato una yeshiva a Los Angeles, motivo per il quale riesce a fornire una visione interna alla comunità molto dettagliata, attirando l’attenzione su numerosi particolari e soprattutto servendosi dello yiddish.
Religione e pornografia, una dicotomia apparentemente incompatibile
Avete presente quella sensazione di non avere le parole per descrivere un fatto o un’emozione, nonostante la nostra lingua abbondi di termini per farlo? E se molti termini addirittura non esistessero? Come può quindi Raizl anche solo descrivere quella serie di immagini nuove, legate a sensazioni ed emozioni mai provate prima, se lo yiddish non solo lo vieta moralmente, ma non dispone neppure di un lessico per farlo? È così che si crea il proprio “porno-lessico”, un lessico quasi innocente, persino pudico, poiché si vergogna con sé stessa anche solo a ripensare a quelle immagini. Raizl si sente infatti shmutz, sporca, impura, pur non riuscendo a smettere di guardare. Guarda per curiosità, perché è attratta da quelle immagini, perché vuole saperne di più e vuole provare di più, guarda perché si rende conto che Internet è un universo di opportunità, Internet è la libertà. E cosa prova in quelle lunghe notti al computer? Piacere, soddisfazione, si sente libera, si sente finalmente Raizl. Tutti sentimenti che il giorno dopo lasciano spazio al senso di colpa che si insinua nel suo animo fratturandolo: la giovane vive la sua adolescenza tra la consapevolezza dei suoi doveri, l’ansia di trovare uno chussen – il futuro marito -, e l’estrema curiosità per il mondo che la aspetta fuori.
Il libro si apre con la seduta presso la dott.ssa Podhoretz, dalla quale Raizl si reca sotto consiglio della madre poiché, almeno da quanto ha raccontato a lei e alla sensale, non vuole più sposarsi perché ha paura del sesso. In realtà Raizl vive un dissidio interiore molto più complesso: vorrebbe liberarsi da tutto quello che ha appreso durante le sue notti insonni, ritornare ad essere pura per essere una “buona moglie”, ma allo stesso tempo vuole continuare a guardare, a conoscere e soprattutto a conoscersi.
La storia di Raizl sembrerebbe essere un vero e proprio climax di ribellione di cui la pornografia è stata solo la miccia: al porno seguono il bacon, o beakon, il golfino nero aderente con lo scollo a V, con il quale si sente e si vede diversa, i jeans che le evidenziano le natiche, il bagno in topless e slip sulla spiaggia, momento in cui acquisisce la consapevolezza che un corpo è solo un corpo, fino al bacio di addio con Sam.
E se da un lato è vero che in certi momenti la lotta interiore tra morale inculcata e voglia di trasgredire, che forse è solo sintomo di una forte e pura curiosità, la portano a soffrire interiormente tanto da cercare la punizione fisica – come quando si dà dei pugnetti sul petto per non aver pregato – dall’altro è altrettanto vero che è pienamente consapevole che nulla di male le può capitare: se la mela del peccato è stata lasciata agli uomini, anche questo dev’essere volere di D-o, sembra ammettere inconsciamente, ad esempio quando assaggia per la prima volta l’appetitoso uovaebeikon e si sente più viva che mai: “Dà un morso e si lecca le labbra per il sale, Der Bashefer non la fulmina e lei ingoia per far ancora spazio nella bocca. […] Non dovrebbe sapere di cosa si tratta, ma Google glielo ha mostrato: è un animale roseo, col muso schiacciato e le orecchie grosse. Gli yidden sono morti piuttosto che mangiare carne di maiale, ma lei è viva!” (cit p.52)
Nella narrazione della Berliner non c’è giudizio, il punto di vista è oggettivo, l’autrice semplicemente racconta una storia, con una differenza, rispetto ad altre storie simili, che va sottolineata: Raizl sarà sempre Raizl nonostante abbia desiderato a lungo di essere “una Rose qualsiasi” e ogni tentativo di evasione la porteranno sempre al punto di inizio, perché è lì che Hashem può trovarla, come dirà alla dott.ssa. Nonostante in alcuni momenti il suo spirito ribelle tocchi punti estremi, tanto che ci si potrebbe aspettare un punto di non ritorno, come ad esempio il semi-rapporto con Solo, Raizl non rinnega mai la religione in quanto parte di sé. È per questo che non si può parlare di vera e propria ribellione. Sembrerebbe un paradosso, ma la giovane non cerca infatti una via di fuga, il suo non è un tentativo di liberarsi dalle catene di una religione troppo rigida, anzi il suo tentativo di evasione ha come fine la ricerca del proprio Io più nascosto. Ciò di cui ha bisogno per acquisire piena conoscenza di sé è un dialogo diverso con D-o, un dialogo più diretto e immediato, e anzi le occorre la fede non per “fare richieste” ma per conoscersi meglio: “Chi è questo Hashem che lei prega, ora che gli si è ribellata? Hashem che sa tutto del bacon e del porno e dei jeans. Hashem che ha creato il bacon e il porno e i jeans. Se ne sta lì a pregare, una redenzione timida, una cura […] Per tutta la vita lo ha pregato perché le desse delle cose, pregato che sistemasse tutto. […] Chiedeva aiuto al suo Creatore per riparare le cose. È la prima volta che prega per ascoltare. Prega per sentirlo. Hashem, ti prego, rispondi. Come faccio a sposarmi? Come faccio a restare a scuola? Rendimi nuda ai miei occhi come lo sono ai tuoi.” (cit p. 181-182)
In fin dei conti Raizl capisce di essere “diversa”, un pesce fuor d’acqua non essendosi mai integrata del tutto né a Brooklyn, né nella sua comunità, né tanto meno a scuola: troppo “religiosa” per Brooklyn, troppo “chiusa” per la scuola, troppo “diversa” per la comunità, quella che va al college, che ha un computer, che le è permesso tenere per guadagnare la parnussa – i soldi da usare per il suo matrimonio e per pagare le spese di istruzione dei fratelli – che è troppo intelligente. È ribelle, “diversa”, anche nell’aspetto, soprattutto per i suoi capelli ricci “color della paprika e del rame”, una chioma indomabile, forse non a caso, che a fatica copre quando indosserà la sua sheitel, la parrucca castana e liscia, simbolo di una nuova vita. Ed è forse proprio per questa consapevolezza che tutto sommato non c’è mai una vera ribellione, quello di Raizl è piuttosto un tentativo di cercare sé stessa: il porno stesso, che nasce come forma di ribellione e la fa sentire libera, si trasforma in ossessione o, per dirla alla Podhoretz, in dipendenza, tanto da contraddire il senso di libertà iniziale incatenandola al suo portatile prima e alla sua versione rimpicciolita, lo smartphone, poi.
“Shmutz”è un concentrato di energia e la traduzione di Marina Finaldi, che ha scelto di lasciare molti realia e riferimenti religiosi in yiddish, permette di calarsi nei panni di Raizl, nella sua gonna larga e scura e le sue magliette accollate, tanto da vivere con lei il suo dissidio interiore.
A lettura conclusa mi sono soffermata in particolare a riflettere su un punto: l’autrice tocca una serie di tematiche molto importanti, come quella dell’aborto in comunità ultraortodosse, ad esempio, ma la verità che ci comunica va oltre i confini della religione. Ci mostra infatti Raizl in tutta la sua complessità, una Raizl che è anche una Rose qualunque. Shmutz non è un libro sulla pornografia, né un suo elogio. Dalle dense pagine prende forma un moderno romanzo di formazione nel quale si assiste alla maturazione di una giovane che passa per la religione, ma anche per la mela mangiata, Internet e soprattutto per la pornografia, attraverso la quale Raizl conosce se stessa e il mondo che la circonda, con i suoi innumerevoli lati bui.
La Berliner racconta una storia con un occhio quasi scientifico, analizza i fatti e li narra con estrema naturalezza. Nel libro non mette in dubbio né tanto meno tenta di celare l’estrema rigidità e chiusura della comunità chassidica, come dimostra il soffermarsi più volte sull’analisi della severa figura paterna, il Tati che alza la voce e non chiede il motivo delle azioni dei figli, oppure nel descrivere l’evolversi del rapporto di Raizl con i fratelli, da un legame stretto a un volersi bene freddo e fisicamente distaccato, nel menzionare il delicato tema dell’aborto, o nel descrivere la vita delle donne tutta casa e figli. Tutti particolari e descrizioni che arricchiscono e definiscono il contesto anche nei dettagli meno piacevoli. Eppure, chiusura e rigidità non sono peculiari solo di tali comunità. Non va dimenticato che anche il cristianesimo, così come il mondo di Internet e delle mille possibilità, hanno la propria dose di divieti, giudizi e dogmi. Quante persone, quanti adolescenti hanno sentito pesare su di sé il senso di colpa? E quanti hanno cercato di evadere?
A tal proposito emblematica è la figura di Sam, l’amica goth superfiga agli occhi di Raizl, apparentemente libera dalle catene sociali. Sotto i tatuaggi, i piercing e i vestiti scuri che le donano un’aria da dura, in realtà si cela una ragazza combattuta tanto quanto Raizl: proprio come Raizl cerca una via di fuga dal suo futuro prossimo di moglie e madre, analogamente Sam prova a scappare dalla sua famiglia menefreghista, da una realtà che la schiaccia, una società che pretende che si vada bene a scuola, che si guadagni e ci si formi una famiglia. Sam cerca la sua identità nel fumo, nei tatuaggi, nella libertà sessuale, Raizl la cerca nei porno, nei jeans, nel bacon. Sam e Raizl due facce della stessa medaglia, due voci diverse di uno stesso dissidio.
Al di là della scoperta di Internet e della pornografia, la realtà sociale è motivo di oppressione ed è per questo che forse per trovare sé stessi a volte è necessario perdersi per un po’.
Nunzia Tortorella
Trovo veramente interessanti gli articoli di questa scrittice, con i suoi vari argomenti ti coinvolge rendendo più semplice
e piacevole l’acquisto di un testo da leggere.