In occasione dei 150 anni dalla scomparsa di Gioachino Rossini, Mario Mariani pubblica “The Rossini Variations“, un album eccentrico nel suo stile ma, a partire dal quale, lo stesso autore dichiara di aver riscoperto l’amore per la musica classica dopo anni di sperimentazioni radicali. Lui stesso in passato ha detto di sé: «…Se dovessi definire il mio approccio alla musica, ma anche alla vita, direi che è un misto tra un uomo rinascimentale e un hacker.»
Il rapporto di Mario Mariani con Rossini parte da lontano, essendoti diplomato in un conservatorio che porta il suo nome. Da lì ha avuto inizio una carriera che ti ha portato in Italia e nel mondo, non soltanto per suonare ma per far conoscere uno stile narrativo che ti rappresenta in maniera profonda. Quali sono stati i momenti salienti?
«Per quanto riguarda Rossini, si tratta di una nuova tappa: sebbene mi sia diplomato lì, è un approdo recente. Il mio percorso musicale è transitato in tanti porti. La mia formazione in musica classica ha sempre mischiato l’improvvisazione e la grande musica, come il progressive rock degli anni ’70; altrettanto formativo è stato l’incontro con Rossini e con tanti altri registi. Il che mi ha portato ad aggiungere altre dimensioni al mio percorso musicale: tanti sensi, la vista oltre che l’udito. Realizzo “felici corti circuiti” così che lo spettatore viva un’esperienza inedita.»
The Rossini Variations non è un semplice omaggio, ma una reinterpretazione di grandi classici. Un lavoro composto da 9 tracce in cui emerge la vena creativa, da un lato, e l’austerità delle ribattute dall’altro. Ce ne parli meglio?
«Si tratta di un lavoro composto da ricomposizioni, variazioni e riscritture. Al suo interno si può trovare materiale molto conosciuto: la Gazza Ladra, il Guglielmo Tell, Largo al Factotum. Delle chicche per musicologi come “Petite Messe Solennelle”, un vero spunto per variazioni che vanno molto lontano, con delle citazioni che fanno il verso al minimalismo e alla famiglia Addams, un incrocio tra Mozart e Wayns. Dozzine di variazioni di versioni musicali sullo stesso testo: quella che mi ha colpito di più è stata realizzata su una sola nota e questo fa di Rossini l’unico nel mondo prima di Elio.»
Ti abbiamo visto con un frullino da cappuccino, una pallina da tennis, una tastiera giocattolo. Quanta ponderazione c’è dietro la scelta degli strumenti che utilizzi durante l’esecuzione? E a partire da questo, Mario Mariani si sente più un interprete o un performer?
«Questa scelta è la mia vocazione alchemica. Secondo la tradizione che trasforma il metallo in oro, cerco di dare una destinazione diversa agli oggetti. Così il frullino Ikea rende il pianoforte come un mandolino, le biglie lo rendono come il miagolio di un gatto muovendo le corde. Suoni molto particolari. Dunque mi ritengo un performer: intendo la performance come un incrocio tra discipline diverse. Mi sento un attore, un ballerino, perché penso che il gesto fisico sia molto importante. Nell’utilizzo di queste tecniche c’è la gestualità, che non è mai fine a se stessa, anzi è funzionale a quello che voglio esprimere. Tutto quello che va verso quella direzione è qualcosa che sento molto vicino. Il paesaggio sonoro è una dimensione molto importante. Mi pongo il problema dello spazio, come una reale esigenza artistica.»
Il tour di presentazione del nuovo album ti ha portato in tutto il mondo e il 20 Ottobre sarai a Tunisi. Quali sono le prime impressioni che il pubblico ti ha trasmesso?
«Una grande vicinanza e una grande partecipazione. A fine concerto il pubblico viene sul palco e guarda dentro lo strumento. Molti erano abituati ai pianisti che suonano il 10% del pianoforte, in maniera tradizionale. Vedere come si possa entrare nell’inconscio del pianoforte era una cosa a cui non erano preparati. Mi piace il concetto di libertà applicata alla musica, visto che cerco di emancipare il pianoforte, entrando in contatto anche con altre arti.»
Sara C. Santoriello