Quella della Juventus che lascia vittoriosa il terreno di gioco dell’Old Trafford è una immagine che porta con sé delle forti consapevolezze: tre vittorie, porta inviolata e punteggio pieno in un girone, obiettivamente, non facilissimo. Ove non fosse ancora chiaro, la gara di martedì scorso contro il Manchester United di Mourinho ci ha fornito l’ennesima e probabilmente definitiva conferma della Juventus come principale candidata per la vittoria di questa edizione della Champions League. E non è semplicemente per la vittoria in sé, né tanto meno per i tre punti che ipotecano il passaggio del turno, proiettando i bianconeri nella fase finale del torneo, quanto per il tipo di prestazione che gli uomini di Massimiliano Allegri sono stati in grado di sfornare, che può essere vista come il punto di arrivo di un lungo e meticoloso percorso di perfezionamento e crescita mentale iniziato anni fa e che, finalmente, comincia a dare i suoi frutti sul palcoscenico europeo. Perché, in effetti, la gara contro il Manchester United ci ha fatto conoscere una Juventus diversa, più forte, più sicura e determinata, capace di tutto ciò che le era mancato nelle scorse edizioni della massima competizione europea: la consapevolezza di poter dominare con il proprio gioco ed i propri uomini una delle squadre più titolate d’Europa, in casa sua, nel suo stadio, tempio del calcio, senza soffrire alcun tipo di timore o pressione esterna. Quella di Manchester è stata una prova di forza con la quale la Vecchia Signora ha lanciato un messaggio chiaro a tutte le dirette concorrenti, che adesso hanno un motivo in più per pensare che la squadra da battere in questa Champions League ha un solo nome, e si chiama Juventus. A dire il vero, alcune conclusioni in merito potevano tirarsi già all’indomani della sfida con il Valencia: una vittoria per 2-0 arrivata all’esito di una gara di nervi, giocata contro un avversario ostico e per gran parte in 10 uomini a causa dell’espulsione di Cristiano Ronaldo. Per l’appunto, già in quel frangente la Juventus ha avuto modo di dimostrare come l’approccio alla partita, la concentrazione e la tenacia di un gruppo unito costituiscano l’80% di un intero match e la prestazione di martedì ne ha dato ulteriore conferma.

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In altre parole, all’esito di questa prima tornata di Champions League la Juventus ha mostrato di avere qualcosa in più rispetto agli scorsi anni, qualcosa che le dà la più che legittima consapevolezza di non avere alcuna concorrente al di sopra di sé. E quest’ultimo è un dato di fatto oggettivo, più che una mera celebrazione dell’undici di Allegri: nessun’altra squadra ha sinora impressionato in termini di gioco, di forza, di carisma.

Ma cos’è cambiato nella Juventus formato Champions dagli anni scorsi a questa parte? Cosa le dà quel quid pluris che la distingue dalle altre e che le era mancato nelle scorse edizioni? La risposta va individuata in un lungo percorso di maturazione iniziato qualche anno fa e, verosimilmente, perfezionatosi quest’anno. Al riguardo, non è di certo difficile individuare i due principali protagonisti della metamorfosi juventina in Champions. Il primo è un tecnico che sta dimostrando strabilianti abilità di leader nel gestire un gruppo di campioni che ha fame di vittorie. Il secondo è un campione che di Champions ne ha vinte tante e che sembra aver portato a Torino quella maggiore determinazione che serve al fine di portare a casa i risultati.

Massimiliano Allegri ha lavorato innanzitutto sulla testa dei giocatori, facendoli crescere dal punto di vista individuale, inculcandogli l’idea che le notti d’Europa non hanno nulla a che vedere con le notti di Serie A, dove ormai si domina incontrastati da 7 anni a questa parte. In tal modo il tecnico livornese è riuscito a mettere da parte il miedo escenico vistosi nelle precedenti edizioni ed a trasmettere alla  squadra la stessa forza che la contraddistingue in campionato. Lui la chiama “autorevolezza”: quella capacità dei suoi uomini di imporsi in modo spontaneo, naturale, come diretta conseguenza della applicazione dei propri schemi di gioco. La partita di Manchester ne è stato l’esempio perfetto, una Juventus che ostenta sicurezza, perfetta nel palleggio e nei movimenti, mai dominata e padrona del campo, capace, nei primi 45 minuti, di relegare nella propria metà campo gli uomini di Mourinho, e nei restanti 45, di gestire magistralmente il vantaggio senza fare particolare fatica.

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Tuttavia, l’allenatore toscano non avrebbe mai potuto perfezionare il suo lavoro senza l’ausilio delle sue decisive pedine, tra le quali un ruolo essenziale è indubbiamente ricoperto dall’imponente figura di Cristiano Ronaldo, che con la sua sola presenza tanto sta dando a questo gruppo in termini di consapevolezze e determinazione. Una figura come lui era ciò che mancava al gruppo, ecco perché il portoghese costituisce il vero fulcro del progetto di crescita bianconero: la scossa data dal suo arrivo si è riflessa in un diverso e più concentrato approccio alla gare che contano, considerando che avere in gruppo un pluricampione come lui dà alla squadra maggiore sicurezza che poi viene espressa sul campo in termini di gioco. Invero, Ronaldo è l’indiscusso punto di riferimento anche del gioco di Allegri, che di partita in partita, da Dybala a Bernardeschi, passando per Cudrado e Mandzukic, cerca di affiancargli l’uomo che più è in grado di metterlo in condizione di esprimere il suo potenziale. Il resto lo fanno i numeri e le performance del 5 volte pallone d’oro, che anche se ancora a secco in Champions (dove, peraltro, ha finora giocato soltanto 120 minuti), è comunque una bomba ad olorogeria pronta ad esplodere non appena si creino le condizioni. Il destro improvviso esploso a Manchester, dirottato in angolo solo grazie ad una prodezza di De Gea, è la perfetta rappresentazione di questa metafora.

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Insomma, è trascorso soltanto un anno, ma a Vinovo tanto sembra essere cambiato, nella mente e nelle gambe dei giocatori. La Juve adesso fa veramente paura a tutti, e non a caso è osannata da tutta la stampa internazionale. Ciò che la Vecchia Signora trasmette alle avversarie non è più soltanto una sensazione di estremo rispetto, ma il timore di essere affrontata. Quello stesso timore che fino a qualche tempo fa ancora si aggirava proprio nello spogliatoio bianconero e che adesso sembra aver definitivamente preso la via dell’uscita. Ebbene, se nemmeno questo sarà questo “l’anno buono”, prepariamoci quanto meno all’inizio di una nuova storia di dominio calcistico internazionale, con una nuova protagonista.

 

Fonte immagine in evidenza: www.lastampa.it

Amedeo Polichetti

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