Lo aveva gridato la nostra CT Milena Bartolini dopo la vittoria contro l’Australia, augurandosi che l’Italia potesse arrivare ad avere strutture e contratti simili sia per la Nazionale femminile che per quella maschile, ed in quel senso l’abolizione della legge 91/1981 che di fatto pone il calcio femminile alla pari con il calcio dilettantistico sarebbe un enorme passo in avanti. Dall’Olanda arriva però una delle più importanti novità per il calcio femminile, e arriva da una squadra che ci ha sempre abituato nella storia alle rivoluzioni, ovvero l’Ajax.
Il 25 luglio, il direttore generale dei lancieri, Edwin van der Sar, ha firmato un accordo con il sindacato ProProf, che stabilisce l’equità contrattuale sia per la sezione maschile che per quella femminile. Ciò ovviamente non vuol dire che lo stipendio di David Neres sarà uguale a quello di Kika van Es per via di diversi fattori, come sponsor e copertura televisiva, ma nell’accordo si garantisce salario minimo, assicurazione sanitaria e mantenimento dello stipendio in caso di infortuni gravi. Una vera e propria apertura al professionismo che ha soddisfatto la responsabile dell’area femminile dell’Ajax, Daphne Kostner, e che fa eco all’annuncio di inizio giugno del KNVB, la Federcalcio olandese, di voler raggiungere la piena parità salariale in Nazionale entro il 2023. L’Ajax è però il primo club al mondo a garantire condizioni contrattuali da professionista per la sezione calcio femminile e parlare di rivoluzione sotto questo aspetto non è assolutamente sbagliato.
Quello della federazione olandese è un gesto che invece fa seguito ad un altro gesto simile, quello della Nazionale norvegese, che ha raggiunto la parità contrattuale nel 2017, quando la sezione maschile rinunciò ad una parte del proprio stipendio per fare in modo che fosse pari a quello della sezione femminile, ovvero di 620mila euro. Nonostante ciò, i problemi in Norvegia sono rimasti, ed il gesto di Ada Hegerberg di rinunciare al Mondiale li ha fatti riemergere. La ragazza pallone d’oro 2018 ha infatti fatto notare come ci sia effettivamente parità sugli stipendi percepiti, ma durante i ritiri delle due Nazionali gli uomini venivano pagati per le pubblicità ed avevano a disposizione diversi kit e scarpini, mentre le donne non avevano niente di tutto questo.
Tuttavia, la situazione norvegese non è certamente grave come quella nel resto del mondo: due anni fa fece scalpore la protesta della capitana della nazionale Irlandese, Emma Byrne, per il trattamento ricevuto da lei e dalle sue compagne, costrette ad utilizzare i bagni pubblici come spogliatoi e condividere la tuta con le selezioni giovanili. Gli stessi USA, campionesse del mondo per la quarta volta a Francia 2019, hanno uno stipendio nettamente inferiore (si parla di quasi 40%) rispetto alla sezione maschile, i cui risultati sono certamente più miseri. La stessa Megan Rapinoe, al termine del mondiale, ha nuovamente denunciato la disparità di stipendi e, in risposta ai cori dello stadio durante la finale che inneggiavano alla “equal pay”, la parità salariale, ha dichiarato che secondo lei ormai il movimento calcio è pronto a raggiungerla.
Il problema principale, però, è probabilmente quello delle squadre di club. Nel marzo 2018 erano venuti alla luce dei dati secondo i quali gli stipendi dei 7 principali campionati femminili (Francia, Germania, Inghilterra, USA, Svezia, Australia e Messico) raggiungevano in totale i 42,6 milioni di dollari, ovvero meno di quanto il PSG spende annualmente per il contratto di Neymar (43,8 milioni). Lo stipendio di 1693 atlete femminili non riusciva a coprire l’intera somma di un singolo stipendio, e il paragone con il contratto più oneroso del calcio femminile è irrisorio, visto che arriva ad un tetto massimo di 450mila dollari (il contratto di Alex Morgan con gli Orlando Pride).
Ma le stesse Morgan, Marta e Hegerberg sono fortunate rispetto a molte loro colleghe alle quali non è nemmeno riconosciuto lo status di professionista. La sola Uefa conta circa 1400 atlete semi-professioniste tra i suoi tesserati e qui in Italia abbiamo una delle situazioni più gravi. Non essendo riconosciuto lo status di professionista per via della legge 91/1981, le calciatrici non firmano dei contratti di lavoro ma dei semplici accordi economici che per legge non possono superare i 30.658 euro lordi all’anno, ai quali si aggiungono indennità di trasferta, rimborsi spesa per un massimo di 61 euro al giorno per 5 giorni alla settimana. Nella Serie B la situazione è molto più ridicola, con moltissime ragazze senza stipendio e poche “miracolate” che percepiscono un rimborso spese di 500 euro mensili.
Perciò, alla luce di questi dati, il gesto dell’Ajax sembra essere un barlume di speranza per l’intero movimento, la cui crescita non può più essere ignorata né dalle federazioni, né da sponsor e tv, che devono garantire almeno in parte la copertura televisiva di campionati, competizioni continentali e partite delle nazionali. L’assottigliamento del gap salariale deve passare anche da queste piccole cose, che sono ciò che più aiuta le società maschili a permettersi gli stipendi milionari (talvolta faraonici) dei loro tesserati. La Equal Pay invocata dal Parc OL durante USA – Olanda non è una chimera irraggiungibile, ma la strada è molto lunga e l’Ajax ci ha soltanto indicato il percorso che il calcio femminile deve seguire.
Andrea Esposito
fonte immagine in evidenza: eurosport.com