Era il lontano 1957, quando Dr. Seuss (pseudonimo di Theodor Seuss Geisel), scrittore e fumettista statunitense, decise di mettere nero su bianco la storia del Grinch, uno strambo essere antropomorfo dalla pelle verde che odiava il Natale. Il Grinch (How the Grinch Stole Christmas!) è, in origine, un racconto in versi con illustrazioni disegnate da Seuss stesso, scritto in rima e pensato per i bambini, il cui esordio fu curato dalla casa editrice Random House e, poco dopo, comparve sulla rivista americana Redbook.
La National Education Association e lo School Library Journal hanno nominato il libro, rispettivamente nel 2007 e nel 2012, uno tra “Teachers’ Top 100 Books for Children” – la prima – e come uno dei “Top 100 Picture Books” – il secondo.
Nel 1966 il testo era stato riadattato in uno special televisivo animato diretto da Chuck Jones e Ben Washam, Il Grinch e la favola di Natale!, per poi passare alla storia grazie alla magistrale interpretazione di Jim Carrey nell’omonimo film del 2000. Oggi, nel 2018, è al cinema una nuova rivisitazione animata diretta da Yarrow Cheney e Scott Mosier, disponibile nelle sale italiane dal 29 novembre e con la straordinaria voce protagonista di Benedict Cumberbatch nella versione originale.
Dunque, ancora una volta il Grinch è tornato. E, in ognuno di noi, quel noto sorriso arcigno risveglia una certa simpatia e un minimo di empatica insofferenza all’eccesso che, spesso, le festività possono significare.
La storia
Il Grinch abita in una grotta in cima al Monte Crumpit, lontano e isolato dalla civiltà che mal sopporta e vive odiando, in particolar modo, l’aria natalizia fatta di regali e canditi, di auguri e immotivata felicità.
È un essere scontroso e burbero, dal cuore “di due taglie più piccolo”, che trascorre il suo tempo con il suo adorabile cane Max. E sarà proprio Max, col muso pieno di neve a mo’ di barba, a dargli l’idea sul come rovinare agli umani il Natale: lui si sarebbe travestito da Babbo Natale e avrebbe camuffato il suo cane da renna in modo da scendere nel villaggio senza essere notato e riuscendo, così, nel suo intento di rubare il Natale. Durante la messa in atto del suo piano, viene sorpreso da Cindy Chi Lou, un’adorabile bambina che, ingenuamente, crede al suo ruolo. Allora il Grinch prosegue nei suoi intenti, ripulendo ogni casa da addobbi, dolci e regali e, una volta in cima alla montagna, pregusta il momento in cui l’intero paese di Chistaqua, svegliandosi, si sarebbe dato alle urla per il furto subito.
Ma tutto cambia quando i Chi, al contrario, non innalzano urla ma gioiosi canti di Natale, lasciando intuire che la festa non è nella materialità persa ma nello stato d’animo e nell’amore che si decide di condividere con il prossimo. Allora il Grinch, motivato da un’inaspettata epifania, si lancia in una sfrenata lotta contro il tempo per cercare di recuperare la slitta carica della refurtiva natalizia, per evitare che questa sprofondi in un dirupo. E l’eroico tentativo fa sì che il suo cuore cresca a dismisura, donandogli la giusta forza per salvare la slitta e, con essa, la festa.
Da fumetto a tradizione
Il libro nasce dall’idea dell’autore di muovere critica alla commercializzazione del Natale: troppi ridondanti addobbi per una festa che dovrebbe abbracciare solo il piacere dello stare insieme e del ritrovarsi, al di là delle distanze o di eventuali dissapori.
«Ma certo che sono accecanti.
E il punto è proprio questo no?
Si è trattato soltanto e sempre di questo: i regali.
Regali, regali, regali, regali, regali!
Volete sapere che fine fanno i vostri regali?
Arrivano tutti da me, su all’immondezzaio.
Lo capite che voglio dire?
Nella vostra spazzatura!
Mi ci potrei impiccare con tutte le brutte cravatte che ho trovato nel pattume!
L’avidità… la vostra avidità, infinita!
Voglio le mazze da golf, voglio i diamanti, voglio un pony per cavalcarlo due volte, annoiarmi e poi venderlo per farci la colla!
Sentite, io non voglio creare problemi, ma tutto l’intero periodo delle feste è stupido, stupido, stupido.»
Dal film Il Grinch (2000), regia di Ron Howard.
Nella versione archetipica di Seuss, non ci si sofferma sul passato dello scorbutico esserino verde: una triste storia affrontata, invece, nella moderna versione cinematografica. Un passato che ritorna, un passato che ferisce e induce ad allontanare sentimenti ed emozioni. Il Grinch, una sorta di versione fantastica di Sgrooge della nota opera dickensiana “Il Canto di Natale”, insegna all’amore: la gentilezza può vincere un animo imbruttito dal dolore e dal tempo, un sorriso può regalarne altri e, spesso, l’ostilità non è solo semplice cattiveria.
Dunque, il Grinch, con amara ironia, ha conquistato i cuori di tutti impersonando il sentimento di rifiuto al superfluo e alla circostanziale esagerazione delle feste. E, da fastidioso essere color verde invidia, è divenuto tradizione da rispettare, tanto quanto il valore più vero del Natale stesso.
Pamela Valerio