Linee geometriche e regolari, eppur sinuose e delicate, che fanno da contorno a vividi ed euforici colori che mal si incastonano in delle solide figure dal perimetro saldo e inamovibile, ma con la loro vivace cromatura evadono dai rigidi margini ben definiti e si effondono in fiumi di meravigliosa indeterminatezza, seppur leggera, quasi come a voler emulare una leggiadra tendenza all’astrattismo, eppure senza mai erompere del tutto dai singolari canoni artistici dell’epoca, per cui egli stesso aveva seminato terreno fertile: questa la sublime tecnica artistica di uno dei maggiori esponenti del movimento dell’Art nouveau, sorto a Vienna, alla fine del XIX secolo: Gustav Klimt.
Pioniere di un nuovo modo di fare arte, completamente dissonante rispetto ai vetusti modelli, improntati ancora ad un modus artistico accademico ed eclettico, intriso di pedissequa prosaicità e costumata, ma gravosa sobrietà, Klimt diede vita alla scuola viennese della Sezession, che ergeva le proprie fondamenta “sull’aspirazione ad una integrazione delle arti, come mezzo per consentire l’opera d’arte totale e ad una parità tra arti minori e arti maggiori, tra arte per il ricco e arte per il povero”; esplode il culto della bellezza, la volontà di diffondere capillarmente l’arte che penetra impunemente persino nelle case, attraverso l’espediente dell’architettura.
“Nessun settore della vita è tanto esiguo e insignificante da non offrire spazio alle aspirazioni artistiche.”
L’eccellente maestria e l’esemplare abilità dell’artista viennese si trasfondono nei suoi dipinti, culminando in un’orgasmica frenesia di assoluto equilibrio formale, divampando in uno spasmodico incendio di elegante armonia. Tutto è colore, perfetta forma, proporzionata simmetria, affiatata assonanza. Mirabile sintesi di quest’orgia di bellezza stordente è il “periodo aureo”, che Klimt inaugura con il quadro “Giuditta I”, e in cui prorompono le tinte auree. L’oro si impossessa lascivamente di ogni effigie, pervade ogni immagine, si insinua in ogni dettaglio, spudoratamente impregna la totalità del dipinto. Esso non è mai semplice sfondo, modesto strumento adibito a riempire spazi, al contrario si carica di amletici significati allegorici. E proprio di toni aurei traboccano alcune delle più importanti opere dell’artista viennese, come “Ritratto di Adele Bloch-Bauer”, “Il bacio” e, infine, “Giuditta II”, punto d’arrivo di questo suo superbo ciclo artistico.
Allegorie sottilmente inquietanti, dai contenuti ignoti ed enigmatici permeano i dipinti di uno dei maestri dell’Art nouveau. In questa chiave si comprende l’oscura accezione dei simboli che popolano le figure delle opere klimtiane: il sesso maschile è sempre cosparso di quadrati neri e spigolosi, dalle estremità nette e fisse, incorruttibili nella loro fermezza, proprio ad evidenziare la virilità e la forza che caratterizzano l’uomo. Al contrario, il sesso femminile, protagonista egemone nell’arte di Klimt, si avviluppa, come in un caldo abbraccio, a simboli tondi, dalle tonalità accese, ognuno dei quali reca al proprio interno una coppella nera, sottesa a simboleggiare la cavità genitale femminile e, fuor di metafora, la sublime arrendevolezza della donna, la sua docile delicatezza, la grazia avvenente, la sua predisposizione ad accogliere l’autorità dominante dell’uomo.
Tuttavia, la donna è anche maestra d’inganni e seduzione ammaliante, nutrita di un esuberante erotismo, di una mistica sensualità, che fa disvelare i più reconditi e inconfessabili segreti dell’animo maschile e, senza rimorsi, lo calpesta, lo uccide e lo governa, come avviene nel quadro “Giuditta I”, in cui l’eroina biblica, Giuditta, decapita Oloferne, dopo averlo sedotto.
“Tutta l’arte è erotica”, del resto.
Nel disegno, altra forma d’arte che l’artista viennese sperimenta, Klimt abbandona le effigi stilizzate e inflessibili, e si orienta verso immagini dai contorni molto più morbidi e flessuosi. Il pittore si spegne il 6 febbraio 1918.
“Chi vuole sapere di più su di me, cioè sull’artista, l’unico che vale la pena di conoscere, osservi attentamente i miei dipinti per rintracciarvi chi sono e cosa voglio.”
Clara Letizia Riccio