La discutibilità delle scelte di Aleksandr Ceferin alla guida della Uefa ormai non fa più notizia: dalla tardiva decisione di bloccare le competizioni europee quando il COVID già dilagava incontrastato nel nostro continente alle minacce a vuoto rivolte ai club coinvolti nella Superlega, per le quali è sembrato nulla più che un cane rabbioso che abbaia agli sconosciuti, e non il presidente di una delle federazioni più importanti del pianeta, la lista delle gesta del capo della UEFA è molto lunga. Ma ciò che si è consumato in tema di diritti LGBTQ nelle ore che hanno preceduto il match tra Germania e Ungheria ha dei connotati eufemisticamente grotteschi e paradossali.
Preludio: l’Ungheria, nella figura del suo primo ministro Viktor Orban, ha approvato una legge contro la pedofilia a tutela ovviamente dei bambini. Il problema? La legge ha messo sullo stesso piano di giudizio la pedofilia e l’omosessualità perché, al fine di “proteggere” i più piccoli dagli abusi, sono stata vietati non solo la pornografia, ma anche qualunque contenuto che rappresenti un orientamento sessuale diverso da quello eterosessuale e questo perché la rappresentazione, la propaganda di argomenti LGBTQ+ o la semplice sensibilizzazione per l’uguaglianza «[…] possono danneggiare gravemente lo sviluppo fisico, mentale e morale».
Ed è in questo clima già infuocato che Ceferin e la UEFA hanno preso la drastica e stupida decisione di impedire categoricamente al governo bavarese di illuminare l’Allianz Arena di Monaco con i colori del Pride, in quanto (secondo loro) sarebbe stata una presa di posizione politica e la UEFA è fermamente contraria alle affermazioni politiche. Se anche si volesse ignorare la sciocca retorica secondo cui il calcio non debba immischiarsi con la politica, rimanendo quindi nella sua bolla lontana da tutto e tutti, l’idiozia dietro la scelta di Ceferin si allarga come una macchia d’olio su tutto ciò che è e che potrebbe essere Euro2020. Per quanto ci possa piacere poter spegnere il cervello e semplicemente ignorare che il mondo esista una volta scesi in campo, sappiamo bene che le questioni politiche non possono essere scisse da quelle di gioco.
Quello che abbiamo visto nel finale del match tra Ungheria e Francia era un pubblico impazzito che festeggiava i propri beniamini, intenti a cantare l’inno nazionale a ridosso di una delle due curve della Puskas Arena di Budapest. Ciò che si è visto però prima del fischio di inizio era un’onda rossa e nera di persone ammassate che marciavano uniti contro Black Lives Matter e contro qualsivoglia rivendicazione di uguaglianza. Quindi si sa perfettamente che il mondo non è staccato dal calcio, e ciò che succede finisce inevitabilmente per riflettersi anche sul rettangolo di gioco. Lo sanno tutti, tranne Ceferin che si illude di poter tenere tutto e tutti lontano dal mondo del calcio attraversi gesti di dubbia efficacia.
La UEFA ha temuto l’incidente diplomatico, nel caso in cui lo stadio di Monaco si fosse illuminato a favore dei movimenti LGBTQ+, e su questo non c’è il benché minimo dubbio, anche perché siamo ancora nel Pride Month e la legge del partito Fidesz è di freschissima approvazione. Il veto posto da Ceferin (che è già sbagliato di per sé) è però arrivato per il motivo più errato. Quella della Germania, e sopratutto dello Stato bavarese, era una scelta che andava sicuramente a punzecchiare i magiari, ma era anche e soprattutto pensata a tutti coloro che lottano per i propri diritti.
I vertici della federazione hanno poi tentato goffamente di recuperare la faccia e la reputazione perduta pubblicando sui social il proprio logo colorato a tema pride, proprio lo stesso tema che invece l’Allianz non ha potuto sfoggiare e che, tra le altre cose, stavano per costare una multa al capitano della Germania Manuel Neuer, “reo” di aver indossato una fascia arcobaleno sul braccio anziché una “normale”.
La più grande ed importante confederazione calcistica europea si è sempre detta contraria a razzismo, omofobia e qualunque tipo di discriminazione esista in questa società. Tuttavia c’è una enorme differenza tra il postare il proprio simbolo con i colori del Pride e agire per dimostrare di essere davvero schierati a favore di certe istanze, e Aleksandr Ceferin questa volta ha agito come peggio non si poteva. A questo punto, la UEFA in quanto istituzione inizi a pensare bene alla direzione che sta prendendo, perché ormai è in guerra sia con le società più importanti che con le persone e questa situazione non può far altro che degenerare.
Andrea Esposito
fonte immagine: calciomercato.com