Manca circa mezz’ora alla mezzanotte del 22 settembre 2016. L’Atleti Azzurri d’Italia si è completamente svuotato, dopo essere schiumato di rabbia per la sconfitta, la quarta in cinque partite, rimediata allo scadere contro il Palermo.I fischi sono stati numerosi e l’aria è molto pesante. All’interno dell’impianto di Viale Giulio Cesare 18 sono rimasti solo in quattro: il presidente Antonio Percassi, il direttore sportivo Gabriele Zamagna, il responsabile dell’area tecnica Giovanni Sartori e l’allenatore Gian Piero Gasperini. Si parla, si discute, si cercano di comprendere i motivi delle difficoltà dell’Atalanta in quest’inizio di stagione. La riunione dura circa 90 minuti, alla fine della quale l’ex Genoa lascia lo stadio, mentre la dirigenza si trattiene ancora per un po’. La posizione del tecnico di Grugliasco è appesa ad un filo, ma per il momento resta alla guida della squadra. Probabilmente perché siamo già al giovedì, domenica si rigioca ed è complicato trovare un sostituto in un lasso di tempo così ristretto. Ma Crotone sarà l’ultima spiaggia: se l’Atalanta dovesse uscire sconfitta anche dallo Stadio Adriatico, il cambio sarebbe quasi automatico. Iniziano già a circolare i nomi: Eugenio Corini, Stefano Pioli e due che sulla panchina nerazzurra si sono già seduti, Antonio Colantuono e Eduardo Reja.
Il cambio non arriverà. L’Atalanta vince in casa dei rossoblu archiviando la partita già nel primo tempo, grazie alle reti di Petagna, Kurtic e Gomez. È l’inizio della risalita, è l’inizio dell’Atalanta targata Gasperini; nelle successive otto giornate la squadra raccoglie 22 punti su 24 disponibili, segnando 14 reti e subendone appena due (6 clean-sheet). Il resto, come si suol dire, è storia.
Sono passati 982 giorni da quel gol di Nestorovski e nell’arco di queste tre stagioni che si sono completate, l’Atalanta ha rappresentato la faccia più interessante del calcio italiano. Il merito è di un settore giovanile che da sempre rappresenta il top in Italia, capace di riuscire ad intercettare i migliori talenti sparsi per la penisola; di una dirigenza lungimirante che tra altri 900 giorni circa potrà vantarsi di avere un impianto nuovo e al passo coi tempi, la Gewiss Arena; ma soprattutto di un grande allenatore, che da ormai un decennio si è confermato in Serie A come uno dei migliori in circolazione.
Le squadre di Gasperini sono come i film dei grandi registi: hanno una propria identità, in cui si riesce sempre ad intravedere la mano di chi ci sta dietro. Il 3-4-3 è ormai il suo marchio di fabbrica più riconoscibile, assieme alla velocità della manovra di gioco, il pressing alto e l’ampiezza con l’undici occupa il terreno di gioco. Sono caratteristiche inscindibili delle squadre del Gasp, che alleni le giovanili della Juventus, il Genoa, il Palermo o l’Inter. Ovunque sia andato – anche dove le cose non sono andate nel verso in cui lui sperava – non ha mai rinunciato ai suoi dogmi, alle sue idee. E questo adesso l’ha portato finalmente a raccogliere i frutti del proprio lavoro, che si possono riassumere (in parte) nei numeri:
MEDIA PUNTI PER SQUADRA (ULTIME TRE STAGIONI)
Juventus 92, Napoli 85.3, Roma 76.7, Inter 67.6, Atalanta 67, Lazio 67, Milan 65
Nelle ultime tre annate, l’Atalanta ha raggiunto vette mai esplorate prima d’ora nella sua storia. Ha raggiunto un quarto posto alle spalle di Juventus, Roma e Napoli, regalandosi la possibilità di giocare l’Europa League per la terza volta nella propria storia. L’ultima volta che era andata fuori dall’Italia si chiamava ancora Coppa UEFA, era il lontano 1991 e si era fermata ai quarti di finale contro l’Inter. Questa volta, rispetto al passato, non solo vi ha partecipato ma ne è stata assoluta protagonista, disputando un girone eccezionale in cui ha eliminato l’Everton (8-1 nel doppio confronto), si è tolta la soddisfazione di battere l’Olympique Lione e di tenere testa al Borussia Dortmund ai sedicesimi. Quest’anno è riuscita a spingersi ancora oltre, raggiungendo la finale di Coppa Italia, persa contro la Lazio, e, soprattutto, una storica qualificazione in UEFA Champions League. Incredibile pensare, tornando a quel 21 settembre 2016, come tutto avrebbe potuto essere diverso oggi se il presidente Percassi avesse preso una scelta diversa. Ma fortunatamente per entrambi è andata così, e non potrebbero esserne più felici.
Se ti chiami Atalanta e giochi in una cittadina che supera di poco le 120.000 unità, non capita tutti i giorni di terminare in classifica davanti a squadre del blasone di Milan, Lazio e Roma. Ancora meno di avere il privilegio di prendere parte alla competizione per club più affascinante al mondo. E questo fa ben comprendere i limiti del calcio europeo, in cui le piccole realtà faticano sempre di più ad emergere, perché la forbice economica con i grandi club si sta allargando sempre di più. Si parla sempre, continuamente, di ‘cicli’, di ‘progetti’, di ‘investire sui giovani’, ma questo per club delle dimensioni dell’Atalanta non esiste. È impossibile avere un progetto basato su dei giocatori in un sistema, sia economico sia regolamentare, che non aiuta a trattenere le proprie stelle e dove, ormai, un contratto di cinque anni ha la stessa valenza di un contratto in scadenza: se il giocatore vuole andare via, la società non può fare nulla, se non assecondare. Basti vedere la sfilza di giovani talenti che la squadra bergamasca ha dato via nell’arco di questo triennio, per renderci conto sia dell’iniquità del calcio europeo che della straordinarietà del lavoro di Gasperini. Riuscire a migliorare i risultati di una rosa che, stagione dopo stagione, è costretta a rinunciare a qualcuno non è sicuramente semplice. Soprattutto se a lasciare è un giocatore già formato e ad essere inserito è un ragazzo che deve crescere ed imparare a giocare in un sistema complicato come quello gasperiniano.
L’inizio di questa annata sembrava infatti portare ad un appiattimento della crescita dell’Atalanta. L’eliminazione ai preliminari di Europa League con il Copenhagen ha rappresentato un peso enorme a livello psicologico, tanto che dopo otto giornate i punti erano a malapena sei. Poi, come tre anni fa, è arrivato il cambio di marcia e la squadra non si è più fermata: nel girone di ritorno ha raccolto più punti di tutti (41). Non è casuale che l’inizio della risalita sia coinciso con il ritorno a pieno regime di Josip Ilicic, che aveva saltato l’inizio della stagione per un’infezione batterica ai linfonodi del collo. Il giocatore sloveno, che oltre ad essere il giocatore qualitativamente più importante della rosa è il perno attorno a cui ruota l’intera manovra offensiva, quest’anno ha disputato la migliore stagione della sua carriera.
La crescita di Ilicic rappresenta al meglio quanto il sistema di Gasperini migliori i giocatori. Arrivato a Palermo a soli 22 anni, il nativo di Prijedor sembrava essere destinato a tutt’altra carriera, quella che altri giocatori che sono transitati in rosanero in questi anni hanno avuto. E invece è come se ad un certo punto si fosse perso, avesse smesso di migliorare e si fosse arreso ad essere il classico giocatore dal grande estro ma perennemente in lotta con la propria discontinuità. Tant’è vero che è approdato in nerazzurro per una somma relativamente bassa, 5.5 milioni più bonus. Che è incredibile se pensiamo a come stia giocando adesso, eppure all’epoca erano ampiamente giustificati. Ma Ilicic non è il solo, basti guardare i suoi compagni di reparto: Gomez si è guadagnato addirittura un posto in nazionale, Zapata ha disputato la migliore stagione della propria carriera e sembra finalmente essere maturato. È una coincidenza? Potrebbe esserlo, ma nel corso di questi anni, tra Genoa e Atalanta, ve ne sono state troppe per credervi. La realtà è molto più semplice, ha un nome, un cognome e una chioma folta di capelli bianchi.
Michele Di Mauro