Neanche stavolta siamo riusciti ad avere una nuova legge elettorale elezioni Rosatellum
Fonte immagine: Wikimedia Commons

Con la caduta del governo Draghi, e l’impossibilità di trovare una maggioranza alternativa, il Presidente della Repubblica ha ritenuto opportuno sciogliere le Camere e indire delle nuove elezioni a circa otto mesi prima della scadenza naturale della legislatura. Si voterà il 25 settembre, una data inusuale per le elezioni in Italia, dato che sarà la prima volta che gli elettori si recheranno alle urne in autunno e, di conseguenza, vivranno la maggior parte della campagna elettorale sotto l’ombrellone. L’appuntamento elettorale, però, porta con sé altre novità. Segnerà, infatti, la fine del Parlamento per come lo conosciamo. I seggi per cui competeranno i partiti saranno 600 (400 alla Camera e 200 al Senato) e non più 945. Cambieranno, di conseguenza, gli equilibri parlamentari e ci saranno nuovi rapporti di forza. Nonostante ciò, la legge elettorale con cui i voti si trasformeranno in seggi resterà la stessa: il Rosatellum.

L’attuale legge elettorale, che prende il suo nome dal relatore, Ettore Rosato, ex deputato del PD passato a Italia Viva, fu approvata nel 2017 e ha regolato finora solo le ultime elezioni Politiche, quelle del 2018. Si tratta di un sistema misto sia per Camera che per Senato che prevede una parte di parlamentari eletti con un maggioritario uninominale e un’altra parte con il proporzionale plurinominale, lasciando una piccola percentuale di eletti alla circoscrizione estera.

In molti concordano che il Rosatellum abbia offerto una prova mediocre ai fini del buon funzionamento dell’istituto parlamentare e della stessa forma di governo. Inoltre, bisognerebbe considerare la novità forse più rilevante delle prossime elezioni: la riduzione dei parlamentari, la quale andrebbe ad incidere sensibilmente sullo spazio della rappresentanza. Tutto ciò induce a pensare che una riforma elettorale, prima di tornare al voto, sarebbe stata più che necessaria.

Come funziona il Rosatellum

Come anticipato, la legge elettorale Rosatellum prevede un sistema elettorale misto, con un terzo dei seggi, tra Camera e Senato, distribuito in collegi uninominali, cioè tramite un sistema maggioritario, e i due restanti terzi divisi tra i partiti in base ai punti percentuali che hanno ottenuto alle elezioni, quindi tramite un sistema proporzionale. Ovviamente, in un collegio uninominale ogni partito o coalizione presenterà un solo candidato che sarà eletto se prenderà almeno un voto in più degli altri. Nei collegi plurinominali, invece, gli elettori si troveranno di fronte delle “liste bloccate“, cioè delle liste compilate dai partiti e dalle coalizioni, e dovranno sceglierne una senza esprimere la preferenza per un candidato.

Alla Camera ci saranno 148 collegi uninominali (il 37%) e 244 seggi plurinominali (il 61%), i restanti 8 saranno assegnati nelle circoscrizioni estere. Al Senato, la cui assegnazioni dei seggi si basa sullo stesso principio di quella della Camera, 74 seggi saranno assegnati nei collegi uninominali, 122 con un metodo proporzionale e 4 nelle circoscrizioni estere. L’unica differenza è che alla Camera i seggi assegnati con il sistema proporzionale saranno calcolati sulla base dei voti ottenuti a livello nazionale, mentre al Senato a livello regionale.

Per eleggere i propri deputati, i partiti dovranno ottenere almeno il 3% dei voti su base nazionale – superando la soglia di sbarramento – mentre nel caso in cui si presentassero in coalizione, questa dovrà ottenere almeno il 10% dei suffragi. Saranno ammesse alla ripartizione dei seggi al Senato, anche le liste che otterranno almeno il 20% dei voti su base regionale. Ciò significa che, per la presenza dei collegi uninominali, sono favorite le coalizioni tra partiti diversi. Le alleanze, infatti, avranno un incentivo a dividersi tra loro i vari collegi e appoggiare in maniera unitaria i candidati di coalizione dove sono più forti.

La legge elettorale Rosatellum non è esente da difetti. La prova offerta con le ultime elezioni politiche non è stata soddisfacente, dato che ha prodotto una situazione ingestibile che ha penalizzato la governabilità. Questa volta, però, le cose potrebbero cambiare. Il centrodestra unito si candida al raggiungimento della soglia implicita del 40% dei voti in entrambe le camere. Un altro problema legato alla legge potrebbe riguardare l’effetto distorsivo dei collegi uninominali. Nel 2018 si verificò una situazione che contribuì a mitigare tale effetto, dato che l’elevato numero di collegi uninominali conquistati al nord dal centrodestra fu controbilanciato dal successo dei grillini al Sud. Tale situazione, però, si ripresenterà molto difficilmente.

Un altro problema è rappresentato dalla grave menomazione del principio di rappresentatività democratica. Seppur siano stati compiuti dei passi in avanti, soltanto un terzo dei deputati e dei senatori risulteranno eletti direttamente dagli elettori, cioè quelli nei collegi uninominali. Quasi due terzi, invece, risulteranno cooptati dai listini bloccati dei collegi plurinominali, dove a risultare eletti saranno soltanto quelli posizionati al primo posto (o al secondo per le liste più votati) dalle segreterie di partito. L’elettore, però, non avrà alcuna possibilità di esprimere la propria preferenza per il candidato, dato che se questo intendesse votare il quarto della lista non potrà farlo, dovendo accettare passivamente i candidati rigidamente posizionati dalla formazione politica di appartenenza.

Un’incognita importante per la presente legge elettorale, come già ricordato, è rappresentata dal taglio dei parlamentari, nonostante la riforma del governo Conte II che ha ridisegnato i collegi elettorali nel 2020 dopo il referendum. Innanzitutto, al Senato, che si elegge su base regionale, in alcune circoscrizioni più piccole, si determinerà una soglia di sbarramento un po’ più elevata, causando una sotto-rappresentanza delle forze più piccole. Inoltre, si può prevedere che si produrrà anche un effetto indiretto, più politico che tecnico. Con meno parlamentari, le scissioni saranno più minacciose. Generalmente, il taglio dei parlamentari sfavorisce la creazione di una maggioranza netta. Avere meno parlamentari significa avere una differenza più ridotta tra la maggioranza e l’opposizione e di conseguenza le scissioni possono avere un ulteriore peso. Infine, in queste condizioni, sarà molto difficile, per una coalizione, ottenere una solida maggioranza al Senato dato che dovrà essere votata almeno dal 44% degli elettori nel proporzionale e ottenere il 65% dei collegi uninominali.

L’Italia ha un problema con la legge elettorale

L’Italia, soprattutto negli ultimi anni, ha avuto diversi problemi con le leggi elettorali. Nei primi 45 anni della sua storia repubblicana, il Belpaese ha votato con una legge elettorale basata su un sistema proporzionale puro, mentre nei 25 anni successivi si sono avvicendate leggi orientate verso un maggioritario, che facessero leva su gradazioni diverse e adoperasse strumenti quali il collegio uninominale e il premio di maggioranza. Una prima impressione che se ne può ricavare è che i numerosi tentativi di correggere il voto non si sono tradotti in quel tanto ricercato equilibrio tra la maggiore rappresentatività e la governabilità.

Sotto questo profilo, la legge elettorale vigente può essere definita come una sorta di sistema imperfetto, concepito per essere modificato subito dopo il suo primo utilizzo. Ma le responsabilità di tale imperfezione non attengono soltanto alla legge elettorale in sé, bensì anche all’attuale assetto del sistema politico. Si tratta di fattori che una buona legge elettorale dovrebbe tenere in considerazione.

Il primo tra questi è sicuramente il fallimento dell’assetto bipolare che le riforme precedenti hanno cercato di dare al Paese, puntando anche sullo strumento delle coalizioni. Il secondo, legato al primo, è la conseguente frammentazione delle forze in campo. Il terzo, infine, è forse quello pericoloso e attiene al crescente distacco che si registra tra il corpo elettorale (che ha poca voce in capitolo nella scelta dei propri rappresentanti) e l’impianto istituzionale che produce come effetto l’astensionismo. Si tratta di tre profili che intaccano alle fondamenta l’assetto del sistema politico italiano e possono rappresentare una seria minaccia per il futuro.

Ne consegue che la scelta di un sistema elettorale non può essere una decisione che si basa sul singolo momento politico del partito proponente, una furbizia assunta sulla base di convenienze personali (lo è stato per il Rosatellum come lo fu per il Porcellum). Una legge elettorale funge da cerniera tra la volontà popolare e la sua espressione, la quale non può prescindere dal contesto sociale e istituzionale di riferimento.

Nonostante le criticità dell’attuale legge elettorale, la crisi di governo ha aperto le porte allo scioglimento anticipato delle Camere e quindi alle elezioni. Di fronte a un prossimo Parlamento ridotto numericamente, senza che siano stati ancora riformati i regolamenti e con un sistema elettorale misto che non premia né la governabilità né la rappresentatività, gli scenari che si aprono sono mutevoli, molteplici e soprattutto imprevedibili.

Non sono mancate proposte di riforma elettorale, le quali giacciono da due anni in Commissione Affari Costituzionali. Per un momento si era parlato del Brescellum, proposto dall’on. Brescia del M5S, il quale prevedeva un sistema interamente proporzionale. La Lega aveva proposto l’abrogazione del Rosatellum e del Porcellum. Forza Italia, aveva proposto, invece, una legge elettorale con prevalenza maggioritaria.

Insomma, nonostante la necessità conclamata di ridefinire in modo deciso lo strumento attraverso cui i voti degli elettori verranno trasformati in seggi, le elezioni del prossimo 25 settembre si svolgeranno con un Rosatellum che promette di riservare sorprese.

Donatello D’Andrea

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