Charles Baudelaire
Fonte: Periodico Daily

Il 31 agosto 1867, Charles Baudelaire si spegne a soli quarantasei anni, povero e malato, fra le braccia della madre. Durante la sua breve esistenza, sperimenta diversi stili di vita dimostrando di aver vissuto almeno due vite, irrimediabilmente connesse: la vita del bohèmien e quella del dandy.

Quella di Charles Baudelaire è una figura che ancora oggi evoca innumerevoli scenari nella mente dei suoi lettori. Baudelaire. Il bohèmien, il dandy, il poeta maledetto per antonomasia, il pazzo, il malinconico, lo scellerato ricercatore dell’ebbrezza e della sensualità, l’inguaribile ostentatore della bellezza. Scenari reali, effettivamente tangibili in ogni traccia che Baudelaire, nel corso della sua breve esistenza, ha lasciato di sé.

Personaggio eccentrico e poliedrico, Baudelaire viene considerato il maggiore esponente del simbolismo francese, nonché precursore del decadentismo. Dell’ingente numero di opere da lui pubblicate, la sua opera più famosa è senza dubbio “I fiori del male” (1861). Il tema cardine attorno al quale ruota tutta l’opera è lo “spleen”, termine che, letteralmente, significa “milza”, ma che viene spesso tradotto in letteratura come “Inquietudine”, “malinconia”. La concezione dello “spleen” è paragonabile a quella del “male di vivere” di Montale: una sensazione di profonda malinconia che porta con sé una riflessione sulla condizione umana. È questa profonda inquietudine che porta Baudelaire a cercare rifugio in diversi stili di vita, probabilmente con la speranza che abbiano una funzione catartica e di rinnovazione spirituale.

Si sente spesso parlare di Baudelaire come bohèmien e come dandy e, altrettanto spesso, ci si chiede come due stili di vita quasi antitetici fra loro possano aver convissuto senza problemi nell’anima di una sola persona. Per cercare di rispondere alla domanda, occorre analizzare alcune fasi della vita del poeta.

La vita del giovane bohèmien

La gioventù del poeta non è semplice: il patrigno, il colonnello Aupick, è un uomo severo e Baudelaire prova presto risentimento verso questa figura estranea e autoritaria. A dodici anni è iscritto al Collegio Reale di Lione, ma viene espulso poco dopo. Appena adolescente, comincia a frequentare i quartieri di Parigi che più pullulano di artisti squattrinati e, ben presto, l’anima bohèmienne di Baudelaire viene fuori. Il termine “bohèmien” fa riferimento a uno stile di vita tipico delle popolazioni gitane che, erroneamente, si credeva abitassero nella regione della Boemia. Questo stile di vita ha come caratteristiche principali il rifiuto di una società borghese impregnata di norme e convenzioni che opprimono la creatività artistica, la libertà sessuale, la frugalità dell’esistenza. Il Baudelaire bohèmien trascorre le giornate vagabondando per Parigi ed entra in contatto con il “Club dei mangiatori di Hashish” – del quale fanno parte anche Balzac e Dumas padre – dilapidando in fretta i suoi averi. Nel frattempo, compone le sue prime opere che sottopone alle attente disamine dei suoi amici, bohèmien proprio come lui. Il colonnello Aupick decide quindi di farlo partire per le indie per di allontanarlo dall’ambiente bohèmien parigino a egli molto caro. Baudelaire, però, approfitta di questo viaggio per contemplare, ancora in pieno stile bohèmien, il nuovo mondo nel quale si ritrova immerso. Lo stupore è grande: piante e animali mai visti prima popolano le fantasie poetiche di Baudelaire. Da questa esperienza extracontinentale che dura 10 mesi nasce il gusto di Baudelaire per l’esotismo, che lo accompagnerà per il resto della sua vita.

La vita del dandy maturo

Tornato in Francia, Baudelaire riprende oziosamente a vagare per Parigi, contemplandola in ogni suo aspetto. Ormai maggiorenne, entra in possesso dell’eredità paterna e la dilapida in breve tempo, donandosi, in pieno stile dandy, ai piaceri estetici. Il termine “dandy” è un termine che designa un individuo che ostenta eleganza e raffinatezza nel vestire e nei modi di fare. Baudelaire comincia a frequentare i salotti parigini più in voga, stringe amicizia con un’altra personalità di spicco del dandismo, Théophile Gautier, veste di tutto punto e acquista un gran numero di opere d’arte da esporre nel suo lussuoso appartamento. In questo periodo conosce anche Jeanne Duval, una mulatta che colma le notti di solitudine del poeta e la sua arte è tutta orientata alla ricerca del bello, dell’ideale. Tracce della sua ossessiva ricerca della bellezza si ritrovano anche nel titolo del suo capolavoro, “I fiori del male”. Il titolo originale dell’opera è “Les fleurs du mal”, ed è dal titolo che nasce un’ambiguità nell’ interpretazione: l’articolo “du” in francese ha una duplice valenza e il titolo può essere tradotto sia come “i fiori del male”, sia come “i fiori dal male”. I critici sostengono che il titolo corretto sia proprio il secondo, in quanto l’intento di Baudelaire fosse proprio quello di estrarre la bellezza, simboleggiata dai fiori, dal male. Ormai dilapidate tutte le sue finanze, Baudelaire si guadagna da vivere come giornalista e critico d’arte, ma continua a spendere i suoi guadagni per condurre uno stile di vita lussuoso e ricercato. Pieno di debiti, tenterà il suicidio per ben due volte.

L’anima del “poeta maledetto”

Il termine “poètes maudits” venne coniato nel 1832 dallo scrittore francese Alfred de Vigny, contemporaneo di Baudelaire. È ancora oggi utilizzato per descrivere un artista incompreso che, per ribellarsi a una società opprimente, si abbandona a comportamenti deleteri, quali l’abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti. Un poeta maledetto è spesso un artista al quale non viene riconosciuto il giusto valore e perciò è costretto a condurre un’esistenza di stenti e ristrettezze economiche pur di dedicarsi completamente alla sua arte. Baudelaire rientra a pieno titolo in questa definizione: basti pensare all’eredità paterna dilapidata in fretta e alla successiva necessità di intraprendere la carriera di giornalista e di critico d’arte per guadagnarsi da vivere. Anche l’assunzione di sostanze alcoliche e stupefacenti inserisce Baudelaire in questa definizione. Egli compone anche un saggio intitolato “I paradisi artificiali”: si tratta di un libello in cui vengono descritte le sensazioni da lui provate dopo l’assunzione di sostanze quali l’hashish, l’oppio e l’assenzio. Pur condannando l’assunzione di queste sostanze, colpevoli, a suo avviso, di agevolare l’artista nell’atto della creazione di un’opera sminuendone così il suo valore, Baudelaire ne farà uso durante tutta la sua vita. Anima tormentata, tenta anche più volte il suicidio per i debiti contratti a causa del suo dispendioso stile di vita. Durante un soggiorno in Belgio, viene colpito da un ictus che lo lascia paralizzato e afasico. Infine, dopo la sua morte, la critica lo ha condannato a un lungo periodo di damnatio memoriae, a causa del contenuto eversivo e osceno dei suoi componimenti.

Quella del “poeta maledetto” può sembrare a tutti gli effetti una definizione a posteriori della vita di Baudelaire. A una più attenta analisi, invece, si evince nel poeta una vera e propria anima maledetta, della quale la vita dissoluta e frugale da bohèmien e quella lussuosa e raffinata da dandy sono solo una superficiale manifestazione. Non deve stupire, quindi, che queste due vite siano state vissute dalla stessa persona, specialmente se la persona in questione risponde al nome di Charles Baudelaire, artista che è stato in grado di regalarci amore e odio, luce e tenebre, bene e male, vita e morte. quest’ultima, forse, soltanto fisicamente, perché la sua esistenza e i suoi versi si sono guadagnati un viaggio di sola andata per l’eternità.

«La mia anima […] assomiglia al rantolo sordo di un ferito che, immobile e dimenticato da tutti, si sforza di morire.»

Anna Rita Orlando

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