La trilogia, nata da un’idea di Stefano Accorsi, si è conclusa con “1994“. Il capitolo ultimo della serie, dalla prima all’ultima puntata, ha mantenuto come elemento-chiave la presenza di un peso morto galleggiante sulle teste dei personaggi. Proviamo ad interpretare lo storytelling della serie, alla luce delle evoluzioni degli ultimi 25 anni.
Il 1994 e La Serie
Innanzitutto, le precedenti stagioni – 1992 e 1993 – erano caratterizzate da un forte senso dello spazio pubblico, della cronaca e della giustizia, a cui si accostavano in maniera incidentale gli intrecci dei protagonisti e delle loro vite private. A partire dall’intramontabile Leo Notte, il pubblicitario – guarda caso – che entra a far parte del vortice della politica e ne muta lentamente i connotati; passando, poi, per l’aspirante showgirl Veronica Castello, per l’uomo qualunque Pietro Bosco e per quei personaggi che sono stati, infine, accantonati (ad esempio, il poliziotto Luca Pastore e l’ereditiera Beatrice Mainaghi, che hanno permesso alla serie di affrontare il tema, per lungo tempo lasciato nel cassetto, della sanità e del mercato del sangue infetto – da cui è nata la legge 210/1992 per il risarcimento dei danni per emotrasfusione).
Quest’ultima pagina della storia, tutta italiana di Tangentopoli e del 1994, presenta una struttura narrativa completamente differente. Alla linearità del racconto, si contrappongono capitoli dedicati alla specificità introspettiva dei personaggi principali. La storia si riempie di scene del privato, di cene esoteriche e di ville lussuose. Persino la giustizia, incarnata da Di Pietro e dal suo pool, presenta forme di impotenza e di rassegnazione, che vedono coinvolta la serietà e l’onestà del PM. Entrano in gioco gli storici personaggi secondari: la giornalista Giulia Castello, che con l’inchiesta del secolo avrebbe smontato il castello delle velleità di Silvio Berlusconi, ed il compagno Dario Scaglia, uomo onesto e idealista disilluso del team di Di Pietro; e, ancora, le donne e gli uomini senza volto di Pubblitalia ’80.
I personaggi di ieri e di oggi
Con l’espediente narrativo del colpo di pistola scagliato contro Leo Notte al tramonto della seconda stagione, la serie aveva lasciato gli spettatori col fiato sospeso. “1994” si apre con il dibattito televisivo più famoso della storia politica italiana degli anni Novanta: il Braccio di Ferro tra Silvio Berlusconi e Achille Occhetto, moderati da un giovane Enrico Mentana. La vecchia e la nuova politica si confrontano a colpi di parole, rincorrendo il futuro. La politica diventa spettacolo.
Poco o quasi nullo lo spazio dedicato a Dell’Utri, che grande rilevanza aveva avuto nella prima stagione. Le preoccupazioni del consigliere d’eccellenza passano in secondo piano: il 1994 è l’anno della svolta per Forza Italia. Gli scrupoli di coscienza di Leo Notte, di quando vestiva nella prima stagione i panni dell’ex comunista con la laurea in filosofia in tasca, sono ormai assenti: è totalmente al soldo di Berlusconi, a rischio di compromettere la sua vita. Inedita attenzione viene dedicata al Ministro degli Interni Roberto Maroni, a cui viene attribuita un’ingenuità di spirito e la fedeltà negli ideali del partito.
Miglior attore, in questa stagione come nelle altre, è Pietro Bosco. Capitano di ventura e uomo qualunque italiano, un passato nell’esercito e nessun talento. Con l’opportunità di una vita in politica, continua la sua carriera alla Camera dei Deputati con la Lega Nord. Gli scheletri nell’armadio di un passato difficile mettono a dura prova la sensibilità di un uomo forte che, in nessuna occasione, può apparire fragile agli occhi degli altri, che non può accettare l’abbandono e il lutto; fino a ricorrere alla violenza per colmare i suoi vuoti interiori. Veronica, il suo chiodo fisso, lo usa o lo usura per vendetta e per diletto. Lei stessa era stata ferita dalla relazione con Bosco, così come era stata violata ed oggettivata nell’arco di tutta la sua vita. L’On. Castello ha ereditato il peso del suo passato anche mentre promuoveva, insieme ad altre donne, una legge contro la violenza di genere.
Ruoli cruciali vengono assegnati a Umberto Bossi e Berlusconi. La serie racconta – con lo stupore di noi giovani senza memoria – dell’arsenale appartenente al centro destra italiano di incontri al mare e di comizi in spiaggia, insoliti fino a qualche mese fa. Proprio nella villa del Cavaliere, mentre lentamente si consuma l’opera di convincimento dell’incorruttibile leader del Carroccio, un corpo senza vita, per quanto venga dissimulato e nascosto, galleggia alle spalle dei baccanti, insieme alle distrazioni dello spettacolo, alle contraddizioni, alle ‘cose non dette’ e a quelle di cui non conosceremo mai la verità.
Fino ai giorni nostri
Il finale di stagione di 1994 dedica uno spazio all’epilogo naturale della storia, con le dimissioni di Silvio Berlusconi, l’aumento dello spread e l’avvio della crisi che ci avrebbe portato all’altro ieri: quel 2011, in cui non poteva mancare la resa dei conti con Leo Notte in rappresentanza di una generazione disillusa e priva di ideali. Un tuffo nei giorni nostri, superando, senza farci caso, gli anni del G8 di Genova, dell’introduzione dell’Euro come moneta unica, dell’Onda, dell’indipendenza del Kosovo e del terremoto in Abruzzo.
Quasi tutti gli episodi sono stati chiusi con un occhiello sulle sentenze e sui processi che hanno visto implicato Berlusconi con la nascita della Seconda Repubblica.
“1994” è un racconto romanzato e, per quanto in apparenza frutto di immaginazione, di una storia di cui siamo stati testimoni agonizzanti. Abbiamo il dovere di mantenerne viva la memoria, affinché quegli eventi non si ripetano ancora.
«Ci sono persone che non credono in niente fin dalla nascita. Ciò non toglie che tali persone agiscano, facciano qualcosa della loro vita, si occupino di qualcosa, producano qualcosa. Altre persone invece hanno il vizio di credere: i doveri si concretizzano davanti al loro occhi in ideali da realizzare. Se un bel giorno costoro non credono più – magari piano piano, attraverso una serie successiva, logica o magari anche illogica, di disillusioni – ecco che riscoprono quel “nulla” che per altri è stato sempre, invece, così naturale. La scoperta del “nulla” per essi, però, è una novità che implica altre cose: implica cioè non solo il proseguire dell’azione, dell’intervento, dell’operosità (intesi ora non più come doveri ma come atti gratuiti), ma anche la sensazione esilarante che tutto ciò non sia che un gioco.» – P. P. Pasolini, appunto 84 tratto da “Petrolio”, lettura di Leo Notte in 1992
Come un rigurgito che sale e riaffiora, il recente intervento di Bossi al Congresso delle Lega (non più Nord, ma “Salvini Premier”) ci ha riportato indietro a quegli anni, a quando non si occultava l’indole razzista della Lega Nord nei confronti dei meridionali e a quando, senza troppi giri di parole, anche chi si dichiarava contro il sistema stringeva la mano al sistema.
Sara C. Santoriello