Ogni anno l’8 marzo si festeggia la Giornata internazionale della donna: fra mimose e storie ispirazionali di donne incredibili, i social media sembrano alimentare una narrazione ben precisa. La donna (socializzata come tale) di successo nel contesto capitalista è quella che vanta raggiungimenti meramente individuali, barcamenandosi fra lavoro produttivo e compiti di cura. Pertanto, i messaggi, i valori e le narrazioni (spesso trans-escludenti) trasmessi durante questa giornata appaiono lontani dalle istanze del movimento femminista e transfemminista contemporaneo.
Questa celebrazione affonda le sue radici nel femminismo della prima e seconda ondata. La prima nasce dalle rivendicazioni delle suffragiste e dall’inclusione nei sistemi democratici moderni, mentre la seconda ha una spinta più culturale, di maggior dibattito e confronto, con il fine di rivoluzionare la visione e gli immaginari associati alla femminilità intesa in senso stretto, oltre all’ottenimento di numerosi diritti civili.
La prima volta in cui si parlò di una giornata internazionale delle donne era il 1910, durante la seconda Conferenza Internazionale delle Donne Lavoratrici all’interno della cornice dell’VIII Congresso dell’Internazionale socialista, a Copenhagen, dove Clara Zetkin propose l’idea a più di 100 gruppi femministi, partiti socialisti e unioni di lavoratrici appartenenti a 17 Stati diversi.
Nonostante l’8 marzo nasca su fondamenta socialiste e femministe, oggi la giornata sembra dominata da una visione neoliberale della donna, che celebra i traguardi professionali della «super mamma». Come avvenne nel caso degli «angeli della ricerca» per riferirsi alle dottoresse Castilletti, Colavita e Capobianchi, le tre scienziate che sono riuscite a isolare la sequenza genetica del virus COVID-19. Più recentemente, durante l’esibizione al Super Bowl, Rihanna, visibilmente incinta, è stata acclamata in quanto madre, mettendo in secondo piano la sua performance. Tuttavia, questo tipo di celebrazione delle lavoratrici non consente un riflessione più profonda sulle reali condizioni della donna sul posto di lavoro, meno retribuite rispetto agli uomini e soggette a casi di molestie.
Eppure, rispetto alle lotte delle prime ondate sono stati compiuti passi in avanti: dalla definizione e integrazione concettuale del valore dell’intersezionalità al movimento #MeToo, dalla cultura pop alla de-costruzione del sistema capitalista. Purtroppo, la violenza e la diseguaglianza di genere continuano a presentarsi con brutalità nella quotidianità di coloro che sono socializzate come donne, e non solo.
Difatti, sarebbe riduttivo non affrontare la questione delle micro-aggressioni verbali che attraversano l’aspetto linguistico di questa giornata o lasciar fuori tutte quelle persone che sperimentano la diseguaglianza di genere, almeno, nella stessa misura in cui la sperimentano le donne cisgender. Innanzitutto, il linguaggio “female-focused” potrebbe apparire come discriminatorio nei confronti di quelle persone che non si identificano come donne, ma che come tali sono percepitə o non sono percepitə. Spesso si dimentica il ruolo delle persone trans * nelle battaglie di liberazione di genere, che queste fossero i moti di Stonewall, le lotte lesbiche o quelle femministe. Inoltre, le persone trans binarie e le persone non-binary sperimentano un livello di discriminazione assimilabile a quello delle donne, seppur in forme, modalità e livelli di rischio completamente unici e peculiari.
Ci si chiede dunque se abbia senso festeggiare l’8 marzo e i passi in avanti compiuti nel campo dei diritti, se molti gruppi continuano oggi ad essere discriminati e vessati sistematicamente. D’altronde, una festa che dovrebbe simboleggiare il raggiungimento dell’equità di genere e l’abbattimento del patriarcato in tutte le sue forme, non può essere trans-escludente. L’inclusione di questo ombrello di possibilità non significa che non si potrà celebrare l’attivismo del passato, le lotte del presente e gli scontri del futuro.
Questo è il motivo per cui Non Una Di Meno da anni promuove lo sciopero nazionale dellə lavoratricə. In un tentativo di riconnessione alle mobilitazioni di inizio Novecento delle donne operaie, la protesta si lancia verso il futuro, moltiplicando i legami e rinvigorendo lo scontro. Nell’appello verso lo sciopero femminista e trans-femminista di quest’anno, NUDM si rivolge a chi riempie le piazze, a chi vorrebbe farlo, allə precariə e allə sottopagatə, alle persone senza fissa dimora, a chi subisce violenza istituzionale e a tuttə lə donne e soggettività per scioperare contro «femminicidi, stupri, molestie, […] contro la legge 54/2006 sull’affidamento condiviso, per il finanziamento di centri antiviolenza laici e femministi» e percorsi di fuoruscita dalla violenza che rispettino l’autodeterminazione, congiuntamente ad un reddito che la permetta. Altri punti essenziali sono il salario minimo, la lotta al fianco dellə sex workers, una sanità pubblica accessibile e libera da stereotipi, l’aborto libero, sicuro e gratuito, il rigetto delle guerre e la battaglia contro la crisi climatica e il greenwashing.
Queste istanze radicali sono state accolte solo in minima parte dal “femminismo liberale”, che critica i metodi ritenuti eccessivi, violenti e provocatori, e si sofferma sull’ineguale possibilità di fare carriera tra uomini e donne, senza indagare in profondità i motivi di queste disuguaglianze. Le docenti universitarie e attiviste Cinzia Arruzza, Tithi Bhattacharya e Nancy Fraser, nel loro “Femminismo per il 99%” (Laterza 2019, traduzione di Alberto Prunetti), vero e proprio “manifesto” redatto in 11 tesi, scrivono: «Non ci interessa rompere il soffitto di cristallo per poi lasciare la maggioranza delle donne a raccogliere i frammenti di vetro. Invece di celebrare le donne amministratrici di azienda che occupano gli uffici della dirigenza, preferiamo sbarazzarci degli uffici e dei consigli di amministrazione».
Purtroppo, discussioni simili faticano a inserirsi nei percorsi prestabiliti dal femminismo bianco e liberale e vengono, spesso, sminuite e messe da parte, necessitando del doppio, triplo, quadruplo, del tempo per farsi spazio, occuparlo e mantenerlo. Vogliamo superare o no questo #girlpower freediano? L’8 marzo non è la festa delle donne. L’8 marzo è di tuttə e il «femminismo senza lotta di classe è punto croce».
Rebecca Bellucci