Lo abbiamo visto di recente in Suburra nel ruolo di Teo, amante segreto di Spadino, ed è bastato a conquistarci tutti. Aleph Viola, 28enne nato a Latina, è in realtà un artista poliedrico, musicista, attore teatrale e di serie tv. Il suo percorso vanta già una nomination a miglior attore emergente per il premio Le Maschere 2018, collaborazioni del calibro di Valerio Binasco e Fausto Paravidino e una tournée europea con i “Luke and the Lion“.
Al momento è a teatro nel ruolo di Achille in “Cous Cous Klan”, l’ultimo spettacolo di Carrozzeria Orfeo che ha collezionato più di 100 repliche in meno di due anni. Due ore in atto unico di risate e divertimento ambientate in una realtà distopica, che pure sanno pungere e far riflettere.
Sul palco, insieme ad Achille, ci sono altri 5 personaggi dettagliatamente disegnati e magistralmente interpretati da Angela Ciaburri, Alessandro Federico, Pier Luigi Pasino, Beatrice Schiros e Massimiliano Setti.
Una ricetta perfetta che non smentisce i precedenti di Carrozzeria Orfeo e con la ciliegina che porta il nome dei tre registi: Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti e Alessandro Tedeschi.
Con Aleph Viola abbiamo parlato di lui, dei suoi personaggi e del suo ultimo lavoro.
Sia in Suburra sia nel tuo ultimo spettacolo “Cous Cous Klan” interpreti ruoli complessi ed esasperati. È stato difficile lavorare ai due personaggi più o meno contemporaneamente? Ci sono analogie e/o divergenze che consideri rilevanti tra i due?
«In Cous Cous Klan interpreto un ragazzo sordo cresciuto orfano in una società di un futuro distopico ai limiti della sopravvivenza, rilegato in un campo fuori dai recinti dove l’acqua è potabile e la vita è normale. Direi che è un rifiuto della società, sia per i suoi handicap che per il suo orientamento sessuale. “Gay e handicappato, Hitler avrebbe preso due piccioni con una fava” dice Nina di lui, un altro personaggio dello spettacolo. È stato molto bello incontrare questo personaggio, comprendere come funzionava il suo corpo e come mi trasfigurava o impediva di parlare normalmente. Assaggiare la violenza di chi si sente un reietto è stato intenso, soprattutto per poi rendersi conto che in fondo anche il più reietto ha bisogno di amare dal profondo, dal cuore. È stata una grande rivelazione. Che in un certo senso avevo già assaporato con Teo in Suburra 2, giovane amante del protagonista Spadino. Teo, al contrario, è un ragazzo per bene che si innamora del rifiuto della società, del cattivo vero, che prova ad amare con tutto se stesso perché crede che l’amore curi tutti i mali e può cambiare il cuore di ognuno.
Direi che ciò che hanno in comune questi due personaggi sia l’amore, la delicatezza e la tenerezza che scorre nelle loro vene e che fa battere il loro cuore puramente, anche quando la bruttezza e l’oblio li circondano.»
Carrozzeria Orfeo è al momento una delle compagnie teatrali più in vista in Italia. Come sei entrato a farne parte?
«Sono stato chiamato sotto consiglio di un attore meraviglioso, Alessandro Tedeschi: potete ammirare il suo bellissimo lavoro insieme a Riccardo Scamarcio e Alessio Praticò ne Lo Spietato, sempre su Netflix. Lui ha interpretato Achille prima di me, consegnandomi le chiavi del suo cuore mi ha dato la possibilità di intraprendere questo viaggio con Carrozzeria Orfeo.»
“Cous Cous Klan” è uno spettacolo ironico e pungente, prende ampiamente le distanze da quel “politically correct” che a volte rischia di soffocarci. Qual è il tuo pensiero a riguardo? Pensare e parlare in modo politicamente corretto è effettivamente una salvaguardia o una deresponsabilizzazione dalle conseguenze?
«Credo che a teatro si possano accettare i taboo e osservarli, riderci sopra, distaccarsi, dispiacersene. È un luogo dove, unendo le coscienze, si possono vedere le proprie deformità, accettarle e addirittura trasformarle. Credo che essere scorretti non sia solo una cifra stilistica per prendere qualche risata, ma un sofisticato e allo stesso tempo semplice strumento di presa di coscienza. Parlare in modo politicamente corretto è nobile, l’importante è occuparsi anche di ciò che dentro di noi non vuole esserlo e indagarne il motivo.»
La costruzione minuziosa dei personaggi è la caratteristica principale dello spettacolo, uno specchio marcio della società occidentale. Quanto del risultato è deciso dalla sceneggiatura e quanto dalla preparazione degli attori?
«Le cose nascono sempre insieme, gli attori consegnano il proprio scrigno magico a servizio della scrittura. Insieme si cerca un delicato equilibrio di sapori e odori per far sì che il piatto sia perfetto per l’occasione, come in un ristorante stellato. È una ricetta che si inventa da zero. Quando capisci quali ingredienti servono cerchi quelli di prima qualità. Gli ingredienti essenziali sono la precisione, la pazienza e la chiarezza.»
Achille e il suo “Klan” hanno la possibilità di cambiare le loro vite per sempre, ma la loro natura bellicosa li ostacola. Credi sia un problema reale della società in cui viviamo?
«Sì. Cambiare è come morire. E accettare di morire è l’impresa più ardua che ci viene concessa. Quando abbiamo la possibilità di cambiare si manifestano ogni genere di ostacoli davanti a noi, visibili e invisibili, e all’improvviso forse è meglio rimanere in una condizione in cui non stiamo bene ma di cui almeno conosciamo tutte le dinamiche. Per l’orrore del vuoto non ci tuffiamo nel buio del cambiamento che molte volte cela il successo.
Ma d’altra parte quando siamo nella pancia di nostra mamma, nutriti e accarezzati come non mai, riusciamo ad immaginare che oltre le membrane calde e confortevoli di quell’universo ci sia una vita ricca di miracoli e meraviglie ad aspettarci?»
Ludovica Grimaldi