Etta percepisce nelle canzoni una risorsa in più, una modalità per rendere manifeste le sue necessità interiori. Il suo mettere in note le proprie emozioni e stati d’animo è sincero e diretto, scevro da ciò che risulta dominante e/o convenzionale. “Stress” è il titolo del suo nuovo EP che si compone di cinque tracce, divise tra cantautorato, arrangiamenti rock e attitudine hip hop.
La musica della cantautrice campana esprime un forte senso di dinamismo e tensione, una pentola a pressione pronta a far saltare la valvola. Sin dagli esordi Etta si è distinta per la sua esplosività, per la sua forza intrinseca ed una voglia inconfondibile di dire la sua: la sensualità che caratterizza la black music si amalgama alla perfezione in un contesto metropolitano e cinico, a tratti frastornante. Le liriche sono grezze, soggioganti e franche, idonee ad affrontare concetti di diversa natura, senza risultare pretenziose.
Nel corso della nostra intervista, l’interlocutrice ci ha suggerito alcune riflessioni niente affatto banali. Speriamo che questa nostra chiacchierata, su cui ha aleggiato una costante ironia, sappia regalarvi un antipasto di quella realmente Etta e farvi conoscere una giovante artista che, senza ombra di dubbio, merita un ascolto.
Senza essere troppo autoriferita, nel tuo EP fresco d’uscita “Stress”, hai provato a ricercare una più immediata connessione morale e contenutistica con te stessa, una più cosciente volontà di andare oltre la faccia immediata delle cose. A cosa è dovuto il distacco dalla poetica che ha rappresentato le precedenti produzioni di Etta?
«Si tratta di un cambiamento dovuto ad una mia crescita, non solo artistica e musicale, ma soprattutto emotiva. Sono stanca di parlare di argomenti, per così dire, “comodi”: voglio gettarmi a capofitto in quelle che sono le problematiche che affliggono me stessa e, in generale, la società odierna, scavare dentro esasperando ogni sensazione; data questa mia esigenza, di pari passo, si è mossa anche la produzione.»
Seppur le tematiche trattate nei cinque brani di cui si compone l’EP siano differenti, hanno una matrice comune: immergono l’ascoltatore in un universo femminile puntellato di sogni, passioni, coraggio, mancati diritti, forza e fragilità. Possono, in tal senso, le canzoni contenute in “Stress” definirsi moniti riferiti all’importanza, per ogni donna, di volersi bene, indipendentemente da tutto e tutti?
«Assolutamente sì! Partendo dal presupposto che Etta è una giovane impegnata in un progetto musicale, sarei stata ipocrita ad ignorare certe tematiche che, per altro, mi coinvolgono personalmente in quanto donna. Il mondo della musica è, ancora oggi, un ambiente a trazione maschilista; man mano che mi muovo lungo in mio percorso, mi accorgo di riuscire a sopportare sempre meno certe dinamiche. Di passi ne sono stati compiuti: essere donna nel 2023 è, indubbiamente, più semplice che esserlo in tempi passati in cui occupavano una posizione di oggetto in relazione alle pulsioni dell’uomo; a dispetto di questo la strada per raggiungere la parità di genere è ancora lunga.»
In molti – più uomini che donne, mosse (anche se non sempre) da solidarietà di genere – utilizzano le mestruazioni come una sorta di spiegazione logica a qualsiasi sbalzo umorale o come un demone nauseabondo che deve restare celato. In “Stressata”, singolo che ha anticipato la pubblicazione del tuo recente lavoro discografico, emerge il come tale legge naturale, che scandisce la quotidianità di ogni persona di sesso femminile, non trovi ancora una giusta posizione nella legge sociale. A tuo parere, quali sono le motivazioni per le quali la condizione di palese svantaggio da cui partono le donne sotto questo punto di vista debba rimanere, a tutt’oggi, taciuta?
«C’è, senz’altro, molta ignoranza a riguardo. Ogni persona di sesso femminile, per la sua natura, compie un ciclo naturale che la porterà ad essere bambina, ragazza, donna adulta e madre. È proprio qui che casca l’asino: l’avere un figlio fa sì che noi e solo noi rispondiamo di tutto, vuoi per una questione biologica, vuoi per logiche sociali arcaiche. In alcuni contesti lavorativi veniamo viste come un cavallo zoppo: chi di dovere ha cercato di tutelare, tramite alcune leggi in materia, i nostri diritti lo ha fatto male a mio avviso. Sempre più donne vengono tagliate fuori dal mondo del lavoro quando diventano madri, giacché risulta difficile conciliare l’ambito lavorativo e quello familiare. Quante volte abbiamo dovuto fingere di non avere nessun istinto materno o intenzione di mettere su famiglia? Complicazioni a parte, una donna, secondo la mia opinione, rende tanto anche in stato di gravidanza: la maternità non è sinonimo di scarsa efficienza, una donna incinta – e non – ha una marcia in più! Farci sentire un peso sociale è aberrante; purtroppo, quasi nessuno ci aiuta a uscire da questa situazione di svantaggio. Nei giorni scorsi è successo un qualcosa che ha acceso un barlume di speranza in me: l’esibizione di Rihanna al Super Bowl. La nota cantante barbadiana, incinta di nove mesi, è stata, a dir poco, impeccabile da punto di vista canoro; oltre a questo, ha organizzato una coreografia assurda: una performance non stop di quindici minuti con piattaforme volanti. Si tratta di uno dei messaggi più intensi degli ultimi tempi! Bisognerebbe mutare radicalmente la percezione: solo in questo modo è possibile migliorare il mondo!»
Quest’epoca, come ogni altra, deve affrontare le gabbie concettuali, gli stati inerziali del pensiero, che ci trasciniamo da tempo: gli stereotipi che descrivono come crediamo che il mondo sia, spesso si trasformano in pregiudizi su come esso dovrebbe essere. Etta, secondo la tua opinione, cosa può fare il mondo della musica, e più in generale l’arte, per la realizzazione di un contesto sociale maggiormente paritario?
«Denunciare. Credo che l’arte, in tutte le sue declinazioni (nel mio caso musica), sia uno dei mezzi più importanti al fine di smascherare le ingiustizie. Una canzone può entrare non solo nella testa, ma anche nel cuore chi la ascolta. Nelle giuste mani, tutto può trasformarsi in qualcosa di utile al cambiamento; in mani sbagliate il contrario. Dal mio canto, spero di aver intrapreso la giusta direzione. Mi auguro che possa continuare ad essere così a lungo andare!»
Vincenzo Nicoletti