La notte degli Oscar è considerata una “notte magica”, quest’anno in particolare perché è Chloé Zhao, seconda regista donna e prima donna asiatica, a vincere l’Oscar per la Miglior regia, portando così grande onore alla Cina.
Chloé Zhao, pseudonimo di Zhao Ting, è nata a Pechino, si trasferisce per studi prima nel Regno Unito, poi a Los Angeles e New York dove studia cinema alla Tisch School of the Arts. Esordisce come regista nel lungometraggio “Songs my Brothers Taught me” nel 2015 con il quale ottiene la candidatura alla Quinzaine des Réalisateurs del 68° Festival di Cannes. Il riconoscimento più importante lo ha ottenuto quest’anno con il film “Nomadland” vincendo due delle ambite statuette degli Oscar: Miglior film, Miglior regia e la terza statuetta va alla protagonista del film, Frances McDormand, per Miglior attrice.
Un riconoscimento simile sarebbe dovuto essere accolto in Cina con grande gioia, ma così non è stato. La diretta degli Oscar, lo scorso 25 aprile, non fu trasmessa dalla tv cinese e anche alcuni Vpn, sistemi che permettono di aggirare le restrizioni online, furono bloccati per tutta la durata dell’evento. Se si cerca il suo nome oppure “93rd Oscar” su Weibo, famoso social cinese, compare un messaggio di errore con scritto «secondo le leggi, i regolamenti e le politiche pertinenti, l’argomento non è stato trovato». Inoltre, l’uscita del film nelle sale, programmata per il mese scorso, è stata cancellata.
La vicenda è paradossale considerando che dopo la notizia della doppia vittoria ai Golden Globes, lo scorso 28 febbraio, Chloé Zhao è stata celebrata in Cina ricevendo ringraziamenti anche da molti famosi attori cinesi e identificata come modello per i giovani aspiranti registi cinesi.
È il South China Morning Post, giornale di Hong Kong, a dedicare ampio spazio alla brillante regista, prendendo una direzione diversa dal Partito Comunista Cinese, almeno inizialmente. Infatti, il giorno dopo la serata degli Oscar, il giornale The Global Times – proprietà del Partito Comunista Cinese – ha pubblicato un editoriale su Chloé Zhao dove si dicono «speranzosi che lei diventi sempre più matura». Un’affermazione che potrebbe far riferimento al perché della grande censura.
Il motivo che ha portato la Cina a censurare Chloé Zhao sembra essere una dichiarazione della regista, durante un intervista del 2013 alla rivista Filmmaker, dove racconta della sua infanzia in Cina e di come sia «un Paese dove ci sono menzogne ovunque». Se questa motivazione sembrava già vacillare, ne viene data una seconda: in un’altra intervista a News.com.au nel 2020, Chloé Zhao avrebbe affermato «L’America è il mio Paese adesso», rinnegando, secondo la visione del Partito Comunista Cinese, il suo essere nativa cinese e la Cina stessa. A causa di ciò, si è scatenata una campagna contro di lei, dove è stata descritta come “una donna a due facce” e i genitori della regista sono stati accusati di “averla educata male”.
Sebbene il film “Nomadland” non abbia nessun collegamento con la Cina – parla della crisi dei cittadini poveri americani e delle loro difficoltà nel sopravvivere ogni giorno, quindi una critica alla società americana – poteva essere un’opportunità per la Cina di mostrare una nuova faccia non solo all’America ma anche al mondo intero, valorizzando Chloé Zhao.
La vicenda, per quanto assurda ci possa sembrare, nella Cina di Xi Jinping è normale amministrazione: si parla di un Paese che, dalla sua fondazione, si basa su un concetto di persona cinese obbediente e devoto alla madrepatria. Una donna che ha raggiunto un riconoscimento così importante dovrebbe essere solo un vanto per il Paese e non censurata per affermazioni vecchie, soltanto perché per la Cina è importante “non perdere la faccia” – un modo di dire cinese utilizzato quando accade qualcosa che provoca vergogna – e dare al mondo un’immagine di Cina forte.
Gaia Russo