Nell’estate del 2000 la loro “Tokyo Eyes” è stato il primo brano ad apparire per oltre venti settimane nella classifica Music Control, seguito da altri successi come “Nascosto Dietro Un Vetro” (Sanremo Giovani 2001), il celeberrimo tormentone “Boy Band” che i nostalgici di Festilvalbar sicuramente ricorderanno e “Dovevo Dirti Molte Cose” che li ha portati, stavolta, a superare le selezioni per partecipare tra i Big in gara, esattamente a quattro anni dalla prima apparizione del complesso musicale nella kermesse ligure.
Tokyo Eyes, ora che non ci sei più
mi sento come Ataru con Lamù
Oh Tokyo Eyes, sto bene solo finché sto
con te
Successivamente altri album, la prima biografia, la creazione della casa discografica Cose Comuni che produce giovani grandi artisti, musiche per serie televisive USA come “Desperate Housewives”, “Castle”, “Hellcats”, la colonna sonora per il film “La scoperta dell’alba”. A che punto avete indovinato chi sono? Pierluigi Ferrantini (voce e chitarra), Giancarlo Cornetta (batteria), Pierfrancesco Bazzoffi (basso) e Alessandro Sgreccia (chitarra), vale a dire i Velvet.
Con noi, in un non troppo freddo pomeriggio d’inverno, dal loro studio di registrazione al piano interrato, parla Pier al telefono. Ecco quanto emerso dalla nostra chiacchierata con il frontman del gruppo musicale romano.
Dopo tre anni dall’uscita del disco di consacrazione dei Velvet “Le cose cambiano 2000/2010”, siete tornati alla ribalta con l’EP “La razionalità”, un lavoro completamente differente che, oltre la musica, ti dà spunti per riflettere. Cosa è successo nel lasso di tempo che separa un album dall’altro?
«Siamo stati in tour per un bel po’ di tempo, quasi un anno e mezzo; poi abbiamo aperto il nostro studio a nuove band, prodotto musica per cinema e serie TV. Ci siamo presi una pausa discografica, finché non ci è tornata la voglia di metterci all’opera. L’EP “La razionalità” racchiude i primi brani scritti dopo questo periodo, se vogliamo così definirlo, di riflessione; il successivo i restanti non inseriti nel lavoro discografico in questione, composti nel medesimo frangente.»
Sebbene siano state composte all’incirca nello stesso spazio temporale, le canzoni contenute in “La razionalità” e in “Storie” presentano una cifra stilistica e contenutistica quasi del tutto stravolta. Per quale motivazione?
«Si è trattato di pura voglia di sperimentare, non c’è un motivo ben preciso alla base della cosa. I brani, solitamente, li facciamo crescere, li mettiamo in discussione, cambiamo idee repentinamente, proviamo strade nuove. Quel che è certo è che l’attitudine produttiva è simile per entrambi: per quanto concerne la produzione di “Storie” siamo partiti dalle linee di base de “La razionalità” come tipologie di sonorità e ricerca; abbiamo variato leggermente la destinazione che, noi Velvet, ci eravamo inizialmente prefissati.»
C’è un qualcosa che distingue i Velvet da quelli che erano un tempo?
«Credo che si sia sempre una costante variazione. Disco dopo disco abbiamo cercato di inserire elementi nuovi nella nostra musica. Abbiamo tentato di rapportarci a quello che facevamo con un approccio diverso. C’erano anni che sentivamo il bisogno di suonare tutti insieme in una sala e momenti, come adesso, in cui apprezziamo di più la sperimentazione in studio, l’inserimento di strumenti insoliti, più elettronica.»
Visto l’incerto momento sociale che, da anni, stiamo vivendo la nascita di un brano come “Evoluzione” è comprensibile. Cosa vi ha, invece, spinti a parlare dei rischi della razionalità nell’omonima canzone e in “Cento corpi”?
«La vita che stiamo vivendo, comprese le difficoltà politiche e sociali è stata, volente o nolente, d’ispirazione. Essere razionali è, ai giorni nostri, un qualcosa di estremamente complesso: tutto il mondo fuori ti spinge all’ansia, all’agitazione, alla fretta, alla preoccupazione; al tempo stesso, siamo stati educati a seguire un percorso, aderire ad una parte che ci siamo costruiti, comportarci come gli altri si aspettano da noi. “Se non ti metti in salvo, chissà cosa ti potrebbe accadere”, è quanto di più distante da un ragionamento di tipo razionale. Le canzoni parlano di queste spinte a perdere di vista la razionalità. È necessaria una buona dose di incoscienza, un’eterna battaglia tra il seguire una strada sicura o mollarla assumendosene i rischi.»
Da diversi anni il nome “Cose Comuni”, non indica più solamente il secondo album in studio dei Velvet, ma anche l’etichetta discografica che avete creato, con cui producete diversi artisti. Come e quanto avete deciso di intervenire nel lavoro di altri?
«Man mano che siamo maturati a livello di gestione manageriale e produzione artistica, ci siamo trovati a gravitare intorno diverse band che, magari, vedevano in noi quello a cui tendere in un futuro non troppo lontano, in termini di carriera. Quindi, essendo costantemente in contatto con nuove realtà, ad un certo punto abbiamo deciso di correre in aiuto ai giovani, facendo combaciare i nostri tempi liberi con i loro, cercando di mettere a disposizione quel carico di esperienze reali vissute. Quando ero nella loro condizione, avrei voluto anche io aver delle figure di supporto – all’epoca piuttosto carenti – che ti spronavano ad investire tutto sulla tua musica, sul tuo tempo, sulla tua passione. Non basta qualche buona canzone, bisogna crederci ventiquattro ore al giorno. La vita di un artista deve ruotare attorno a quell’obiettivo, ci vuole spirito di iniziativa, grande umiltà e determinazione: se si è non si è realmente convinti della propria scelta, c’è poco da fare.»
Vincenzo Nicoletti