“E la colpa non era mia, di dove stavo o di come vestivo. Lo stupratore eri tu.” La prima volta era il 20 novembre. Eravamo davanti al secondo commissariato dei Carabinieri cileni a Valparaíso. La seconda volta, a Santiago, eravamo molte di più. Era il 25 di novembre. E poi 2 milioni di persone hanno visualizzato il video di Un violador en tu camino e in poco tempo siamo diventate marea.
Eravamo marea in Messico, in Italia, in Perù, in Colombia, in Brasile, in Turchia, in Germania, in India, in Francia, in Tunisia, in Spagna, in Grecia e in tanti altri Paesi. In meno di un mese, siamo diventate una marea rivoluzionaria, una marea di colori e lingue diverse.
In Turchia ci hanno arrestate per “offesa allo Stato”. In Brasile abbiamo chiesto giustizia per Marielle Franco, assassinata nel 2017 perché era una donna nera lesbica che faceva politica. In India abbiamo gridato che non possono più sfruttarci e violarci in nome della casta o della religione.
Non è un caso che la nostra storia sia nata in Cile. Da ottobre 2019 il Paese è in preda a una crisi politica profonda dovuta alla “esplosione” del modello economico neoliberista dello Stato cileno. Le manifestazioni di massa, con le quali le persone chiedono dignità e una riduzione delle disuguaglianze sociali, stanno sconvolgendo il Paese ormai da mesi e la risposta del governo è stata quella della repressione. Più di venti persone sono morte negli scontri tra manifestanti e polizia, migliaia i feriti. Centinaia le denunce per violazione dei diritti umani e abusi sessuali.
E non è solo il Cile: Bolivia, Venezuela, Ecuador, Colombia sono tra i Paesi latinoamericani che negli ultimi mesi stanno reagendo alla crisi sociale ed economica che ormai da anni divide il continente sulla linea di una gravissima disuguaglianza, quella dell’accesso al servizio sanitario e a quello educativo. A guidare le proteste sono soggetti imprevisti: le popolazioni indigene e poi ci siamo noi, le femministe.
La rivoluzione sarà femminista o non sarà
Dico la nostra storia, ma questa non è una storia solo per le donne. È la storia di tutte e tutti, perché il patriarcato non opprime solo le donne e perché lo stupratore sei tu, ma sono anche io che quando sento di uno stupro mi domando la vittima dov’era e come vestiva. Lo stato neoliberista viola i corpi delle donne e degli uomini, anche se in maniera disuguale.
A ispirare Un violador en tu camino è stata la riflessione dell’antropologa Rita Segato. Segato analizza il fenomeno dello stupro concludendo che la violazione non è altro che un atto politico. A motivare lo stupratore infatti non è il desiderio sessuale, ma la volontà moralizzatrice, la necessità di mettere le donne “al loro posto”. Il “soggetto violatore” è l’autorità stessa che controlla le donne violandone l’intimità e riducendole a meri corpi.
Sempre secondo la Segato, i movimenti femministi stanno emergendo dal fallimento stesso della politica di Stato, uno Stato che non ha portato al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. L’uscita dalle forme politiche tradizionali, la solidarietà reale che si costruisce nella lotta per le strade, l’apparire di una nuova identità collettiva, sono, secondo l’antropologa, i modi in cui i movimenti femministi stanno producendo una trasformazione del sistema patriarcale.
Spesso accompagnate dal suono dei tamburi, le performance di Un violador en tu camino hanno una potenza particolare, perché risuonano in tutto il mondo e tutto il mondo le sta facendo proprie.
Un violador en tu camino nel mondo
Alcuni giorni fa ero a una presentazione di un libro, una raccolta di racconti sulla vita dei giovani tunisini post-rivoluzione. Come le primavere arabe, con la rivendicazione di dignità e di uno stato sociale, hanno influenzato le proteste in Cile, così la palla è tornata al mittente. «Abbiamo cantato e ballato ‘Un violador en tu camino’ nella medina di Tunisi, e poi siamo entrate in un bar tipicamente frequentato da soli uomini, ci siamo sedute a abbiamo ordinato da bere. Noi donne abbiamo occupato lo spazio e lo abbiamo fatto nostro» raccontava un’ospite tunisina.
Quando a metà dicembre abbiamo portato in strada una versione di Un violador en tu camino per le vie di Lipsia eravamo meno di venti persone. Un gruppo di neonazisti ci ha attaccate verbalmente urlando, tra gli altri insulti, “siete in Germania, parlate tedesco”.
Per noi, Un violador en tu camino è stata una “scusa” per incontrarsi e organizzarsi insieme. Nata dall’iniziativa di un gruppo di donne cilene e appoggiata dal gruppo femminista locale, la performance ha attirato in pochi giorni un folto gruppo di persone. Persone provenienti da background linguistici e culturali molto diversi, ma che hanno trovato un punto d’incontro nella volontà di rivendicare lo spazio che ci accomuna, quello della città che attraversiamo.
Due settimane dopo eravamo centinaia di fronte alla corte amministrativa federale e questa volta abbiamo cantato in tedesco.
Claudia Tatangelo