A poche ore dai funerali di George Floyd, questo articolo non tratterà la tragica vicenda di questo sfortunato cittadino afroamericano. Nemmeno proverà ad aggiungere altre parole al fiume d’inchiostro versato per raccontare le grandi manifestazioni che hanno raccontato la sofferenza e la frustrazione di un’intera nazione (non soltanto della sua frazione di etnia afroamericana) per la drammatica deriva, razzista e violenta, del Paese che abita. Qui si proverà solo a trarre delle prime conclusioni sulle conseguenze politiche per Donald Trump di quanto accaduto in questi giorni, tra cortei con centinaia di migliaia di manifestanti, la rimonta di Joe Biden nei sondaggi e il presunto cyberattacco di Anonymous.
I manifestanti contro Trump e il razzismo
Intendiamoci subito: chi scrive non crede che la violenza, nemmeno quella in difesa di un diritto, sia un’arma valida per ottenere risultati politici. Altra cosa, però, è far presente, come ha fatto il celebre regista e attivista per i diritti degli afroamericani Spike Lee, che le proteste dei giorni scorsi nascono da una rabbia afroamericana che non è genetica, ma causata dal disagio sociale e dalle condizioni di povertà cui pare condannata la comunità etnico-sociale di cui faceva parte George Floyd. Il che non significa giustificare i saccheggi e gli scontri: si lasci fare il fascista a chi lo è davvero e per propria, intima convinzione, come Donald Trump e la parte più spregevolmente reazionaria della polizia degli Stati Uniti d’America.
Sono stati i parenti di George Floyd stesso a chiedere di ridimensionare i toni della protesta e i manifestanti li hanno ascoltati. Non la bibbia sollevata da Trump, non la minaccia del ricorso alla forza armata in Illinois, non i toni tenebrosi di capi delle forze dell’ordine e di governatori in affanno. La forza dell’idea, hanno detto, deve bastare alla causa. Politicamente, questo cambio di rotta ha potuto significare molto in tutti i contesti delle manifestazioni, a cominciare da New York City, uscita malconcia dagli eventi dei giorni scorsi.
La rabbia contro i simboli del capitalismo e del consumismo a Manhattan aveva costretto, come ben si sa, sia il governatore Andrew Cuomo sia il sindaco Bill De Blasio a misure drastiche come il coprifuoco. Insistere nello scontro sarebbe costato la credibilità politica a un movimento sociale ormai trasversale. Abbracciare una maggiore moderazione l’ha invece aumentata: De Blasio (che peraltro ha avuto la figlia minore arrestata per aver preso parte alle manifestazioni) ha già annunciato che verrà intitolata una strada a Black Lives Matter in ogni distretto di New York.
Un migliore inquadramento della protesta aiuterà anche in ottica futura, per contribuire ad abbattere Trump con le armi della democrazia. La riorganizzazione del movimento come potente gruppo di pressione politica è un’occasione da non perdere in vista delle presidenziali di novembre. Con le primarie di ciascun partito che, strano ma vero, ancora continuano in alcuni Stati, l’auspicio è di destare il maggior numero di coscienze attraverso un’azione coerente e credibile dei manifestanti, allo scopo, ad esempio, di rivedere finalmente un territorio come la Georgia tornare a votare “dem” dopo più di 20 anni, facendo un grosso favore a Joe Biden.
Trump e la politica: la riscossa di Biden
Altro chiarimento politicamente scorretto: chi scrive non ha mai tifato per Joe Biden come prossimo presidente degli Stati Uniti, dovendo prendere atto in più occasioni, però, che la sua eventuale affermazione alle elezioni 2020 contro Trump sarebbe comunque il male minore per l’America e l’intero pianeta. Biden non si è dimostrato un personaggio totalmente pulito; non scalda i cuori di chi chiede maggiori riforme sociali a beneficio dell’inclusione; pur essendo un retaggio dell’amministrazione Obama, il quale a suo tempo oscurava il suo vice e ancora adesso polverizza lo share democratico appena apre bocca, non ha mai goduto di particolare ascendente presso le minoranze etniche.
Così il fatto che Biden, in funzione anti Trump, abbia deciso di cavalcare le proteste dei manifestanti per i diritti civili, nella misura in cui le ha cavalcate, francamente desta poca simpatia. “Appropriarsi” del movimento e ostentare un rapporto di intima vicinanza con i familiari di George Floyd per riuscire a conquistare il cuore – e il voto – degli afro e latinoamericani, comunità sempre un po’ freddine nei suoi confronti, appare ai limiti dello speculatorio. Però non c’è molto altro da fare: se si vuole sperare di cacciare Trump dalla Casa Bianca,ì bisogna mandar giù il vecchio Biden, che si inginocchia come i manifestanti più sinceri beccandosi del “codardo” dall’intimorito presidente.
Anche Nancy Pelosi, alla Camera dei Rappresentanti, l’ha fatto: il gesto reso famoso da sportivi, celebrità e migliaia di persone comuni in questo momento rappresenta (anche) la presa di autocoscienza della popolazione bianca d’America, che in qualche modo si scusa per il proprio razzismo esplicito o strisciante (quest’ultimo, fatto di assistenzialismo elemosinato e fine a se stesso, promesse mancate su lavoro, istruzione e sanità, come messo a nudo proprio durante l’emergenza Covid-19 ancora in corso). Il bianco ricco e privilegiato che ha spesso voltato la testa dall’altra parte e che ora, davanti all’ennesima tragedia dell’emarginazione e della violenza razzista, si assume le proprie responsabilità: questo è il personaggio che incarna ora Joe Biden. Contro Trump, solo e asserragliato nella sua Casa Bianca blindata, potrebbe persino bastare.
Anonymous, ovvero l’ultimo tassello del domino?
E se non dovesse essere sufficiente, potrebbero venire in soccorso gli hackers di Anonymous? Sì e no. Questo perché il grande vantaggio del collettivo di pirati informatici per la libertà di informazione, ovvero non avere una struttura definita che li possa rendere individuabili da parte di eventuali reazionari, è anche il suo punto debole: vale a dire, che quando si parla di un attacco di Anonymous in realtà non si sa mai bene se l’azione è davvero loro oppure no.
È quello che è successo con l’account Twitter apparentemente riconducibile al collettivo che, nei giorni scorsi, dopo la rivendicazione di un attacco hacker alla polizia di Mienneapolis e la minaccia di rivelare i terribili segreti, in tema di violenza e razzismo, delle forze dell’ordine, ha rivelato di essere in possesso di scottanti rivelazioni su un presunto coinvolgimento di Trump nei giri di abusi su minori nell’ambito dello scandalo riguardante il miliardario suicida Jimmy Epstein.
In realtà, Trump non ha mostrato di temere particolarmente questi sviluppi, essendosi concentrato piuttosto nel produrre le sue consuete, deliranti e provocatorie affermazioni contro George Floyd e le proteste dei manifestanti per i diritti civili (collegando ad esempio il collettivo Antifa ad Anonymous e indicando come entrambe le organizzazioni sarebbero in combutta contro di lui). La vicenda degli hackers, che segue altre dimostrazioni di tenore simile da parte di gruppi di attivisti informatici (che negli ultimi tempi hanno affermato di essere in possesso di informazioni compromettenti sul presidente, rivelatesi però poco meno che bufale) è infatti complessa da decifrare.
Secondo alcuni analisti, infatti, oggi chiunque può simulare l’appartenenza a un gruppo ormai leggendario come Anonymous, che peraltro appare silente da almeno due anni. La stessa azione dimostrativa contro la polizia di Minneapolis non ha trovato conferme ufficiali. Potrebbe darsi che le annunciate rivelazioni abbiano piuttosto il fine di aumentare la pressione psicologica su Trump, creando panico nelle alte sfere governative e aumentando l’identificazione tra battaglia politica contro Trump e crociata contro i poteri forti dell’oscurantismo e della disinformazione.
L’attacco incrociato contro The Donald, a circa cinque mesi dalle presidenziali, che vede coinvolti forze democratiche popolari, avversari politici sempre più in alto nei sondaggi e complotti più o meno concreti, stavolta rischia di andare a segno. Purtroppo l’appuntamento elettorale è ancora troppo distante per poter azzardare previsioni: l’importante, adesso, sia per i manifestanti, che per Biden e per Anonymous (o chi per loro) sarà mantenere alta l’attenzione sui valori in gioco nelle prossime presidenziali, i più sacri e fondamentali: libertà, uguaglianza e diritti civili. Perché tutti sanno che è arrivato il momento di fermare la deriva razzista e autoritaria della “prima democrazia del mondo”.
Ludovico Maremonti