Il 20 e 21 settembre siamo chiamati alle urne per esprimerci sul referendum costituzionale. La modifica che verrà sottoposta ad approvazione popolare si compone di 4 articoli, le cui disposizioni riducono il numero dei parlamentari in seno alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica. Con l’approssimarsi di questo appuntamento, ecco un excursus storico sui criteri che hanno guidato i costituzionalisti italiani nella scelta del numero esatto di deputati e senatori: perché proprio 945?
L’Assemblea Costituente
I lavori delle Commissioni per il progetto di Costituzione partirono nel 1946. In un articolo di Carlo Corsetti per Left si ripercorrono le tappe e le argomentazioni che hanno guidato i componenti dell’Assemblea Costituente verso l’individuazione del numero ideale di rappresentanti in seno al Parlamento italiano. Giovanni Conti, relatore repubblicano della Seconda sottocommissione – così si legge nei verbali originari del dibattito – “pensa che, se si riuscirà a creare un’Assemblea di alta preparazione e competenza, sarà reso veramente un grande servigio al Paese“. La Camera dei Deputati sarebbe stata eletta a suffragio universale, con voto segreto, da collegi elettorali distribuiti sul territorio e regolati da una legge elettorale, volutamente non rigida e, quindi, soggetta ai mutamenti che per numero di abitanti e dinamiche politiche avrebbero interessato il Paese.
Giuseppe Fuschini, democristiano, ricordava che in Italia tradizionalmente ci fosse un deputato ogni 80.000 abitanti e sosteneva che anche le donne avrebbero dovuto partecipare alla vita politica: dal canto suo, una riduzione del numero dei membri della Camera dei Deputati si sarebbe risolta in una diminuzione della sua autorità. Fu nuovamente Conti ad esprimere il criterio democratico che avrebbe guidato tale scelta: il nuovo Stato sarebbe stato organizzato con il criterio della rappresentanza alla periferia, per alleggerire gli oneri del centro e lasciare che fossero le regioni a risolvere i problemi strettamente legati al contesto locale. L’opinione pubblica avrebbe certamente gradito una riduzione degli organi dello Stato, ma il presidente dell’Assemblea Costituente Umberto Terracini ricordò che la fiducia nell’ordinamento parlamentare avrebbe dovuto guidare quel percorso (“quando si vuole diminuire l’importanza di un organo rappresentativo s’incomincia sempre col limitarne il numero dei componenti, oltre che le funzioni“). In vista di leggi che avrebbero apportato un miglioramento delle condizioni della popolazione, non si poteva badare a spese (“Quanto alle spese, ancora oggi non v’è giornale conservatore o reazionario che non tratti questo argomento così debole e facilone“).
Palmiro Togliatti, comunista, votò per questa proposta per due motivi: “in primo luogo, perché una cifra troppo alta distacca troppo l’eletto dall’elettore; in secondo luogo perché l’eletto, distaccandosi dall’elettore, acquista la figura soltanto di rappresentante di un partito e non più di rappresentante di una massa vivente, che egli in qualche modo deve conoscere e con la quale deve avere rapporti personali e diretti“.
La proposta fu approvata.
945 parlamentari per Camera e Senato
Come si evince, non ci furono fin da subito 945 parlamentari, anche perché l’Italia del 1948 contava 46 milioni di abitanti.
A seguito dei confronti e delle dissertazioni, i testi approvati furono i seguenti:
Art. 56.
La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto, in ragione di un deputato per ottantamila abitanti o per frazione superiore a quarantamila.
Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età.
Art. 57.
Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale.
A ciascuna Regione è attribuito un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila.
Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sei. La Valle d’Aosta ha un solo senatore.
L’Assemblea vincolò il numero dei parlamentari a una proporzione: un deputato ogni 80.000 abitanti (o frazioni superiori a 40.000) e un senatore ogni 200.000 abitanti (o frazioni superiori a 100.000). Il numero, quindi, fu variabile fino al 1963, quando la legge costituzionale n. 2 fissò il numero a 945 parlamentari, di cui 630 deputati e 315 senatori.
L’art. 56 divenne:
La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto. Il numero dei deputati è di seicentotrenta. Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età. La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione, per seicentotrenta e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. (poi modificato nel 2001, includendo i 12 deputati eletti nella circoscrizione Estero e moltiplicando per seicentodiciotto, piuttosto che per seicentotrenta)
L’art. 57 divenne:
Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale. Il numero dei senatori elettivi è di trecentoquindici. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette. La Valle d’Aosta ha un solo senatore. La ripartizione dei seggi tra le Regioni, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. (poi modificato nel 2001, includendo i senatori eletti nella circoscrizione Estero e due senatori per la regione Molise)
La riforma, infine, modifica anche l’art. 59 che disciplina la nomina dei senatori a vita, fissando a cinque il numero massimo di personalità eleggibili (attualmente sono sei: Elena Cattaneo, Mario Monti, Giorgio Napolitano, Renzo Piano, Carlo Rubbia e Liliana Segre).
Il referendum del 20 e 21 settembre
Il testo che verrà presentato alle urne è il seguente:
«Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019?»
L’auspicio dei presidenti delle due Camere Fico e Casellati, in una nota congiunta: «È importante che nel Paese ci sia un ampio dibattito pubblico in merito al referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari che si svolgerà il 20 e 21 settembre. (…) È grazie a una corretta informazione, a un confronto esteso e all’approfondimento delle ragioni delle parti che è possibile fornire ai cittadini gli strumenti necessari a esprimere il proprio voto in modo consapevole»
Una tale proposta di riduzione del numero dei parlamentari era stata avanzata più volte in passato.
Indubbiamente anche diversi componenti dell’Assemblea Costituente avevano posto i riflettori sulla possibilità di prevedere un numero inferiore di rappresentanti per emulare le democrazie d’oltralpe. Un’altra versione, invece, era stata inserita nel piano di “Rinascita Democratica” di Licio Gelli, come si legge nel testo della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulla Loggia P2 (pag 622).
In tempi ancor più recenti, il tema era finito anche nelle parole del Presidente del Consiglio Matteo Renzi: «Noi abbiamo oggi troppi politici in Italia. La riduzione del numero dei politici è la priorità per essere credibili» – affermò in un intervento del 31 maggio 2016. Oggi, nelle vesti di leader di Italia Viva, Renzi ritiene il voto del 20 e 21 settembre inutile, ma non fa marcia indietro sulla sua riforma che, dice, “tornerà di moda nei prossimi anni“.
Dal punto di vista del “Sì”, nel 2019 Luigi Di Maio affermò che in 10 anni si risparmierà 1 miliardo ma, secondo PagellaPolitica, la cifra esatta ammonterebbe a 817 milioni. A garanzia della convenienza del taglio, si fa riferimento a possibili investimenti atti all’acquisto di ambulanze, all’assunzione di infermieri e medici, alla costruzione di scuole e aule, alla messa a disposizione di nuovi treni per i pendolari nel 2030.
Come abbiamo visto, l’Italia conta 945 parlamentari eletti, 630 deputati e 315 senatori. All’indomani del referendum costituzionale, qualora dovesse vincere il “Sì”, conterebbe 400 deputati e 200 senatori. Seconda in Europa per numero di parlamentari, l’Italia si posiziona sesta nel rapporto popolazione/parlamentari, pari a 1 eletto ogni 64 mila cittadini. Se passasse la Riforma Costituzionale, con 600 parlamentari eletti, avrebbe un rapporto di 1 eletto ogni 101 mila cittadini. Il punto sulla qualità della classe dirigente non è oggetto di consultazione.
Sara C. Santoriello
Cisono state anche varie altre proposte, nella Costituente, che suggerivano un numero minore di parlamentari, e varie altre proposte successive presentate da liberali, comunisti, socialisti, democristiani, o ex. Con l’approvazione della riforma si dovrà necessariamente porre mano anche alla legge elettorale e tutta un’altra serie di regolamenti, ecct. Resta comunque, per me, la grande riforma assente dalle discussioni, cioè quella suilla cosituzione e le regole per i partiti.