Sabato 20 maggio, nonostante a Napoli il tempo minacciasse pioggia, sono giunti da tutta Italia i sindacati territoriali facenti capo alla Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL), alla Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL) e all’Unione Italiana del Lavoro (UIL). In questo modo, i tre sindacati confederali italiani hanno dato vita a un’imponente mobilitazione sindacale, che ha colorato di rosso, di verde e di blu – per l’appunto i colori simbolo delle tre sigle – il lungomare della città partenopea. Questo appuntamento chiude il ciclo di proteste sindacali contro le politiche del governo Meloni, inaugurate a Milano e proseguite a Bologna nelle settimane precedenti. Abbiamo sottoposto a rappresentanti di ogni sigla due domande uguali, così da fare emergere e comparare le loro posizioni.
Quali sono i motivi che hanno indotto la CGIL, la CISL e la UIL a organizzare questa mobilitazione sindacale a Napoli?
In merito a questa domanda il segretario generale della UIL Campania, Giovanni Sgambati, ha dichiarato che «La nostra mobilitazione unitaria è cominciata già attraverso le centinaia di assemblee Cgil Cisl Uil che abbiamo tenuto coi lavoratori di tutti i settori lungo la penisola. Dopo la mobilitazione del 6 e del 13 maggio, rispettivamente a Bologna e Milano, siamo a Napoli con le regioni meridionali, a largo Diaz, sul lungomare Caracciolo, con l’intervento dei nostri segretari generali nazionali di Cgil Cisl e Uil: Landini, Sbarra e Bombardieri».
Era presente alla mobilitazione sindacale anche Raffaele Di Francesco, segretario territoriale CISL FP Asl Napoli 2 Nord, il quale ha affermato: «La manifestazione del 20 parte da una piattaforma unitaria tra le sigle confederali, ma vede, a parer nostro, la CISL protagonista nei fatti e non nelle chiacchiere o negli slogan. Si scende in piazza perché si continua a morire di lavoro nero, mal pagato, senza il rispetto della 81/08 e degli indirizzi ministeriali sulla sicurezza del lavoro, si scende per la precarietà che accompagna una generazione senza futuro che passa da una terra che li respinge ad un’altra che li fa sentire degli esodati. Il finanziamento al sistema socio-sanitario dovrebbe appartenere al cuore pulsante di un paese che guarda avanti e non ai propri interessi. La formazione, il dare spazio a chi ha competenze e titoli e non sempre alla casta che ormai si è cristallizzata nei luoghi del potere». Di conseguenza Di Francesco conferma che: «La Cisl FP il 20 è ancora una volta in piazza, non per gioco, non per strappare un accordo a vantaggio di pochi, ma per ridare dignità ai lavoratori tutti, che ormai vivono sequestrati sui posti di lavoro (i più fortunati) mentre in tutta Europa si parla di settimana corta e di tempo di qualità, in questo paese si sentono ancora datori di lavoro proporre contratti fantasma con orari da schiavo. Finanziare il mezzogiorno, potenziare la sanità. Utopie? No, se la mobilitazione diventa virale».
Ha rilasciato delle dichiarazioni sulla mobilitazione sindacale di Napoli anche Nicola Ricci, segretario generale della CGIL Campania: «Noi siamo contro le manovre che sta mettendo in campo questo governo. Abbiamo insieme a Cisl e Uil una piattaforma di punti prioritari che vertono, soprattutto dopo la manifestazione di Milano e di Bologna, sul fisco poiché riteniamo che se a giugno passa la legge delega, dal primo gennaio 2024 si va a perdere la progressività prevedendo solo tre fasce di Irpef. Questo significa che chi guadagna 15.000 euro pagherà le stesse tasse di chi ne guadagna 40.000. Negli anni ’70 le fasce erano più di trenta, con le ultime riforme fiscali le fasce sono state ridotte a cinque e poi diventate sei, mentre con tre si riducono le distanza ma aumentano le diseguaglianze». Ricci si sofferma anche «Sul tema del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni non mettiamo sotto un mattone il tema del cuneo fiscale, però il taglio porterebbe un netto in busta paga tra i 60 e gli 80 euro, sono soldi che varrebbero per soli cinque o sei mesi e quindi non rappresenterebbero la misura che noi chiediamo da tempo, ovvero l’aumento dei salari e delle pensioni in maniera strutturale».
Continua affermando che «Un’altra politica che contestiamo sono i bonus con cui si cerca, in modo propagandistico, di venire incontro a una parte del Paese che non è la maggioranza». Il Segretario regionale conclude ricordando che «Un altro tema importante è l’autonomia differenziata che penalizzerebbe il Mezzogiorno, poiché in merito al fisco le tasse che si pagano in quella regione verrebbero trattenute in quel territorio. C’è uno studio del Ministero dell’economia il quale afferma che la Lombardia nel 2022 ha riscosso da iva, Irpef e Ires, circa 70 miliardi. Pertanto se passa l’idea che il 90% deve rimanere dove si pagano queste tasse è evidente che regioni come la Campania, che ha solo 18 miliardi di entrate, verrebbero penalizzate e l’Italia si troverebbe divisa in due. In questo modo nascerebbero le disparità poiché verrebbero garantite medesime condizioni a tutti i cittadini. Premesso che siamo uno Stato indebitato, tutti questi provvedimenti avrebbero bisogno di risorse che in Italia ci sono e sono gli extraprofitti. Se noi pensiamo solo alle grandi aziende a partecipazione statale, come quelle dell’energia, oppure agli utili che hanno fatto le banche ovvero 5 miliardi in quattro mesi, i soldi si trovano».
Abbiamo poi chiesto ai sindacati se secondo loro questo Decreto lavoro rischia di incentivare il precariato:
Presente alla mobilitazione sindacale, il segretario territoriale CISL FP Asl Napoli 2 Nord, Raffaele Di Francesco, ha dichiarato che: «Il precariato viene incentivato da una moltitudine di fattori, che possono e devono essere combattuti. Dire che sia solo questo DDL a foraggiare una mentalità che da decenni scardina i valori morali della nostra costituzione è riduttivo. Sicuramente non è ciò che un sindacato laico, libero e concentrato sui principali problemi che affliggono il mondo del lavoro può e deve accettare. Saremo presenti come sempre, e saremo sempre a fianco dei lavoratori».
In merito a questa seconda domanda che spiega in parte la mobilitazione sindacale, il segretario generale della UIL Campania, Giovanni Sgambati, risponde che: «Con queste mobilitazioni vogliamo spingere l’attuale governo ad ascoltarci e a delineare una diversa politica economica. A partire proprio dalla precarietà che vede coinvolti soprattutto i giovani ai quali dobbiamo dare risposte più lungimiranti attraverso contratti a tempo indeterminato e salari adeguati. Ma al centro della nostra protesta c’è la richiesta di un fisco più equo, di una previdenza che tenga conto delle differenze tra tipologie di lavoro, di una riforma delle pensioni e il rinnovo dei contratti, senza parlare delle diseguaglianze che ancora fortemente esistono tra Nord e Sud e che questa autonomia differenziata, così com’è concepita dal ddl Calderoli, acuisce». Continua Sgambati: «Lo stesso ddl Lavoro non solo allenta le causali dai contratti a tempo determinato, ma reinserisce i voucher che avevamo abolito nel 2017. Noi invece insistiamo sul privilegiare e favorire i contratti a tempo indeterminato per dare alle nuove generazioni maggiore dignità e la possibilità di costruire un futuro più solido e sicuro, possibilmente nel proprio Paese».
La CGIL, attraverso le parole di Nicola Ricci, fa sapere che uno dei motivi di questa mobilitazione sindacale è che il Decreto lavoro «Sicuramente incentiva il precariato! Il decreto lavoro introduce i voucher, una forma di pagamento che sostituisce il lavoro a tempo indeterminato, trascurando i minimi contrattuali e un futuro pensionistico. Inoltre incoraggia le imprese a sottoscrivere contratti a tempo determinato, facendo passare per buono che il tempo determinato può essere allungato a 36 mesi. Ne consegue che non c’è la discussione come sta avvenendo in Spagna, dove il governo ha convocato le parti sociali e imprenditoriali». Ricorda Ricci che «la Spagna ha votato un decreto legge che istituisce un aumento del salari del 10% divisi su tre anni: 4% il primo anno e 3% gli altri due anni successivi. In questo modo si mina l’idea che il lavoro debba essere garantito, non si tutela il lavoro pubblico, non si prevede un grande piano assunzioni, pertanto non è questa la riforma del lavoro che ci aspettiamo. Ci vorrebbero corsi di formazione, poiché oggi c’è una grande fetta di lavoratori disoccupati oltre i 50 anni che hanno il diritto di trovare una nuova occupazione. Ci sono i giovani che non sono in grado di stare al passo con le nuove forme di lavoro. Pertanto andrebbe fatta una campagna, con l’aiuto delle regioni, di riqualificazione del personale. Questo governo invece sta navigando a vista senza prendere provvedimenti capaci di produrre effetti nel medio-lungo termine».
Questa mobilitazione avanzata in alcune delle principali città italiane può essere considerata quindi una vera e propria dimostrazione di forza dei sindacati in risposta all’assenza di confronto con il governo Meloni. Hanno preso parte alla mobilitazione sindacale esponenti del Partito Democratico, di Articolo Uno e di Sinistra italiana. Presenza che sta a indicare un riavvicinamento al mondo e alle rivendicazioni sindacali da parte di alcuni partiti, e il rinnovato sostegno da parte di altri. Questo mancato dialogo ha indotto i sindacati a non soffermarsi su un singolo giorno di sciopero, ma organizzare una mobilitazione lunga che gli consenta un dialogo continuo con i lavoratori, fintanto che non ci sarà ascolto dal governo Meloni.
Gabriele Caruso