Recentemente, il docente antispecista Paolo Treglia ha fatto notare sulle nostre pagine che la scuola ha compiuto passi avanti nel riconoscimento dei diritti umani, ma manca ancora quel riconoscimento dei diritti universali che includono gli animali. Così come è avvenuto nel corso del tempo per altre categorie sociali, riconoscere i diritti a chi ancora vengono negati passa per la sfera della conoscenza. Istituzioni destinate all’educazione, come la scuola, sono perciò fondamentali nel promuovere i diritti degli animali attraverso l’adozione di una didattica antispecista. Un approccio innovativo che abbiamo iniziato a conoscere in passato e che ora continuiamo a scoprire attraverso un’intervista alla professoressa studiosa e promotrice dell’etica animale, Giannella Biddau, insegnante di inglese negli istituti superiori di secondo grado della provincia di Sassari.
Per quale motivo la scuola italiana parla solo di diritti umani (quando ne parla), trascurando invece i diritti degli altri animali?
«La scarsa consapevolezza della rilevanza dei diritti degli animali induce la scuola italiana a non contemplare una riflessione sul tema, o a contemplarla in minima parte. A differenza di tante scuole straniere, che già da diversi anni mostrano più attenzione per l’ambiente e gli animali – si vedano, ad esempio, le scuole e le università inglesi, nelle cui mense ormai è consuetudine proporre anche il menù vegano e i cui studenti organizzano gruppi antispecisti, o le scuole pubbliche newyorkesi, dove il venerdì si mangia solo cibo vegano –, la scuola italiana purtroppo subisce ancora l’influenza di una cristallizzata cultura antropocentrica e continua a imperniare i programmi di studio su un pensiero che pone al centro esclusivamente la specie umana, ad eccezione di qualche flebile accenno al rispetto degli animali, come si legge nelle indicazioni del MIUR per l’insegnamento dell’educazione civica, e di qualche collaborazione con associazioni come la LAV-Lega Antivivisezione».
Il programma scolastico risente del pensiero antropocentrico? Quali passaggi bisogna compiere per permettere alla didattica di adottare un approccio antispecista?
«Come accennato poc’anzi, i programmi di studio vengono redatti secondo un approccio antropocentrico, occorre dunque che il MIUR si rinnovi, si adegui, dia indicazioni in maniera più strutturata, esorti le scuole e le università ad affrontare questa emergenza, facendosi portavoce dell’istanza animalista. Il Ministero, in quanto ente che si occupa di istruzione, ha il dovere di ri-conoscere l’etica animale e la sua interdisciplinarità. Non esiste, difatti, una materia in cui la questione animale non possa essere trattata, se ne può parlare persino durante le lezioni di matematica e fisica – si pensi a matematici come Pitagora e Srinivasa Aiyangār Rāmānujan o a geni della fisica come Isaac Newton, Albert Einstein, David Bohm e Edward Witten, tutti sostenitori delle diete vegetali. Bisogna, pertanto, fare ricerca, informarsi, ampliare gli orizzonti, anche in qualità di singoli docenti».
Gli insegnanti sono favorevoli ad adottare una didattica antispecista? Ricevono una formazione adeguata che gli consenta poi di poter affrontare la causa animale in classe?
«Sono rari gli insegnanti favorevoli all’adozione di una tale didattica, in primo luogo perché molti non conferiscono valore all’argomento e abbracciano il pensiero benaltrista – benché sappiano che l’uso e l’abuso degli animali, oltre al discorso etico, ha effetti devastanti sul pianeta e conseguenze sulla salute, tanto è vero che anche l’OMS consiglia le diete plant-based. In secondo luogo, perché non ricevono alcun tipo di formazione specifica, se non rari inviti a corsi di aggiornamento sul problema dell’inquinamento, durante i quali si parla di animali soltanto dalla prospettiva ecologica, ma non si discute di questi come soggetti morali o soggetti che posseggono una coscienza esattamente allo stesso modo degli esseri umani, come invece si afferma nella Dichiarazione di Cambridge. La formazione degli insegnanti sarebbe essenziale, intanto per poter avere un’idea della vastità e della trasversalità del tema, poi per poter operare su basi scientifiche, in maniera ontologica».
Secondo lei, quale dovrebbe essere il compito di un insegnante che adotta una didattica antispecista e sostiene apertamente la causa animale?
«Il compito di un insegnante antispecista, o di qualsiasi insegnante, dovrebbe essere quello di offrire agli studenti l’opportunità di riflettere sulla causa animale trovando collegamenti con diversi argomenti e materie, proponendo attività che titillino l’interesse dei ragazzi e diano loro la possibilità di estendere l’empatia a tutti, anche a individui di altre specie, poiché proprio su questa si innestano i principi morali – come sostenevano pure David Hume e Arthur Schopenhauer. E perché gli studenti sviluppino l’habitus empatico in maniera integrale occorre allestire momenti di apprendimento in cui si possano migliorare tre capacità: 1) la capacità di osservare in modo partecipativo, comprendere, studiare il mondo degli animali ed esperirlo dal di dentro, stando a diretto contatto con loro durante una visita in un rifugio; 2) l’immaginazione, che serve a decentrarsi dal proprio sé, a immedesimarsi nel vissuto degli altri e inferire le loro emozioni; 3) la capacità di attribuire soggettività agli animali, ovvero imparare a considerarli soggetti, e non oggetti o pezzi di ricambio esposti nei negozi».
In che modo la sua didattica antispecista prova a sensibilizzare gli studenti rispetto la causa animale? E come reagiscono loro nel momento in cui ci si confrontano per la prima volta?
«Intanto è fondamentale condurre progetti o svolgere lezioni che, oltre a una inconfutabile scientificità, abbiano anche una solida struttura didattico-pedagogica, per cui propongo la tematica adottando metodologie che facilitino l’incontro con questo tema, che dovrebbe avvenire in maniera graduale, crescente, al fine di rispettare i tempi di apprendimento degli studenti e di far nascere l’empatia per gli animali in maniera spontanea. Utilizzo sempre approcci orientati all’azione quali il costruttivismo e l’esperienzialismo. Questi ricalcano il paradigma gestaltico che si sintetizza in tre fasi principali di apprendimento: percezione, analisi e sintesi. In buona sostanza, introduco l’argomento in maniera globale, con immagini e piccoli input, affinché negli studenti germoglino la motivazione e il desiderio di sapere. In seguito, nella fase di analisi, si approfondisce il tema attraverso i rapporti di organizzazioni come la FAO, l’OCSE, l’UNEP, l’OMS, etc., estratti di opere di autori famosi (che sono innumerevoli) e materiale autentico che riporti alla realtà quotidiana, invitando i ragazzi a elaborare i testi, esprimere opinioni e sentimenti e raccontare esperienze personali. Infine, nella fase di sintesi gli studenti sperimentano in maniera attiva ciò che è stato affrontato precedentemente. Questo momento conclusivo spesso è dedicato a un compito surreale, ad esempio la creazione di un dialogo con un autore o i personaggi principali di un testo, che possono essere sia animali che persone, oppure una lettera indirizzata a un animale o una visita a un rifugio, dove i ragazzi possono vivere per una mezza giornata in comunione con gli animali. La reazione dei miei studenti è normalmente di stupore, soltanto pochi infatti conoscono la vera dimensione degli animali. Credo che siano contenti di venire a conoscenza di questa realtà e di poterne parlare, soprattutto a livello emotivo. Solitamente non hanno idea di quanto sia stata discussa la questione animale nell’arco dei secoli. Sono molto reattivi anche ai compiti surreali e partecipano volentieri alle visite ai rifugi. È bello poter vedere i propri studenti vivere un’esperienza all’aperto assieme agli animali e poterli osservare mentre ascoltano con attenzione e partecipazione emotiva le storie di ognuno di loro e interagiscono rispettosamente con loro. Scoprire l’alterità, anche quella di animali non umani, ci aiuta a capire noi stessi. Io sono l’altro, diceva Zvetan Todorov, e soltanto comprendendo le dinamiche intersoggettive possiamo evolverci a livello individuale, sociale e morale».
Di recente lei ha dato vita a una “Banca dati eco-animalista” per un liceo di Olbia. Come può questa raccolta di opere incoraggiare gli altri docenti ad adottare una didattica antispecista?
«La Banca dati online eco-animalista è un’opera di ricerca pensata per creare un serbatoio di input per insegnanti. È costituita da link riconducenti a materiale di diverso tipo: saggi, libri antichi, podcast, riviste, unità didattiche, musica, programmi TV, un po’ di tutto insomma. Si tratta di materiale che può essere utilizzato così com’è oppure può essere didattizzato, a seconda delle esigenze della classe e del percorso. L’Archivio online vuole incoraggiare gli insegnanti a promuovere la cultura eco-animalista e mostrare come affrontare l’etica animale anche da una prospettiva intersezionale e interdipendente, con il fine ultimo di esortare gli studenti a partecipare a una transizione da un atteggiamento antropocentrico a uno biocentrico e contribuire a definire una vera e propria assiologia degli animali».
Questa intervista mostra la necessità da parte del Ministro dell’Istruzione e del Merito di mettersi al passo con i tempi e inserire i diritti animali all’interno della pedagogia che ha per oggetto l’insegnamento. Nonostante i vari docenti possiedono infatti conoscenze personali che permettono loro di sopperire provvisoriamente a programmi incapaci di affrontare la questione animale, i singoli professori non possono sobbarcarsi di lavoro per provvedere, con le loro forze limitate, alle mancanze del ministero. Del resto, tale istituzione ha il compito di non far ricadere l’onere dell’istruzione sui singoli docenti, ma permettere alle scuole e alle università ad inserire nei programmi una didattica antispecista, capace finalmente di sensibilizzare studenti e studentesse nei confronti della causa animale.
Gabriele Caruso