Il patto "AUKUS" tra USA, Regno Unito e Australia che non piace alla Cina (e fa infuriare i francesi)
Fonte immagine: Foreign Policy

Ha suscitato forte scalpore la recente decisione presa da del governo francese di richiamare i propri ambasciatori da Washington e da Canberra in seguito all’esclusione dal nuovo patto militare per il contenimento della Cina nel Pacifico tra gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Australia e denominato “AUKUS“. Si tratta di un evento di una certa portata, dato che è la prima volta nella storia che la Francia arriva ad accarezzare una decisione del genere nei confronti dell’alleato americano, con cui le relazioni sono sempre state sostanzialmente serene. Nemmeno durante la turbolenta presidenza di Charles De Gaulle, più volte in disaccordo con la politica estera americana in chiave europea, si arrivò mai a un epilogo del genere.

Parigi ha condannato senza mezzi termini la decisione di Joe Biden di stringere il patto, definendola «brutale, unilaterale e imprevedibile, che assomiglia molto a quanto fatto da Trump». Sono state queste le parole del ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, pronunciate in un’intervista a France Info, dopo aver appreso del patto. Alla base dell’ira dei transalpini, più che la mancata partecipazione all’iniziativa, c’è la risoluzione di un contratto dal valore di 56 miliardi di euro. I francesi, infatti, avrebbero dovuto fornire all’Australia numerosi sottomarini tradizionali, ma Canberra, dopo la firma dell’Aukus, ha deciso di rescindere unilateralmente il contratto. Questo perché il patto militare stipulato con USA e Regno Unito riguarda la condivisione tecnologica per la difesa navale. In poche parole, gli australiani, in un futuro non tanto prossimo, potranno fregiarsi di essere il settimo Paese dotato di sottomarini nucleari.

Tralasciando, per un momento, il mero aspetto economico, ciò che davvero dovrebbe catturare l’attenzione dei commentatori è il valore strategico dell’Aukus e le sue conseguenze su un’area molto calda come quella dell’Indo-Pacifico. La Cina, infatti, non ha perso tempo e ha sollevato numerose obiezioni contro gli americani, richiamando un clima da Guerra fredda e un pregiudizio ideologico che sta avendo come conseguenza l’accerchiamento militare e politico del gigante asiatico. Al contempo, in Europa si respira un’aria profondamente diversa rispetto al novembre scorso, quando il successo di Joe Biden su Trump fece ben sperare per i rapporti euro-americani. Seppur il disagio più palpabile sia quello francese, non si può nascondere che per la seconda volta (dopo il disastro afghano) gli Stati Uniti abbiano preso una decisione senza consultare gli alleati di sempre. Non è possibile escludere, quindi, che ciò abbia provocato un qualche risentimento nell’Unione Europea.

Cresce il fronte anti-Cina: l’Aukus e gli obiettivi USA nel Pacifico

Come anticipato, il nuovo patto di cooperazione americana avrà come obiettivo la condivisione tecnologica per la difesa navale: Stati Uniti e Regno Unito si preoccuperanno di fornire all’Australia le conoscenze necessarie per costruire dei sottomarini che utilizzino un motore alimentato da un reattore nucleare. Questa fruttuosa collaborazione interesserà anche altri settori strategici quali la cybersicurezza e l’intelligenza artificiale. L’obiettivo, nemmeno troppo celato, degli americani è quello di contenere l’espansionismo cinese in un’area profondamente strategica e vitale per gli interessi occidentali. L’Indo-Pacifico, infatti, è un crocevia importante per i commerci, attraverso cui transita oltre il 50% delle merci del globo: basti pensare che, solo per Malacca, passano circa 5 miliardi di dollari all’anno. Inoltre, il Mar Cinese meridionale è una fonte notevole di idrocarburi. Pare che quest’area ospiti 10 miliardi di barili di petrolio e 25 miliardi di metri cubi di gas.

L’Indo-Pacifico, però, è soprattutto il teatro geopolitico del confronto epocale tra Stati Uniti e Cina. E gli alleati, in questo contesto, giocano un ruolo importante. Gli americani, in questa partita globale, hanno deciso di contenere sia Pechino che la Russia, che costituisce comunque una minaccia secondaria ma presente, e non possono farlo da soli. Ecco perché hanno deciso di ripartire le competenze tra gli alleati della NATO: agli europei tocca contenere Pechino nel Mediterraneo (Italia, Regno Unito e Francia) mentre ai Paesi Baltici, alla Romania e alla Polonia spetta il contenimento dell’orso russo.

L’Aukus rientra perfettamente in questo contesto. L’allargamento della flotta australiana risponde alla politica di contenimento avviata da Washington per limitare le possibilità geografiche dei cinesi. Grazie ai sottomarini nucleari, la Marina dell’Australia sarebbe in grado di operare nel Mar Cinese meridionale, a ridosso di Taiwan, stretto alleato americano, ma anche isola rivendicata dai cinesi. Infatti, le scorrerie di Pechino nelle acque territoriali di Taipei e delle democrazie del Pacifico continuano a suscitare profonda preoccupazione nelle menti dei governanti, i quali alla prima occasione hanno deciso di fare squadra e di contrastare la minaccia.

Biden ha fatto sapere che la prossima settimana incontrerà i membri del Quad, un patto di sicurezza che comprende le principali democrazie dell’Indo-Pacifico (Giappone, Australia e India). Ciò significa che, almeno in quello spaccato di mondo, sta riprendendo forma il multilateralismo che Trump aveva messo da parte in favore di un rapporto diretto e burrascoso con le singole entità nazionali. Al contempo, data l’importanza dell’Indo-Pacifico e la sua centralità nella disputa con la Cina, gli Stati Uniti stanno progressivamente mettendo da parte il rapporto con gli europei, i quali, dal canto loro, hanno dovuto passivamente subire ben due decisioni senza essere consultati: il ritiro dall’Afghanistan e l’Aukus. Si tratta di due accadimenti che hanno suscitato un certo imbarazzo tra le istituzioni europee, totalmente ignorate e fuori dai giochi strategici del numero uno della Casa Bianca.

L’imbarazzo europeo e il rapporto con i cinesi

«Non lo sapevo. E presumo l’accordo non sia stato fatto in una notte, ma preparato per tempo». È possibile riassumere così, con le parole dell’Alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell, la posizione europea sul patto Aukus siglato dagli Stati Uniti, l’Australia e il Regno Unito. La batosta diplomatica, poi, arriva a ridosso del lancio della nuova strategia europea nell’Indo-Pacifico. Si tratta di un piano che, come si poteva intuire, “sceglie di non scegliere” con chi schierarsi nel prossimo e irrimediabile conflitto tra gli Stati Uniti e la Cina. La nuova strategia propone di lavorare con i nemici della Cina (Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda, Singapore) sulla cybersicurezza e le nuove tecnologie ma assicura, al contempo, una cooperazione con Pechino.

Nonostante ci siano evidenti riferimenti a una tattica navale non dissimile a quella adottata dagli americani nel Mar cinese, con “dispiegamenti navali potenziati per aiutare a proteggere le linee marittime di comunicazione e la libertà di navigazione interna“, il testo salvaguarda un approccio morbido con la Cina, partner commerciale che non può essere ignorato, soprattutto dal lato tedesco. Infatti, uno degli ultimi accordi dell’UE con Pechino, è stato firmato nel dicembre scorso proprio per volere di Angela Merkel, cioè l’unico leader continentale a cui è riconosciuto un certo spessore nelle relazioni internazionali e che, tra qualche giorno, uscirà dalla scena politica tedesca ed europea. Forse, alla base della decisione dell’Australia di stracciare l’accordo con i francesi circa la fornitura di 12 sottomarini convenzionali, c’è anche un’Unione che, vista da fuori, appare “senza testa” e quindi senza leadership.

Dal canto loro, i francesi credevano che Biden non avrebbe mai fatto un tiro mancino nei loro confronti. Macron, infatti, auspicava di essere entrato nelle grazie del nuovo Presidente. Dopo questo brusco risveglio, invece, Parigi potrebbe riprendere a spingere a favore del desiderio mai sopito di dare all’Europa una (vera) politica estera e di difesa comune. Il clima odierno, con l’Aukus che ha scombussolato le certezze continentali e con uno dei maggiori oppositori al progetto europeo fuori dall’Unione (leggasi Regno Unito), è propizio a questo ambizioso cambiamento arenatosi troppe volte tra veti incrociati e incertezze politiche. E i francesi non sono i soli a spingere in questa direzione.

Intanto a Bruxelles è stato programmato un incontro proprio per affrontare il tema dei futuri rapporti con gli alleati. Nonostante l’irrigidimento dei rapporti tra la Francia e gli Stati Uniti è lecito attendersi che sul tavolo si discuterà di una scappatoia diplomatica per non inimicarsi troppo Biden. Ma è evidente che qualcosa si sia rotto nella speciale partnership USA-Europa. Gli obiettivi strategici americani sono cambiati e non hanno più al centro l’Europa e il Mediterraneo, nonostante questi continuino comunque a rappresentare un quadrante di una certa rilevanza. Washington, però, ha deciso di volgere la sua attenzione principalmente all’Indo-Pacifico, nuovo snodo cruciale per le relazioni internazionali e soprattutto per il futuro dell’egemonia globale degli Stati Uniti, messa in seria discussione dalla Cina.

L’Aukus tra USA, Regno Unito e Australia rappresenta, dunque, soltanto l’ultimo tassello di un mosaico più vasto che ha al centro una competizione che spazia dalla tecnologia al commercio globale, senza disdegnare lo sgambetto diplomatico. In tutto questo l’Europa rischia di rappresentare soltanto un soggetto di nicchia, soprattutto se divisa, senza una politica estera e di difesa comune che le permetta di agire in autonomia sullo scacchiere internazionale.

Donatello D’Andrea

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