Giorgia Meloni prima Presidente del Consiglio
Fonte: Wikipedia

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha conferito l’incarico a Giorgia Meloni, prima Presidente del Consiglio nella storia italiana. La convocazione è arrivata dopo appena 26 giorni dalla tornata elettorale che l’ha vista raccogliere larghi consensi con Fratelli d’Italia, partito conservatore che ha contribuito a fondare nel 2012 e sotto la sua guida dal 2014, passato da 9 a 119 deputatǝ e da 3 a 65 senatorǝ elettǝ in una manciata di legislature. Trent’anni di presenza nelle sedi della destra italiana, dai movimenti giovanili agli scranni delle istituzioni locali, fino alla nomina ministeriale avvenuta nel 2008, all’età di 31 anni. Dal 2020 è la Presidente del Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei. Ecco perché non sorprende che sia proprio lei la prima donna a ricoprire questo incarico.

Ha fatto parlare di sé in tutto il mondo, descrivendosi come una donna, madre, italiana e cristiana, la forma più tradizionale in cui è possibile immaginare una personalità cisgender, post-fascista e di cultura cattolica. Quell’identità che fa storcere il naso a chiunque sia impegnato in lotte per l’intersezionalità ma che può diventare leva per un’analisi introspettiva delle profonde contraddizioni che interessano il nostro Paese. Giorgia Meloni ha una visione del mondo opposta alla mia, ma sta aprendo la strada a un importante precedente e, se non glielo riconoscessi, commetterei un grave errore.

Una donna può diventare Presidente del Consiglio?

Se la domanda appare retorica, ricordiamoci che Giorgia Meloni diventa la prima Presidente del Consiglio in Italia nel 2022, cioè dopo ben 76 anni dalla nascita della Repubblica italiana. Quando nel settembre 2010 veniva distribuita la prima stagione di “Borgen – il Potere“, ambientata in Danimarca, i giornali italiani descrivevano la serie tv come fantascienza (“Borgen, la serie danese su un primo ministro donna“, titolava il Corriere della Sera). La protagonista Birgitte Nyborg è ispirata alla Prima Ministra donna danese Helle Thorning-Schmidt, eletta nella realtà nel 2011.

Nyborg è leader del partito dei Moderati e si ritrova a governare il paese tra lo scetticismo e il disincanto. Il suo percorso incontra un grande ostacolo: l’essere donna. La sua ascesa in politica trova diverse battute d’arresto nel rapporto con suo marito e nel ruolo di madre, nel suo essere una donna normale ma con grandi capacità di negoziazione. Ottiene la maggioranza in Parlamento, ma viene costretta a giustificarsi per i suoi problemi familiari («Sono disposta ad andare in tv per parlare di politica, ma non per scusarmi di essere donna»). Durante le puntate più volte emerge il tema: può un primo ministro avere una vita privata? Un precedente, anche questo, a cui non si fa caso perché nella tradizione maschile dell’incarico mai nessuno ha dovuto porsi il problema («C’è qualcuno qui dentro che ha veramente pensato che io volessi ritirarmi e fare la casalinga?»).

Tratto dalla serie tv “Borgen – il potere”, episodio 1×10

Quando il soggetto imprevisto incontra il precedente

Carla Lonzi scriveva del “soggetto imprevisto della storia” che, irrompendo sulla scena, apre una crepa nell’ordine simbolico normato al maschile. Giorgia Meloni non è il soggetto imprevisto, bensì un soggetto confezionato dalla tradizione che non mette in discussione, anzi legittima. L’ironia della sorte è che la convinzione più radicata del suo personaggio è proprio quella di essere una donna. Benché non sia una sostenitrice dei valori promossi dal femminismo, la sua presenza nel frangente storico e nell’ala più conservatrice del Paese dimostra i progressi compiuti verso l’emancipazione dalla divisione sessuale dello spazio politico. Citando un recente articolo di Valeria Finocchiaro, «il femminismo riguarda tutti ed è un processo storico inevitabile che coinvolge l’intera umanità, non solo le persone di sinistra».

Considerare l’ascesa al Gabinetto di Giorgia Meloni come una beffa per il movimento femminista significherebbe commettere lo stesso errore di cui è vittima il sistema politico da anni: pensare ai volti dei singoli come espressioni di un mutamento quando, invece, non sono altro che risultati di un processo. Giorgia Meloni non sarebbe dov’è senza le mobilitazioni di generazioni di donne che l’hanno preceduta. Sebbene ne rigetti i fini, è figlia e fruitrice dei diritti conquistati dalle altre, di un movimento plurale che non è mai stato personale ma costellato di nomi e storie che, in maniera trasversale, hanno contribuito a un avanzamento e a un ampliamento dei diritti sociali in Italia.

L’attuale contesto internazionale dimostra che si sta normalizzando la presenza delle donne ai vertici degli Stati. Soltanto questa settimana sui titoli delle testate, accanto a quello di Giorgia Meloni, rimbalzavano i nomi della Ministra capo della Finlandia Sanna Marin e della dimissionaria Liz Truss nel Regno Unito. E tante altre già note hanno portato a Palazzo la propria visione, come la longeva Angela Merkel in Germania, Magdalena Andersson in Svezia o Jacinda Arden in Nuova Zelanda.

Tratto dalla serie tv “House of the Dragon”, episodio 1×09

L’influenza sull’immaginario di una donna Capo di Governo

Succederà inevitabilmente che la presenza stessa di una donna in un ruolo occupato storicamente da un uomo creerà il problema equivoco delle attribuzioni, che lei lo voglia oppure no. In questo senso, potrebbe diventare un role model, cioè un modello a cui altrǝ guardano per determinare i comportamenti (le bambine a scuola forse inizieranno a dire frasi del tipo “da grande voglio diventare Prima ministra“). Nelle case, negli uffici, durante la stesura degli atti ufficiali. Siamo dinanzi a un precedente. Si parte dall’utilizzo della lingua, rigorosamente italiana, cambiando l’articolo: “LA” Presidente Giorgia Meloni, così come indica Treccani, e non la Presidentessa (come First Lady o, peggio, come viene utilizzato per sottolineare l’inappropriatezza al ruolo).

Per quanto non ci rappresenti, l’accostamento tra il ruolo di Capo di Governo e l’essere donna, con la conseguente capacità o incapacità nel gestirlo, creerà un precedente. Al pari di un uomo, stringerà tra le mani la campanella.

Quando Giorgia Meloni si è pubblicamente scusata con sua figlia per essersi assentata durante la campagna elettorale, ho pensato che fosse un esempio di intimate politics con un altro sapore. Non è l’avanguardia del femminismo, tutt’altro, ma la Presidenza del Consiglio non era mai stata accostata alla genitorialità perché soltanto alle donne viene richiesto di conciliare la vita privata e la carriera politica.

Infine, una campagna elettorale di contenuti portata avanti a oltranza dinanzi a un accanimento mediatico che continuava a chiederle di esprimersi sull’aborto “in quanto donna“. A una Prima Ministra chiederemo d’ora in poi di esprimersi sulla Manovra, sulle scadenze del PNRR, sugli investimenti, sul ruolo dell’Italia in Europa e poi anche sull’aborto, non di sua competenza esclusiva per gli attributi sessuali di cui è portatrice ma come parte della visione di Paese che propone alla popolazione. L’incidenza che avrà sull’immaginario collettivo è un precedente.

L’orizzonte possibile del femminismo

Giorgia Meloni ci assomiglia ma non ci rappresenta. Penso che al cambiare del mondo e della società, cambino le priorità. Penso che esiste una generazione che ha già consapevolezza della capacità delle donne di affrontare un incarico politico e che, quindi, quello di oggi non possa essere considerato un obiettivo dell’attuale movimento transfemminista; al contrario, è nel rapporto con l’altro che si instaurano le complessità, nel dover dimostrare eccellenza mentre si corre in un percorso di vita costellato da insidie, superando le voci indomite mentre sgomitiamo tra salari più bassi a parità di mansioni e tentativi di prevaricazione sui nostri corpi. Penso che l’impegno che seguirà questo evento – di cui riconosco la portata – dovrà convergere verso la più strenua opposizione politica, in un grande momento di riflessione e coinvolgimento nelle piazze, perché proprio il Parlamento quale luogo di rappresentanza oggi vive il decremento più significativo di presenze femminili (e neanche quello mi basta più, ndr).

Affinché la prossima Presidente del Consiglio appartenga alle categorie oggi escluse e marginalizzate dal dibattito politico.

Sara C. Santoriello

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