Al giorno d’oggi parlare di combustione va sicuramente contro corrente rispetto alle ispirazioni che, fortunatamente, stanno iniziando ad animare una fetta sempre più consistente della popolazione mondiale. Checché se ne dica, non saranno poche centinaia di firme (peraltro sospette) in calce a un documento ad aizzare orde di negazionisti e a vanificare il lavoro svolto dalla comunità scientifica negli ultimi decenni. Un impegno, questo, profuso in diversi settori della ricerca, che ad oggi ha definito nell’azione dell’uomo la principale delle cause che portano al global warming.
Quando si parla di combustione il riferimento è a una reazione chimica che vede l’ossidazione di un combustibile (generalmente un idrocarburo o un suo derivato, ad esempio la benzina o il diesel) da parte di un comburente (l’ossigeno dell’aria, ad esempio). Tali reazioni sono protagoniste di grossi rilasci di calore, ed è proprio sulla possibilità di servirsi di energia termica (aumento di temperatura) e convertirla in energia meccanica (aumento di pressione e/o di volume) che si basa, ad esempio, l’intero mondo dell’autotrazione.
Il ruolo dell’uomo nell’uso e abuso dei processi di combustione
Auto, moto e veicoli da strada sono comunque solo uno degli aspetti a noi direttamente imputabili dell’uso che si fa della combustione, dal momento che forse non sarà noto che su quegli stessi principi si fondano anche altri sistemi, che vanno dal riscaldamento delle nostre abitazioni fino ai grossi impianti legati alle industrie e al mondo dei servizi pubblici. Oltre all’energia, tuttavia, i processi di combustione coinvolgono inevitabilmente la produzione di anidride carbonica e acqua (allo stato vapore), motivate dal fatto che i combustibili ordinari sono essenzialmente composti di carbonio e idrogeno. Si tratta, quindi, di un processo piuttosto prevedibile e che per questo motivo in chimica hanno pensato bene di presentare brevemente sotto la forma di un’equazione che in realtà ne nasconde numerose altre, i cosiddetti step-reattivi.
Ed è proprio rispetto al costo in termini ambientali provocato dalla combustione che, negli anni, sono stati portati avanti diversi studi volti all’incrementare i rendimenti di ogni sistema che ne facesse uso. Va detto, infatti, che in aggiunta ad anidride carbonica e acqua, i prodotti che teoricamente darebbero una reazione completa, a valle di una combustione non completa si formano anche monossido di carbonio e/o composti a base di zolfo, senza contare il particolato atmosferico, conosciuto anche come “polveri sottili”. Non sembrerebbe particolarmente preoccupante, insomma, fino a che non si venga a sapere che nessun reale processo di combustione è completo. Una tale perfezione è, de facto, solo un costrutto della stechiometria, che nell’ambito della chimica tenta di spiegare il comportamento reale della combustione a partire da una reazione ideale.
Se le condizioni di temperatura e pressione sono quelle giuste, inoltre, anche l’azoto brucia e partecipa alla combustione generando i cosiddetti NOx, tra cui il monossido di azoto e il biossido di azoto. Queste molecole sono state classificate come cancerogene dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e in più rappresentano alcune delle diverse cause delle piogge acide che contribuiscono ad alterare la biodiversità e a intaccare il livello di tossicità degli alimenti che entrano nella catena alimentare.
Sembrerebbe, ad esempio, il caso dei motori diesel, che in passato hanno costituito un’innovazione a tutti gli effetti, e che oggi invece sono progressivamente in diminuzione. Bisogna dire che un motore diesel vanta sicuramente un rendimento migliore di un pari a benzina, e quindi minori consumi. In camera di combustione, tuttavia, le alte temperature fanno sì che anche l’azoto nell’aria prenda parte all’ossidazione, con la formazione de suddetti NOx. Inoltre, parzializzando solo l’afflusso di combustibile, e non anche di aria, all’interno dei gas di scarico si ritrovano anche molti prodotti di combustione parziale, con alcuni “agglomerati” che compaiono come piccole particelle solide sospese che in gergo prendono il nome di PM (particulate matter). Si tratta di un inquinante molto diverso da tutti gli altri, dato che si presenta non come una specifica entità chimica, bensì come una miscela di particelle dalle più svariate proprietà. A questo proposito si sente spesso parlare di PM 10 o di PM 2.5 come due tra i peggiori nemici della nostra salute. Sono proprio le dimensioni ridotte che li rendono pericolosi e capaci di penetrare ampiamente gli organi umani fino ai polmoni e ai bronchioli.
Al giorno d’oggi esistono normative che a livello europeo, e in accordo con le direttive dell’OMS, stabiliscono i limiti quotidiani e annui sulle concentrazioni massime delle micropolveri. Nonostante la spinta che le case automobilistiche adoperano in favore di motori sempre “meno sporchi” (green è un parolone), sono ancora preoccupanti le statistiche che obbligano diversi Comuni in Italia a “ripristinare” la composizione dell’aria, ad esempio bloccando la circolazione delle auto.
I motivi sono clamorosamente tanti e non fanno tutti capo direttamente alle quattro ruote e al loro stato di avanzamento, sebbene circa il 12% delle emissioni di gas serra in Europa sia dovuto alle nostre automobili. Sono ancora svariate le Euro 0 a piede libero, o chi monta due marmitte o va in giro senza revisione magari alla guida della sua diesel che ha il filtro anti-particolato intasato, le navi ferme e a motore acceso a ridosso di città popolose, eppure sorprenderà sapere che c’è dell’altro. Nella sola Lombardia, infatti, il 55% delle emissioni di PM 2.5 e il 48% di PM 10 è causato dalla combustione della legna domestica, che produce tra i particolati atmosferici più pericolosi in assoluto, i cosiddetti IPA, idrocarburi policiclici aromatici. Quasi il 75 % degli IPA in Pianura Padana sono generati proprio dalla combustione della legna in stufe, caminetti, pellet e simili.
Se vogliamo, però, la legna è a tutti gli effetti una fonte di energia rinnovabile, tanto da essere definita carbon neutral. Questa cosa ha prontamente estasiato il pensiero di molti governatori in tutto il mondo, ed è così che nell’ultimo decennio il tema delle biomasse da legno sembrava al centro delle strategie di allontanamento dall’uso dei combustibili fossili. In realtà, i loro vantaggi si evincerebbero solo dopo lunghi periodi di tempo, considerato che l’attività che ne ricompensa il consumo sarebbe quella di una continua riforestazione.
Verso nuove frontiere, sotto l’egida della ricerca spaziale e di auto sempre meno ordinarie
Nuove soluzioni sono però all’orizzonte e sulle più classiche si può dire che ne siamo quasi al corrente. Abbiamo idea del fatto che una macchina possa funzionare anche senza benzina, o che esistano fonti di energia rinnovabili, anche se lo sforzo di fiducia che siamo disposti a mettere in gioco in favore di nuove soluzioni dipende ancora molto dalle nostre esigenze. Sono molti, ad esempio, i fornitori che hanno deciso di ridurre la produzione di auto diesel e di dedicarsi pertanto al settore dell’ibrido o del full-electric, senza combustione, finanche delle auto a idrogeno. Ogni soluzione, tuttavia, prevede ancora molto lavoro, che per un’auto elettrica potrebbe risolvere il problema dell’autonomia, dell’accumulo delle batterie o della scarsità di punti di ricarica, o per un auto a idrogeno annientare i problemi legati al trasporto tramite delle stazioni di servizio auto-sufficienti che siano capaci di produrlo al minimo impatto ambientale e con l’uso di fonti rinnovabili.
Sarà importante in futuro muoversi da un’intelligenza convergente, che cioè cerca la soluzione al problema nel problema stesso a un punto di vista divergente, capace cioè di spaziare. Questo perché si continui a evidenziare l’importanza della ricerca intorno al fenomeno della combustione e, contemporaneamente, a ridimensionare le nostre coscienze nel piccolo.
Attualmente il fenomeno della combustione nasconde ancora delle curiosità, soprattutto perché molta dell’opacità deriva dalle influenze fluidodinamiche terrestri che non permettono di isolare e studiare la sola chimica degli step reattivi che abbiamo definito. Un grosso sforzo in tal senso lo si compie finanziando i viaggi spaziali, che molti fanno ancora fatica a guardare di buon occhio. Nello spazio, infatti, la gravità ridotta o assente fa sì che la fiamma si espanda in modo uniforme in ogni direzione, configurando a simmetria sferica. Tali condizioni portano inevitabilmente a semplificare lo studio del processo, tanto che alcune recenti missioni (come il progetto FLEX-ICE-GA, che gode anche di una collaborazione italiana) hanno messo in luce alcuni fatti importanti, ad esempio che le fiamme si estinguono apparentemente dopo alcuni secondi, mentre le gocce di carburante continuano a bruciare.
Si parla a questo punto di “fiamme fredde”, cioè di fiamme apparentemente estinte che continuano però a bruciare il carburante a temperature molto basse (200-500 °C), riducendo anche la produzione di inquinanti. Le fiamme normali producono fuliggine, anidride carbonica e acqua; di contro, le fiamme fredde produrrebbero monossido di carbonio e formaldeide.
Le prospettive sono tante, ma qui sulla Terra intanto dobbiamo far fronte nell’immediato a un’ondata di cattive notizie. Restando fedeli alle statistiche, non si può negare che negli ultimi vent’anni gli impatti della combustione su ambiente e salute non si siano ridotti. Non abbastanza, comunque, rispetto alle potenzialità tecnologiche che abbiamo, pur a fronte di una bassissima consapevolezza sul problema. La sottile linea che esiste tra il danneggiare l’ambiente e il danneggiare noi stessi è ancora più sottile di quanto immaginavamo.
Nicola Puca