Morti sul lavoro poveri migranti
Fonte: http://www.dongiorgio.it/30/04/2019/una-carneficina-senza-fine-chiamata-lavoro-1-133-morti/comment-page-1/

Circa 650mila infortuni all’anno denunciati dal 2014 ad oggi, con un bollettino di più di 1.000 morti ogni anno e in pericolosissima crescita nel primo semestre del 2019. Se si pensa, inoltre, che in Italia le morti sul lavoro annuali sono il triplo delle morti per omicidio, è facile concludere che quella della sicurezza sul lavoro rappresenti una vera e propria emergenza nazionale. Un’emergenza che non può che scaricarsi quasi esclusivamente su deboli, poveri e migranti.

Morti sul lavoro, i dati complessivi

Secondo quanto si ricava dai dati INAIL, gli infortuni denunciati nel 2018 sono stati 645mila: in calo rispetto ai 663mila del 2014 e soprattutto rispetto al trend storico (ancora nei primi anni 2000 le cifre si aggiravano intorno al milione annuo), ma in costante aumento negli ultimi quattro anni. Per quanto riguarda le morti sul lavoro, invece, il 2018 è stato segnato da 1.218 decessi: in crescita rispetto alle 1.148 del 2017, e secondo solo al 2015 (1.303) nell’ultimo quinquiennio.

Interessante anche la ripartizione geografica: la maggior parte delle denunce, sempre in riferimento al 2018, è avvenuta in Lombardia (circa 120mila all’anno), mentre degne di nota sono anche Veneto ed Emilia Romagna, entrambe sopra i 70mila. Per quanto riguarda invece le morti sul lavoro, oltre alle precedenti (che vanno abbondantemente sopra i 100) vanno menzionati il Piemonte (103) e Campania e Puglia (97 e 93), che colpiscono per l’alta percentuale di decessi in rapporto allo scarso numero di denunce (22mila e 31mila).

Il 2019 non sembra promettere nulla di positivo. Se è vero che gli infortuni da gennaio a giugno 2019 sono in calo dello 0,18% rispetto allo stesso periodo del 2018 (fermandosi a 323mila), è possibile registrare invece una preoccupante escalation dei decessi sul lavoro: +2,77%, dai 469 del 2018 ai 482 del 2019.

A rischio sono soprattutto poveri e migranti

Su chi grava il peso di questa emergenza? Ovviamente sulle fasce di lavoratori meno tutelate: poveri e migranti. Vega Engeneering, società di consulenza che si occupa di salute e sicurezza sul lavoro, ha formulato un’analisi dettagliata sulla sicurezza sul lavoro nel 2019. Ne emerge che in un caso su tre non è possibile determinare il settore economico in cui operavano i caduti sul lavoro: segno, probabilmente, di posizioni non sempre regolari. Per il resto, la maggior parte delle morti sul lavoro avviene in settori molto manuali, poco tutelati e dai salari poveri come quelli della manifattura (15%), delle costruzioni (13%) e del trasporto e magazzinaggio (11%). Tutti gli altri settori seguono con percentuali esigue.

Ma questo studio ci fornisce anche molti altri dati interessanti. Ad esempio, l’incidenza delle morti sul lavoro nella fascia dai 15 ai 24 anni è di 21,6 morti ogni milione di occupati; incidenza che scende progressivamente fino ai 44 anni per poi risalire fino a un preoccupante picco di 81,5 superati i 65 anni. Le fasce di età più a rischio sono quindi i giovanissimi e gli anziani.

Infine, un dato importante riguarda le nazionalità dei lavoratori. Nel 2018 il 16,3% degli infortuni (105mila su 645mila) e il 16,9% delle morti sul lavoro (207 su 1218) hanno riguardato lavoratori di origine straniera. Nel 2019, la situazione è addirittura peggiorata. L’incidenza dei lavoratori stranieri sui casi di morti sul lavoro è del 17,6%: in ogni caso, superiore all’impatto dei lavoratori stranieri e migranti sul totale degli occupati nel nostro Paese, che si aggira intorno al 10,5%. Soprattutto, il 75% degli stranieri coinvolti proviene da paesi extra-UE: dato che dovrebbe far riflettere sulla qualità e sulle tutele del lavoro dei migranti in Italia.

Come interviene la politica

I governi, però, si sono ciclicamente dimostrati miopi nel valutare come tale questa emergenza. L’ultimo intervento organico sul tema risale al 2008, con il Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro. Un testo ritoccato solo dall’ultima Legge di bilancio del dicembre 2018, che prevede un inasprimento del 10% delle sanzioni relative alla sicurezza sul lavoro e del 20% sulle sanzioni riguardanti il lavoro irregolare, oltre a un incremento dell’organico dell’Ispettorato nazionale del lavoro.

Ma la stessa manovra finanziaria, quella varata dal governo gialloverde, ha creato un equivoco ben più grande. Nel famoso “promemoria” pubblicato da Luigi Di Maio nel quale l’allora Ministro del Lavoro rivendicava i successi di quella Legge di bilancio, una voce parlava di “Taglio del 30% dei premi INAIL per le aziende“. Ed effettivamente è una promessa mantenuta: con un successivo decreto attuativo si è concretizzato un sgravio di circa 500 milioni di euro sulle tariffe INAIL per le aziende, che si va a sommare agli 1,2 miliardi di tagli già previsti dalla Finanziaria 2013. In totale il risparmio per le imprese sarà quindi di circa 1.7 miliardi sul triennio 2019-2021.

Ciò che preoccupa, però, è che ben 410 dei 500 milioni previsti vengono recuperati attraverso il taglio delle risorse destinate ai piani di investimento per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. In sostanza: per permettere alle aziende di tornare ad assumere, si sacrifica la sicurezza sul lavoro degli stessi dipendenti, lasciando così i lavoratori ancora più poveri a livello di tutele.

All’inizio di questo mese di ottobre, in poche ore, due lavoratori sono rimasti uccisi: prima un operaio dello stabilimento FCA di Cassino, rimasto schiacciato da una pressa di tre tonnellate; poi, in provincia di Alessandria, un operatore che stava riparando un guasto sulla linea telefonica è caduto da un palo da circa dieci metri d’altezza, battendo violentemente la nuca. Quanti incidenti dovranno avvenire ancora prima che si intervenga con la dovuta urgenza?

Simone Martuscelli

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