A scuola di cambiamento climatico
Manifestazione Fridays for Future

Ancora una volta l’Italia torna protagonista della stampa internazionale: dal New York Times allo Spiegel, passando per la spagnola La Vanguardia, il suo nome rimbalza di testata in testata. Tranquilli però, questa volta non è per un fattaccio di cronaca nera, né tantomeno per uno scandalo politico o una nuova crisi dell’establishment governativo, ma perché, prima fra tutti gli altri Paesi, renderà obbligatorio lo studio del cambiamento climatico e dello sviluppo sostenibile a scuola. Questo, almeno, stando alla dichiarazione rilasciata lo scorso 5 novembre dal ministro dell’Istruzione in quota Movimento Cinque Stelle, Lorenzo Fioramonti, in un’intervista a Reuters.

Dal prossimo anno, ha spiegato il ministro, l’Italia cambierà il proprio programma scolastico per inserirvi 33 ore annue da dedicare allo studio dei problemi legati al cambiamento climatico. «Per i bambini di età compresa tra i 6 e gli 11 anni stiamo pensando», ha dichiarato Fioramonti, «di utilizzare il modello fiabesco». Storie di culture diverse, dunque, saranno impiegate per sottolineare la stretta connessione tra uomo e ambiente. Per gli studenti delle scuole medie, invece, saranno previste informazioni di natura più tecnica e per quelli delle scuole superiori, infine, accurati approfondimenti dell’Agenda 2030, il programma d’azione per lo sviluppo sostenibile sottoscritto dai 193 Paesi membri dell’ONU. Queste, per il momento, le uniche informazioni che sono state rese note.

Iniziativa lodevole, non vi è dubbio. Ritorno d’immagine più che positivo per il nostro Paese, certo anche questo. Un occhio più critico, e neanche poi così tanto, potrebbe però notare che una sola ora a settimana – perché 33 ore distribuite nel corso di un intero anno scolastico corrispondono circa a un’ora a settimana – forse non sia sufficiente a sensibilizzare le coscienze dei più giovani e a permettere loro di acquisire buone pratiche quotidiane capaci di contribuire a invertire la strada che è stata da tempo imboccata e che in questo particolare momento storico, in cui le conseguenze del cambiamento climatico sono divenute inequivocabili, rischia davvero di condurci di fronte a un baratro.

C’è poi da chiedersi se si tratterà di un’effettiva ora di lezione in più da aggiungere al monte ore annuo o se, piuttosto, le ore di cui ha parlato il ministro dovranno essere distribuite nel corso delle ore di scuola dedicate alle materie tradizionali. Circostanza, quest’ultima, decisamente più probabile, come spiega Francesca Zazzera, coordinatrice del gruppo Greenpeace Napoli con una lunga esperienza di insegnamento alle spalle. Proprio parlando da insegnante Francesca dice che, in realtà, almeno nella scuola elementare temi come quello del cambiamento climatico sono già ampiamente affrontati utilizzando un approccio interdisciplinare che suscita l’interesse e la curiosità dei più piccoli, i quali mostrano una spiccata sensibilità nei confronti della questione. Sensibilità che si manifesta tutta nella risposta più che positiva che riscontrano iniziative quali raccolta differenziata e riduzione del consumo di plastica promosse dagli istituti scolastici.

Una maggiore attenzione, invece, dovrebbe essere riservata a studenti di scuole medie e superiori affinché ciò che è entrato a far parte del loro bagaglio culturale durante i cinque anni di elementari non si vada via via perdendo e non si trasformi in un “rifiuto” da lasciarsi alle spalle. Ma questo non potrà non accadere, come fa notare Francesca, se, ad esempio, i libri di testo continueranno a lasciare così tanto spazio alle fonti fossili piuttosto che a quelle rinnovabili, esaltando le prime quali principale fonte energetica anziché metterne in evidenza i danni e l’impatto ambientale che un uso smodato di tali risorse ha provocato nel lungo periodo. O, ancora, se le aziende presso le quali gli studenti sono tenuti a svolgere le ore previste dal progetto di alternanza scuola-lavoro presentano standard di certificazione ambientale medio-bassi finendo così, indirettamente, con il legittimare l’idea che il profitto vince su tutto, tanto al resto ci pensa il greenwashing.

A scuola di cambiamento climatico
Lorenzo Fioramonti
(Fonte: huffingtonpost.it)

I dubbi e le perplessità avanzate sono sicuramente più che pertinenti. In attesa di capire qualcosa di più sappiamo invece che molte materie di scuola tradizionali come geografia, matematica e fisica saranno affrontate sotto una nuova prospettiva legata allo sviluppo sostenibile: questo stando a quanto dichiarato da Fioramonti, ma, è noto, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e, in un momento di emergenza climatica come quello attuale si sa che il livello del mare si alza pericolosamente.

Da qui la necessità – che trova espressione nella realtà del collettivo nazionale Teachers for Future Italia, di cui è portavoce la docente napoletana Monica Capo e che include insegnanti, educatori, professori, ricercatori, dirigenti scolastici e rettori – di un intervento più deciso, che scardini i paradigmi tradizionali della didattica attraverso un approccio critico al modello di sviluppo dominante piuttosto che limitarsi a declinare le materie di studio a scuola nell’ottica del concetto di sviluppo sostenibile.

Tuttavia, è evidente, la nostra classe politica, mentre si dice così preoccupata a causa del cambiamento climatico, del dissesto idrogeologico che affligge l’Italia intera e si mostra angosciata a causa di eventi meteorologici estremi che sempre più spesso mettono in ginocchio il nostro territorio, non riesce ancora a lasciarsi alle spalle un’ideologia che qualifica il progresso esclusivamente in termini monetari, traendo profitto dalla mercificazione di ogni cosa, natura inclusa. Alla luce di questa considerazione appare legittimo chiedersi quali concreti effetti potrebbe sortire un intervento riformatore di questo tipo, se insegnanti e studenti non trovano nessuna collaborazione da parte della classe dirigente. Alla risposta, forse, ci si potrà arrivare nel corso di una delle ore di lezione programmate. Sempre che non siano troppo poche.

Virgilia De Cicco

Virgilia De Cicco
Ecofemminista. Autocritica, tanto. Autoironica, di più. Mi piace leggere, ma non ho un genere preferito. Spazio dall'etichetta dello Svelto a Murakami, passando per S.J. Gould. Mi sto appassionando all'ecologia politica e, a quanto pare, alla scrittura. Non ho un buon senso dell'orientamento, ma mi piace pensare che "se impari la strada a memoria di certo non trovi granché. Se invece smarrisci la rotta il mondo è lì tutto per te".

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