Ennio Flaiano diario dolore
Ennio Flaiano - Fonte immagine: Informare online

Scrittore, giornalista, critico teatrale e cinematografico, sceneggiatore. Ennio Flaiano (1910-1972) resta una delle – caleidoscopiche – figure più controverse del Novecento italiano.
Amante della forma narrativa breve, Flaiano accolse e riadattò la versione divulgativa del racconto, il diario pubblico. Pensato per creare coscienza e suscitare scompiglio tra le anime sopite dei lettori. Nato per diffondere consapevolezza e un pensiero libero, dopo la censura fascista. Il diario pubblico aveva l’infelice compito di schiaffeggiare lo spirito, ormai assuefatto al dolore.

La firma di Ennio Flaiano stava nel sentenziare la sua verità nel giro di poche parole. Nella poesia, prediligeva l’epigramma di tradizione classica: dalla forma severa, concisa, chiusa spesso in solo esametro, l’epigramma rappresentava la nobile arte dell’iscrizione, alta e d’occasione. La rivisitazione moderna dell’autore abruzzese trascendeva l’ambito illustre, per abbracciare il principio di sinteticità applicato all’opinione critica, spianando la strada allo stampo aforistico. Altro genere caro, infatti, a Flaiano era quello degli amati ‘errori‘, gli aforismi: abbozzi irriverenti e sfiduciati su una contemporaneità in decadenza, in scena sul grande palco degli orrori.
Era il giornalista della terza pagina, degli elzeviri: un’immancabile penna tra i commenti d’autore, ad apertura della sezione culturale. Un uomo di difficile categorizzazione, senza etichetta. Un autore dallo stile ibrido e contaminato da diversi generi, ma con un solo filtro in comune: il dolore della disillusione.

E poi Roma, la sua nemesi. L’incontro con la capitale e il suo inconfondibile veleno, croce e delizia al cuor. E lui, Ennio, un animo stanco alle prese con le solite vecchie storie fumanti: con sguardo neorealista e disilluso, Flaiano assisteva alla ‘commedia umana‘ che si consumava davanti ai suoi occhi, tra annoiati sbadigli e malinconica indifferenza.

«Famosa resta la frase del rigido generale nemico che occupò la capitale durante l’ultima guerra. ‘Come ci si corrompe bene in questa città!’»
(da ‘O mia capitale!‘, l’VIII capitolo del “Supplemento ai viaggi di Marco Polo”- prima parte de il “Diario Notturno“, 1956).

“Diario Notturno” è la raccolta oculata e certosina dell’operato di Ennio Flaiano: interpreta il concetto di ‘diario’ redatto nel tempo, al passare del tempo, ma di pubblica finalità e lettura. Eredita la lezione dello Zibaldone sulle private confessioni di una menta lucida e pessimista. Fa propria la prospettiva dell’antica satira, all’angolo di un crocevia, in attenta osservazione dei drammi del reale. Il diario di Ennio riunisce tutte le forme letterarie da lui predilette: il racconto breve e sentenzioso, i dialoghi diretti e sarcastici, sferzanti aforismi e l’escamotage dell’apogolo, crudo e paradossale – ossia un racconto allegorico con fine pedagogico, spesso usato come exemplum, all’interno di macrotesti, e sarcasticamente divertente sulla scia del genere della facezia.

Le opere di Ennio: un ‘diario del suo dolore’

In Diario Notturno, riprende la tradizione degli apologhi il racconto allegorico ‘Un marziano a Roma‘. Inizialmente simbolo di salvezza, l’arrivo dell’extraterrestre sembra ricordare la venuta di Cristo in terra, «la speranza che tutto cambierà. […] C’è nell’aria qualcosa che ricorda il 25 luglio del 1943». Dunque, il secondo parallelismo è con un fatto storico reale, la caduta del fascismo. Ma, progressivamente, c’è un abbassamento dell’argomento: il marziano si lascia corrompere dallo stesso mondo che avrebbe dovuto salvare e Roma torna la stessa, un frenetico pendolo che oscilla tra una burocrazia malata e il chiacchiericcio scandalistico.
Il marziano «partecipa a troppi ricevimenti, banchetti e cocktails»; accetta di essere membro «di una giuria di artisti e scrittori per l’elezione di Miss Vie Nuove» ed è tra gli ultimi a cui il Santo Padre concede udienza. Ormai, «l’argomento è un pochino scaduto». E, quando finalmente il narratore riesce ad avvicinare il protagonista – talmente alto e fuoriluogo, da sembrare indifeso – solo allora, «per un attimo soltanto, fuggevole e lieve impressione, ho avuto la certezza che fosse infelice». È il silenzioso rumore del dolore di speranze disattese e promesse infrante. Perché, in conclusione, neanche forze ultraterrene possono salvare ciò che non vuole essere salvato. Anzi, vengono trascinate a fondo. «Si parla infatti di una prossima partenza, sempre se riuscirà a riavere l’aeronave, che gli albergatori hanno fatto, si dice, pignorare».

Convinto ormai che la realtà avesse superato il paradossale, Flaiano raduna nel 1972, in un’ultima raccolta,”Le ombre bianche“, cioè quelle «storie brevi, divertimenti e dialoghi; infine occasioni, satire scritte negli ultimi quindici anni». Giudice freddo e implacabile, Ennio riconosce come mostri tutte quelle lucciole in constante andirivieni nella vita di chiunque, specchi per allodole, che abbagliano ma, in realtà, celano il marcio. Bestie, ad esempio, sono gli intellettuali soggiogati dalla mondanità e gli amici delle chiacchiere – inutili al bar -, che non rispettano le proprie donne. Bestie sono i giornalisti, consacrati e venduti alla notizia ‘urlata’, dimenticandosi della loro missione e della qualità di un servizio. E quindi, proprio i giornalisti diventano ‘Le Iene‘, animale carnivoro che «appare timida, ansiosa, non stai mai ferma, aspetta che gli voltiate le spalle soltanto; […] Il suo riso, lo sappiamo tutti, è agghiacciante: ci senti il sarcasmo e la ferocia professionale dell’assassino. […] L’unica speranza è che, col tempo, aumentando di numero, finiscano per divorarsi tra di loro. Se prima non divoreranno noi».

Sono, queste, le memorie di vecchio cinico, alle prese con un mondo che non gli piaceva più da troppo, ma in cui non avrebbe mai voluto smettere di credere. E cos’è il dolore, se non un’aspettativa costantemente delusa e il senso di solitudine che ne consegue?

Pamela Valerio

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