Danimarca: l'islamofobia può portare il gruppo delle destre alla vittoria
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La Danimarca è una nazione sottovalutata. Con meno di 6 milioni di abitanti, il Paese scandinavo eleggerà alle elezioni europee di maggio ben 14 dei 705 eurodeputati, che si riducono rispetto agli attuali 750+1 a causa della Brexit.

Se è vero che rispetto all’Italia, che conta più di dieci volte la popolazione danese ma solo cinque volte e mezzo gli eurodeputati – che saranno 76 –, la Danimarca è sovrarappresentata, i nordici sono invece sottorappresentati rispetto ad esempio al Lussemburgo, che con un decimo della popolazione danese è rappresentato dalla metà degli europarlamentari di Copenaghen.

Stranezze, queste, dovute ai meccanismi europei che cercano di tutelare anche gli interessi dei Paesi più piccoli, in uno spirito di cooperazione che altrimenti diverrebbe il predominio dei più forti – in testa Germania, Francia e Italia.

La domanda legittima che potrebbe sorgere è la seguente: perché la Danimarca, oggi, dovrebbe suscitare curiosità e attenzione per un italiano?

Le risposte sono molteplici e semplici: perché la Danimarca è la prima tra le socialdemocrazie nordiche ad andare al voto, e ciò avverrà a cavallo delle elezioni europee e comunque non oltre il 17 giugno; perché il sistema di ripartizione dei seggi è un proporzionale con soglia di sbarramento al 2%, e ciò porta ad alleanze tra partiti anche di programmi apparentemente incompatibili; perché la campagna elettorale non dura più di 4 settimane ed è proibito condurla attraverso le televisioni, quindi diventano fondamentali il contatto con i cittadini e, ormai, le campagne condotte tramite i social: ciò inoltre consente di tracciare meglio quanto e come si è speso, con una maggiore trasparenza nei confronti degli elettori.

Il primo motivo, in particolare, riveste particolare interesse a livello politico, perché può essere una cartina di tornasole anche per le altre due socialdemocrazie scandinave che fanno parte dell’Unione Europea, Svezia e Finlandia. Si tratta di Paesi ricchi, con una popolazione non così elevata, e in virtù di questo dotati di un welfare state avanzato. Questo, a sua volta, ha fatto sì che la Danimarca e il resto della Scandinavia si siano trovate ad essere un rifugio ideale dapprima per i profughi delle guerre in Jugoslavia, poi per emigrati dall’Africa e dal Medio Oriente.

Solitamente, la Danimarca non è una protagonista abituale delle rassegne stampa nostrane, e per questo quando capita è per motivi eccezionali. Come non ricordare, per esempio, le vignette su Maometto pubblicate nel 2005 dal quotidiano danese Jyllands-Posten che scatenarono proteste e violenze nei Paesi islamici?

Bene, la linea sottile tra “usi e tradizioni della Danimarca” e l’odio verso gli stranieri, soprattutto quelli musulmani, si assottiglia sempre di più.
È il caso della proposta di negare la cittadinanza danese, pur in presenza di tutti i requisiti, a chi si rifiuta di stringere la mano al legale rappresentante dello Stato. La motivazione fornita dai proponenti? «Per essere danesi bisogna essere preparati a salutare gentilmente e con decenza le persone, e ciò in Danimarca significa stringere la mano», sostiene il responsabile immigrazione del Partito Popolare Danese Martin Henriksen, che la ritiene anche un segno di rispetto dei valori fondanti della Danimarca e di rispetto nei confronti dei rappresentanti del Governo.

Ad essere maggiormente penalizzati da ciò sarebbero i richiedenti di religione islamica: in alcuni rami della cultura musulmana è imposto l’uso di salutare portando una mano sul cuore, ed è altresì vietato alle donne di avere contatti fisici con uomini che non facciano parte della propria famiglia.

Mentre la proposta, che ha avuto origine da casi simili registratisi in Svizzera ma ha trovato invece riscontri negativi nei tribunali svedesi per discriminazioni in ambito di assunzioni lavorative, da mesi tiene banco nel dibattito politico in Danimarca, è giusto valutare di quanto supporto godano attualmente i partiti che, a ben vedere, si possono definire anti-immigrazionisti, grazie ai dati raccolti da Poll of Polls.

I partiti della Danimarca: tra consensi e alleanze

Il Dansk Folkeparti, cioè il Partito Popolare Danese, è attualmente affiliato al gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei. Dopo essere stati stabilmente intorno al 17% dei consensi, la tendenza iniziale del 2019 li vede assestarsi intorno ad un 15%. Il Konservative Folkeparti, cioè il Partito Popolare Conservatore, attualmente affiliato al gruppo del Partito Popolare Europeo, naviga abbastanza stabilmente intorno al 4%. Liberal Alliance, partito costituito nel 2015 e senza alcuna affiliazione a gruppi europei, è attualmente al 5% dei consensi.

Con un totale attuale stimato al 24%, il “blocco di destranon ha le forze per governare da solo: potrebbe limitarsi a supportare esternamente, come già avviene adesso, un governo di minoranza dei liberali del Venstre (in italiano “Sinistra”, ma di eurogruppo ALDE), al 18% con una tendenza di lenta crescita, ma i numeri potrebbero non essere sufficienti.

A sinistra, i Socialdemocratici (eurogruppo S&D) sono in crescita al 28%, i Rosso-Verdi (eurogruppo GUE/NGL) sono stabilmente al 9%, il Partito Popolare Socialista (eurogruppo Verdi/EFA) è in lenta crescita al 6%.

I blocchi fin qui sarebbero in una situazione di sostanziale parità, ma con un 7% per la Sinistra Radicale (eurogruppo ALDE), un 4% per Alternativet (non affiliati di tendenza verde), e un 2% per la Nuova Destra (non affiliati di tendenza di conservatorismo nazionale), un nuovo governo di minoranza liberale supportato da tutti i partiti delle varie anime della destra è possibile, con un totale del 52% contro il 48% delle sinistre.

Il divario minimo delle elezioni del 2015 sarebbe dunque confermato: in Danimarca il partito più votato, e di gran lunga, sarebbe di sinistra, ma grazie al sistema proporzionale il governo potrebbe essere di destra.

Una destra, però, dalle personalità multiple, o xenofoba solo con chi vuole: se come abbiamo detto prima è tendenzialmente islamofobica, ed è disposta ad abbassare da 56mila a 44mila euro la soglia di reddito minima per ottenere un permesso di lavoro ai cittadini provenienti da Cina, India, Stati Uniti, Russia, Australia, Singapore, Canada, Brasile, Giappone, Messico, Thailandia e Malesia, è anche disposta ad agevolare e dare criteri più trasparenti, insieme alla sinistra, per i ricongiungimenti familiari di bambini che arrivano in Danimarca per rimanere.

Tutto quello che è necessario operare, in conclusione, perché non ci siano più immigrati musulmani, ormai sgraditi, all’ombra della Sirenetta.

Simone Moricca

Immagine di copertina: Maurizio Rellini, © SIME

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