Cina: l'emblema della violazione dei diritti umani
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In Cina non si arrestano le feroci repressioni dei diritti umani.

Il tribunale della provincia di Shandong ha condannato gli attivisti Xu Zhiyong e Ding Jiaxi – membri del Movimento dei nuovi cittadini, una rete fondata da Xu nel 2012 per denunciare la corruzione del governo – a 14 e 12 anni di carcere.

Era il dicembre del 2019 quando i due presero parte ad un incontro informale nella città di Xiamen durante il quale discussero della situazione della società civile nel Paese. Dopo poche settimane, la polizia aveva già cominciato a convocare o trattenere i partecipanti di quell’incontro. Ding è stato tenuto in “sorveglianza residenziale in un luogo designato” per più di un anno dopo essere stato portato via. Xu, già noto alle forze dell’ordine perché arrestato nel 2013 e incarcerato per quattro anni per “aver radunato folle per disturbare l’ordine pubblico” e aver chiesto il diritto all’istruzione dei bambini provenienti da famiglie migranti, era invece riuscito a trovare rifugio fino a quando nel febbraio 2020 tornò a far sentire la propria voce criticando la gestione dell’emergenza Covid-19 da parte del presidente Xi Jinping. Il 15 febbraio, mentre si trovava a casa di un collega attivista, anche Xu è stato catturato e detenuto in “sorveglianza residenziale in un luogo designato“. Entrambi gli uomini sono stati sottoposti a torture e maltrattamenti durante la detenzione, a lunghe ore di interrogatorio, legati alla “sedia della tigre” di ferro con gli arti contorti per più di 10 ore al giorno per molti giorni. Questo trattamento disumano viola il divieto di tortura e altri maltrattamenti ai sensi del diritto internazionale sui diritti umani. Le autorità cinesi hanno indagato sul caso di Xu e Ding fino al 20 gennaio 2021, dopodiché sono stati accusati di organizzare, pianificare e attuare la “sovversione del potere statale“.

Prisons and corruption in China.
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In risposta alle atroci pene detentive inflitte ai due, il ricercatore cinese di Amnesty International Alkan Akad ha dichiarato: «La vergognosa condanna dei difensori cinesi dei diritti umani Xu Zhiyong e Ding Jiaxi è una palese violazione dei loro diritti alla libertà di espressione e di riunione. Dovrebbero essere rilasciati immediatamente e senza condizioni. (…) Nessuno dovrebbe essere incarcerato semplicemente per aver partecipato a un incontro pacifico. (…) Queste condanne mettono a nudo la situazione sempre più terribile per i difensori dei diritti umani in tutta la Cina sotto l’amministrazione del presidente Xi Jinping».

Già in passato Amnesty International aveva sollecitato il governo cinese a rilasciare l’ex avvocatessa, poi attivista, Zhang Zhan, condannata a quattro anni di carcere nel dicembre 2020 per aver indagato anch’essa sulla pandemia scoppiata nella città di Wuhan ed aver “seminato discordia e causato problemi“. Zhan, in sciopero della fame dal giugno 2020, nei mesi a seguire è stata forzatamente alimentata e tenuta incatenata affinché non potesse rimuovere la sonda per l’alimentazione. Al processo, non potendo stare in piedi per la debolezza, è arrivata su una sedia a rotelle. A causa della gravità delle sue condizioni di salute, è stata ricoverata in ospedale per poi ritornare in carcere dove ha proseguito la sua protesta rischiando la morte.

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Con il presidente Xi Jinping, gli episodi di tolleranza zero sono andati via via aumentando: è stato ridotto lo spazio per i diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender, e delle donne; la disuguaglianza ha portato alcuni giovani a sostenere una forma di resistenza passiva nota come “tang ping” (rinuncia al consumo e lavoro umiliante) che il governo ha chiaramente condannato; la libertà accademica è stata ridotta ai minimi termini; attivisti pro-democrazia sono stati arrestati e detenuti; per la prima volta la polizia ha censurato Internet bloccando i siti web, in particolare l’accesso a HKChronicles.com, un sito che documenta gli abusi della polizia ma che aveva anche rivelato informazioni personali sugli agenti di polizia. La Cina, però, nega tutte le accuse di violazioni dei diritti umani.

Dinanzi ad una simile realtà, nel 2022 Amnesty International ha lanciato una campagna attraverso cui chiede l’adozione di un Trattato che vieti la produzione e il commercio di equipaggiamenti per le forze di sicurezza atti a commettere violazioni dei diritti umani e che sottoponga a controlli quelli usati per compiere torture o altri maltrattamenti. Chiede inoltre che le istituzioni che dovrebbero proteggere i diritti siano rafforzati, e a tal proposito la prima cosa da fare sarebbe finanziare i meccanismi sui diritti umani delle Nazioni Unite in modo che le indagini e l’accertamento delle responsabilità proseguano e si arrivi alla giustizia. Infine, chiede una riforma del massimo organo decisionale delle Nazioni Unite, il Consiglio di sicurezza, in modo che possa essere la voce degli stati e delle situazioni ignorate, perché «se la Cina non è in grado, o manca di volontà, per proteggere coloro che si trovano sotto la sua giurisdizione, è dunque un dovere della Comunità Internazionale intervenire per garantire il rispetto dei diritti umani e prevenirne serie violazioni.» Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, aggiunge: «Quando vengono commessi dei crimini contro l’umanità, la comunità internazionale ha il dovere di reagire con risolutezza, senza paura o favoritismi. Il fatto che uno stato come la Cina sia potente e faccia di tutto per spaventare chi lo critica non è motivo sufficiente per sottrarlo ai meccanismi della giustizia internazionale

Raised arms and clenched fists on the background of the flag of china.
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Ma in Cina è il concetto stesso di “universale” ad essere messo in discussione. Difatti nel 1993, sottoscrivendo la Dichiarazione di Bangkok, diversi Paesi asiatici presero le distanze dalla tendenza universalista emersa alla Conferenza mondiale sui diritti umani, convinti che questi ultimi debbano essere valutati sulla base dei background storici, politici, religiosi, culturali e sociali. Non è quindi ammissibile parlare di diritti umani universali né, di conseguenza, accusare un Paese ed il suo governo di crimini contro l’umanità se non si condivide la medesima idea di giustizia.

Come risolvere allora il problema?

Aurora Molinari

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