“Ripartire dai territori”: è la frase diventata ormai un caposaldo nei discorsi di (quasi) tutte le forze politiche italiane a cui molto spesso segue il nulla totale. Nessun progetto a lungo termine, nessun piano di svolta economica, sociale e/o ambientale che possa donare di nuovo speranza ai residenti che li popolano e che non vogliono o non possono andare via. I singoli territori, specialmente se siti in quei luoghi denominati aree interne, sono sempre più abbandonati al proprio destino, zone in cui la politica locale riesce a malapena a soddisfare l’ordinaria amministrazione, in cui le iniziative in materie di indirizzo politico sono diventata cosa rara. Ripartire dai territori, rilanciare le aree rurali, si, ma come? Come ridare vita a intere aree quasi totalmente annichilite dall’incapacità amministrativa locale e non, rispettando al contempo gli obiettivi di sviluppo sostenibile? In tali contesti i biodistretti possono rappresentare una valida risposta utile al rilancio green delle suddette zone.
Biodistretti: cosa sono e come funzionano
«Un’area geografica naturalmente vocata al biologico nella quale i diversi attori del territorio stringono un accordo per la gestione sostenibile delle risorse, puntando su produzioni biologiche che coinvolgono tutti gli anelli delle filiere fino al consumo». Le parole con le quali AIAB, l’Associazione Italiana Agricoltura Biologica, espone il concetto di biodistretto contengono al loro interno la strategia chiave che è, o quantomeno dovrebbe essere, alla base di tutti i progetti atti alla rivalorizzazione di quelle aree rurali maggiormente martoriate dalla crisi economica-sociale: la stretta collaborazione tra cittadini. Agricoltori, operatori turistici, amministrazioni locali, associazioni e privati cittadini: in un distretto biologico la sinergia tra persone risulta essere essenziale, un elemento senza il quale nessun piano di sviluppo sostenibile risulterebbe essere efficace.
Contro l’abbandono delle aree rurali, contro le difficoltà economiche, contro il disfacimento ambientale, nei biodistretti gli agricoltori biologici rappresentano il fulcro trainante dei territori. Secondo AIAB sono tre i pilastri su cui è possibile costruire un distretto biologico:
- dare estrema importanza alle filiere biologiche e integrarle alle altre filiere connesse quali turismo e/o artigianato;
- creare un solido rapporto tra agricoltori biologici e amministrazioni locali. Queste ultime hanno il dovere di utilizzare gli strumenti amministrativi per studiare e operare sulle priorità dei territori, facilitando in tal maniera il lavoro degli agricoltori;
- sensibilizzare e coinvolgere i privati cittadini e le associazioni nella gestione del territorio.
Ripartire dallo sviluppo sostenibile delle aree rurali
Con la costituzione del Ministero della transizione ecologica, guidato dal neo ministro Roberto Cingolani, l’Italia si avvia verso un vero processo d’innovazione finora oggetto di tristi campagne elettorali basate sul greenwashing. Nel suo primo intervento da ministro Cingolani ha affermato che le città dovranno essere un laboratorio strategico per la crescita sostenibile, la transizione ecologica e luogo di azioni climatiche. Gli agglomerati urbani avranno quindi un ruolo fondamentale nella rivoluzione ecologica del Paese poiché «Le città attraggono talenti e investimenti, la concentrazione di persone favorisce una più rapida diffusione della conoscenza e un più alto tasso di innovazione e stimola lo sviluppo di infrastrutture intelligenti e digitali».
Con più della metà della popolazione mondiale che vive nelle città, le aree rurali cadono sempre più nel dimenticatoio di una politica che, almeno in Italia, sembra non credere abbastanza in uno sviluppo sostenibile che parta dalle campagne. Eppure le stime parlano chiaro: secondo Coldiretti nel solo 2020 si è registrato un aumento del 14% del numero di giovani imprenditori in agricoltura. Numeri confermati da Confcommercio che segnala l’abbandono di attività produttive quali commercio e industria da parte degli under 35 a favore di una ritorno alla terra.
Se è vero che le città offrono maggiori possibilità nel presente, sarebbe utile fermarsi a riflettere su tali cifre. Attraverso una efficace strategia di sviluppo sostenibile, le aree rurali potrebbero invertire l’attuale tendenza: da zone d’abbandono a territori capaci di offrire benessere economico, sociale e ambientale. A tal proposito i biodistretti si inseriscono alla perfezione nei piani di rilancio sostenibile delle suddette aree e, conseguentemente, nella strategia di transizione ecologica dell’Italia, Paese capofila in Europa per numero di distretti biologici. Oltre l’aumento del benessere della popolazione locale e della domanda occupazionale e l’accrescimento del grado di utilizzo del capitale territoriale, i distretti biologici possono essere una vera e propria arma contro l’emigrazione giovanile, primo fattore di crisi sociale di tali territori. La rivoluzione verde passa quindi anche dalle aree rurali, dai giovani che non vogliono abbandonarle e da quelli che desidererebbero tornarci e i biodistretti possono essere la risorsa in più per una dolce transizione ecologica, l’asso nella manica utile per “ripartire dai territori”.
Marco Pisano