Illuminismo
Fonte: caffebook.it

Quando nel 1778 Voltaire rientrò stabilmente a Parigi dall’ultimo dei suoi esili, dopo ventotto anni di assenza e ormai anziano, ricevette dalle masse popolari un’accoglienza fuori da ogni standard: le sue idee e la sua sterminata produzione letteraria avevano contribuito in maniera decisiva alla crescita e allo sviluppo dell’Illuminismo: un movimento culturale e politico volto a contrastare e sovvertire i princìpi di intolleranza, oscurantismo e dogmatismo su cui si fondava la società francese dell’epoca.

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Voltaire in un ritratto del ‘700 Fonte:caffebook.it

Quella in cui nacque Voltaire nel 1694 era la Francia di Luigi XIV, il Re Sole. Una Francia in cui non c’erano né libertà di parola né di stampa. Una Francia retta su un conservatorismo bigotto, perpetuato sia dal monarca che dalla Chiesa cattolica, più che mai impegnata a reprimere l’espansione dei nuovi orientamenti religiosi e morali in fermento all’epoca.

Fu dunque questo clima autoritario e forzatamente statico a generare la sensazione di soffocamento intellettuale alla base dell’Illuminismo. Le più grandi menti del periodo sentirono l’esigenza di dar vita a un nuovo modo di intendere la società, che attribuisse maggiore importanza all’individuo e alla sua capacità di ragionare e concepire la realtà in maniera finalmente attiva, critica e diretta, anziché attenersi a tradizioni e dogmi imposti dall’alto.  Dopo la morte di Luigi XIV, nel 1715, era tempo di cambiamento: presero forma e si diffusero così i primi articoli di protesta di Voltaire che lo portarono presto a scontrarsi coi piani più alti della società e subire le prime condanne all’esilio.

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Isaac Newton Fonte: bahcall.com

In realtà, le idee dei primi illuministi, per quanto innovative e inedite in terra francese, si basavano su concetti già presenti e liberi di circolare incensurati da quasi mezzo secolo in Inghilterra, dove c’era una monarchia non assoluta, un Parlamento con potere effettivo, libertà di stampa e almeno trenta religioni praticate liberamente. Quando le teorie degli inglesi Bacone, Locke, Newton, ma anche quelle dell’italiano Galileo Galilei, riuscirono a trapelare in Francia, nonostante le censure di Chiesa e governo, esse lasciarono letteralmente affascinati i primi illuministi.

In particolare Voltaire, grazie proprio a uno degli esili che gli furono imposti, tra il 1726 e il 1729 ebbe l’occasione di vivere in Inghilterra e di osservare da vicino la società che tanto lo incuriosiva, fornendone un entusiasta resoconto tramite le sue Lettere filosofiche, pubblicate in Francia nel 1734, dopo le quali venne nuovamente allontanato da Parigi. Nelle sue Lettere Voltaire elogia la tolleranza come unica via verso la felicità e la pluralità delle religioni e dei poteri come antidoto a qualsiasi forma di dispotismo. Studiando le teorie di Isaac Newton rimase inoltre colpito dal suo metodo scientifico, basato su una concezione meccanicistica della natura e sulla convinzione che essa sia governata da semplici princìpi causa-effetto osservabili e dimostrabili. Sempre dallo scienziato inglese adottò una visione lontana dalle cosiddette religioni “rivelate”, ossia quei sistemi di riti e regole morali imposti dall’alto e non legittimate dalla ragione, e sposò invece una concezione deistica della realtà, ammettendo l’esistenza di una divinità esterna che regolasse il mondo, ma partendo dal presupposto che tutto ciò che esiste in natura sia regolato da leggi razionalmente dimostrabili dalla scienza.

Nacque quindi una forte volontà di riappropriarsi della realtà intorno a sé e di individuare i princìpi che la determinano, azzerando le influenze della teologia nei procedimenti scientifici. Grandi intellettuali votati alla fisica e alla biologia accolsero quindi con entusiasmo l’approccio dei philosophes e iniziarono a collaborare con loro con l’intento di classificare la natura e le specie viventi. Fu così che tra il 1751 e il 1780 vennero pubblicati i ventotto volumi dell’immensa Encyclopedie, curata da Denis Diderot e Jean-Baptiste d’Alembert, considerabile come l’opera simbolo del Secolo dei Lumi. L’intento del progetto fu quello di creare una scienza nuova che revisionasse in maniera critica tutta la storia della natura mettendo per la prima volta l’uomo al centro dell’indagine.

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La copertina della grande Enciclopedia di Diderot e d’Alembert

Diderot e d’Alembert si servirono dell’aiuto di quasi quattromila scienziati e pensatori a loro vicini, fra i quali nomi importanti dell’Illuminismo come Rousseau, Montesquieu, La Mettrie, Buffon. Quest’ultimo, Georges-Louis Leclerc de Buffon, negli stessi anni divenne il punto di riferimento scientifico del continente grazie alla sua Histoire naturelle, générale et particulière, un’opera vastissima che ruppe definitivamente il legame fra teologia e scienza e che, insieme ad altre classificazioni delle specie fatte in quel periodo da altri scienziati, finalmente ripudiava ogni tipo di strumentalizzazione di se stessa per pratiche di dominio coloniale. Tutto ciò, unito al mito del “buon selvaggio” proposto da Rousseau e Diderot e alla teoria del monogenismo sostenuta nell’Encyclopédie, contribuì a sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo la schiavitù e a relativizzare e ridimensionare il punto di vista occidentale.

Ma il Secolo dei Lumi non riguardò soltanto Inghilterra e Francia. La cultura illuministica si diffuse gradualmente in altre aree d’Europa, come in Prussia, dove re Federico II realizzò un Illuminismo di corte, riservato alla nobiltà a lui più vicina, e divenne famoso per le sue fitte corrispondenze con tutti i più grandi protagonisti del movimento, specialmente Voltaire, che si trattenne addirittura per tre anni alla sua corte (1750-1753). Federico II tuttavia permise l’utilizzo soltanto della lingua francese nei dibattiti filosofici che animavano la sua corte, in modo da assicurarsi che il popolo ne rimanesse escluso, a differenza di ciò che accadde in Francia, dove il popolo poté fin da subito accedere alle opere illuministe e generare autonomamente dentro di sé la presa di coscienza e la sete di riscatto che portarono alla grande Rivoluzione Francese del 1789.

Le pretese di Federico II comunque non evitarono che verso metà ‘700, intellettuali prussiani come Lessing, Nicolai e Mendelsson divenissero capostipiti di una nuova «filosofia popolare», diffusa, come in Francia, nella lingua del popolo, e quindi accessibile a tutti. Sempre in terra prussiana, infine, maturò il culmine filosofico del Secolo dei Lumi, raggiunto tra il 1781 e il 1795 da Immanuel Kant. Nato nel 1724, il tedesco ebbe modo di studiare approfonditamente le opere di tutti i più grandi illuministi della generazione prima di lui, e di riassumere e aggiornare nelle sue opere tutti i punti salienti della corrente, spaziando in ogni campo possibile del sapere e facendo un salto di qualità definitivo per la corrente illuminista grazie al criticismo, ossia un approccio che rifiutasse con decisione qualsiasi dogma  o verità a priori, comprese perciò (paradossalmente) le stesse teorie illuministe, che non possono portare a un reale «risveglio» della ragione qualora esse venissero assorbite in maniera acritica, poiché c’è conoscenza soltanto laddove c’è esperienza diretta e sensibile. Da qui deriva anche il suo scetticismo verso rivolte e rivoluzioni, in grado senz’altro di generare cambiamenti positivi nella società, ma da non considerarsi come soluzioni vere e proprie, poiché la vera rivoluzione deve avvenire negli individui che si mettono al servizio della comunità, e un tale risveglio collettivo non può che avere tempi lunghi.

Immanuel Kant in un ritratto del ‘700 Fonte:scepticalmind.com

Nel suo saggio del 1784 Risposta alla domanda: Che cos’è l’Illuminismo? Kant riuscì inoltre a dare la definizione di Illuminismo che oggi è da molti considerata la più precisa, descrivendolo come «L’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro». 

Rifiuto assoluto, dunque, di qualunque sorta di formula o canone precostituito, che liberi il campo per un uso attivo e critico della ragione. Non ci sono profeti da seguire o testi sacri a cui rifarsi. Seguire i princìpi illuministi non significa schierarsi politicamente per una o per l’altra parte, né tantomeno fare propri gli ideali di qualcuno al di fuori di sé. A dimostrazione di ciò, quelli che oggi consideriamo esponenti principali del movimento illuminista, avevano opinioni contrastanti, anche su tematiche rilevanti. Voltaire, ad esempio, come Kant, riponeva scarsa fiducia in un “risveglio” collettivo in tempi brevi e per questo sostenne fino alla morte che in Francia una monarchia costituzionale sulla falsa riga di quella inglese fosse la soluzione migliore fra tutte. Non arrivò quindi mai ad appoggiare idee repubblicane o democratiche, a differenza di altri illuministi come Rousseau, che invece credevano fermamente in una diretta sovranità popolare, oppure Montesquieu, che propose una democrazia rappresentativa a poteri separati.

Fonte:eroicafenice.com

Essere illuministi significava (e significa) quindi riconoscere dentro di sé la capacità di interpretare la realtà e di determinarla in maniera attiva, qualsiasi fossero le proprie opinioni in materia. Questo è il grande lascito che il Settecento ha fatto all’umanità: un immenso focolaio di nuove idee e un unico approccio alla vita pubblica, fatto di tolleranza, apertura mentale e confronto libero.

Daniele Benussi

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