Tre le varie colpe della giovane cooperante italiana Silvia Romano, il peccato originale resta comunque il suo essere donna, il non aver soddisfatto le aspettative riposte in lei dalla società, nel momento in cui, nascendo, l’ostetrica ha annunciato a gran voce “È una bambina”.
Tra stereotipi proposti e riproposti e sessismo sul web, i leoni da tastiera non si sono risparmiati neanche questa volta e hanno acclamato il ritorno in patria della giovane donna a suon di critiche, insulti e quanto ci è costata?
Stereotipi, sessismo, pregiudizi. Sono storielle che non convincono più. È tempo di Rinascimento.
Nessuno si è mai chiesto quanto costi a noi vivere in una società che guarda gli individui con occhio matematico e fermo, proponendo una geometria di figure e stereotipi contrapposte alle infinite possibilità d’essere di ognuno?
I ruoli prestabiliti e il rifiuto di conformare la propria persona a questi canoni indiscutibili sono quello che garantisce agli opinionisti occasionali sempre un posto a tavola per esprimere opinioni mai richieste e critiche.
Che si tratti di donne che poggiano il piede fuori dallo spazio concesso o di uomini che indossano un maglioncino rosa.
Si consideri il patriarcato come una macchina sociale, dove ogni individuo deve fare la sua parte per garantirne il funzionamento. Ogni ingranaggio si impegna a far muovere per il verso giusto i suoi meccanismi sinistri, alimentando gli stereotipi e servendo il relativo comportamento adeguato. Queste maschere dovrebbero coincidere con l’identità del singolo, un’identità di dominio pubblico, stabilita a tavolino dai promotori di un sistema binario che annienta le varianti (o concede gentilmente una posizione subalterna) e legittima relazioni di potere basate su differenze biologiche, che in qualche modo condizionano il valore del singolo.
Quello che ci si aspetta da una donna non è difficile da intuire, l’altra metà del cielo deve pur occupare un ruolo nella società, con cura stabilita dalla mano invisibile del patriarcato che trova i metodi più insidiosi per continuare a dettare le regole.
Il solo considerare la donna come alterità rispetto alla norma che è uomo, la pone in una posizione subalterna, privandola del pieno titolo di individuo, smascherando la gerarchia segreta che è presente in ogni cultura fondata sul binarismo.
Ad una donna è concesso di stare al mondo, ma solo se segue delle regole, altrimenti è “una sconsiderata”, “questo non è un comportamento adeguando per una signorina”, “ tanto se l’è cercata”.
I classici stereotipi legati alla figura femminile
Almeno è bella? – La bellezza è massima aspirazione da un lato, e dovere dall’altro.
Sia chiaro però: ciò che è bello lo stabiliscono sempre gli uomini che contano al tavolo delle trattative. Il conduttore serio e austero non lo si lascia solo senza una bella presenza accanto. La donna è la regina della casa, non saprà gestire il denaro al meglio, ma nessuno la batte in cucina. Lo sanno tutti che una vera donna è madre. Le donne hanno un’inclinazione a prendersi cura degli altri, avete presente?
Antonella Veltri, presidente di D.i.Re – Donne in rete contro la violenza, con riferimento alla task force “Donne per un nuovo Rinascimento“, promossa dalla ministra della Famiglia e delle Pari Opportunità, Elena Bonetti, afferma:
«Continua la mancanza di una trasversale e indispensabile visione di genere in una politica che avrebbe dovuto segnare un punto di svolta, un cambiamento radicale e che invece ripropone stereotipi e luoghi comuni. Altro che Rinascimento. Grave non aver incluso nell’analisi la violenza maschile contro le donne, perché è proprio negli stereotipi e nella perdurante disparità di genere che la violenza affonda le sue radici, al punto da poter essere considerata quasi un termometro sociale della condizione femminile.
Il documento, poi, si articola intorno a un unico modello di donna, la madre di famiglia, disconoscendo la diversità e la libertà di scelta che dovrebbe stare alla base della vita di tutte le donne. E da questo Rinascimento restano fuori le migliaia di donne straniere che vivono nel nostro paese».
C’è un’abitudine latente che giustifica il proprio agire con il solito ‘è sempre stato così‘.
Soltanto perché la società si è sempre mossa verso una direzione, non vuol dire che sia quella giusta. Se i cambiamenti spaventano, le nuove consapevolezze sono quelle che creano una nuova coscienza che si muove in una direzione ostinata e contraria, come cantava De Andrè, che tutela tutti gli individui e garantisce loro possibilità d’essere.
In un report Istat del 2019, dal titolo “Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale“, emerge che:
«Gli stereotipi sui ruoli di genere più comuni sono: “per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro” (32,5%), “gli uomini sono meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche” (31,5%), “è l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche della famiglia” (27,9%). Quello meno diffuso è “spetta all’uomo prendere le decisioni più importanti riguardanti la famiglia” (8,8%)».
A gennaio 2020, il GREVIO – Gruppo di esperte sulla violenza contro le donne del Consiglio d’Europa notava come “nonostante alcune misure prese dal governo per sradicare pregiudizi e atteggiamenti che contribuiscono alla disuguaglianza di genere e alimentano la violenza contro le donne, il perdurare di stereotipi negativi nei confronti delle donne in Italia è molto preoccupante”. Ribadiva, in sostanza, quanto già sottolineato dal Comitato CEDAW nel monitoraggio della Convenzione di Instanbul per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW nell’acronimo inglese), cioè la presenza in Italia “di stereotipi radicati riguardo ai ruoli di genere maschili e femminili che confinano le donne nel ruolo di madri e casalinghe, con un impatto negativo sul loro status sociale e sulle opportunità di studio e lavoro”.
L’altra faccia della medaglia: il Sessismo
Il sessismo è l’altra faccia della medaglia, quello che dà man forte agli stereotipi, garantendo un comportamento diverso nei confronti dell’individuo in base al genere.
Ciò che Treccani definisce Sessismo è un “termine coniato nell’ambito dei movimenti femministi degli anni Sessanta del Novecento per indicare l’atteggiamento di chi (uomo o donna) tende a giustificare, promuovere o difendere l’idea dell’inferiorità del sesso femminile rispetto a quello maschile e la conseguente discriminazione operata nei confronti delle donne in campo sociopolitico, culturale, professionale, o semplicemente interpersonale; anche, con sign. più generale, tendenza a discriminare qualcuno in base al sesso di appartenenza“.
Pare, dunque, che ad una donna sia concesso di prenderla sul personale in alcuni casi. Atteggiamenti sessisti possono essere svelati nelle azioni di tutti giorni e in quei comportamenti che, in qualche modo, diventano automatici e non passano per uno sguardo critico che ne scovi le ragioni e le origini.
Se immaginiamo il mondo dell’infanzia, subito figura l’immagine della maestra circondata dai suoi bambini. Perché non un maestro?
La parola “ministro” è una parola italiana, esattamente come ministra, eppure, quando si parla di donne che occupano questo ruolo nella società, alcuni sentono la necessità di utilizzare la stessa parola col genere maschile, per evitare di perdere autorevolezza nel declinare al femminile una carica così importante.
«Non ha senso parlare di rinascimento delle donne quando si continua a riferirsi a loro usando un linguaggio maschile più che obsoleto, nonostante il documento inviti proprio a modificare il linguaggio», fa notare Cinzia Marroccoli, consigliera di D.i.Re per la Basilicata.
«Continuare a declinare le professioni al maschile vuole dire essere lontane da quel punto di vista di genere che continuiamo a chiedere per le donne delle istituzioni, vuol dire che se da un lato si parla di rinascimento delle donne, dall’altro si è ancora dentro una cultura patriarcale per la quale il maschile continua a essere la norma. Questo “rinascimento” non c’interessa come tutte le operazioni di facciata» – conclude Marroccoli.
Bisogna cominciare a guardare la realtà di tutti i giorni con occhi diversi, che siano in grado, maturata una nuova consapevolezza, di riconoscere e smascherare i meccanismi ingiusti che la regolano.
La società patriarcale è alimentata da stereotipi e rafforzata da un sessismo mascherato da buone intenzioni. Il primo passo è acquisire una nuova consapevolezza e cominciare a costruire un futuro più giusto che non limiti più l’individuo ad una forma statica, ma che garantisca l’assenza di questi confini.
Giuseppina Pirozzi