Influencer politica like social
Fonte: washingtonpost.com

La politica e i social nella società contemporanea convivono ormai nello stesso spazio e sono dipendenti l’una dagli altri. Non potremmo immaginare un politico veramente riconoscibile che non abbia almeno una pagina ufficiale Facebook, né potremmo immaginare i social senza che sulle nostre timeline compaiano dichiarazioni, dirette, post e meme di o su esponenti politici. Lo spazio social è anche quello all’interno del quale nasce la figura dell’influencer, una figura tipica dell’area del marketing di influenza, quel settore che pone la sua attenzione sull’individuazione di persone influenti all’interno di un mercato commerciale che possano, attraverso la loro esperienza, modificarne i consumi. Un influencer viene riconosciuto come tale sulla base della quantità e della qualità delle sue interazioni, sul numero dei suoi follower e dei like che colleziona sotto ai propri post.

Ci sono aziende che basano le proprie strategie commerciali proprio sulla figura degli influencer, su quei soggetti che nei social hanno un numero considerevole di follower e di like tali per cui è fruttuoso investire su di loro per sfruttarne la visibilità.

Un influencer può essere fondamentale non solo per campagne commerciali, ma anche per campagne di comunicazione di pubblica utilità, su alcuni temi come la ricerca, la prevenzione o altri temi particolari. È il caso di Camihawke, nome in codice di Camilla Boniardi, che sfruttando il suo milione di follower su Instagram ha dato notorietà alla campagna #noigstorieswhiledriving per sensibilizzare tutti gli utenti di Instagram a non fare stories mentre si è alla guida.

L’influencer, però, al di là di ogni tipo di ruolo strategico, è innanzitutto un soggetto che per le sue particolari doti comunicative, per il fatto che venga reputato bravo in quello che fa o semplicemente perché simpatico, intelligente o in certi casi anche buffo, è in grado di attrarre la fiducia dei propri follower e richiamare la loro attenzione, elemento non irrilevante nell’ecosistema social.

Nella storia recente, non di rado, si sono verificate circostanze in cui personaggi pubblici che godevano di un certo gradimento sono poi approdati alla politica o, al contrario, che si siano costruiti il proprio gradimento perché al centro di una grande attenzione mediatica che ha avvantaggiato il loro ingresso in politica. Gli esempi più famosi sono quelli di Beppe Grillo, che dai palchi dei suoi spettacoli gridava contro le élite, o del presidente americano Donald Trump, che oltre a essere un noto imprenditore era anche il protagonista dello show TV The Apprentice.

Per capire il fenomeno occorre però fare un passo indietro e parlare dapprima del rapporto tra politica e TV e poi di quello tra politica, social network e like.

La Politica e la TV

La politica, come detto, si lega sempre più ai social, ma prima di essi si è legata irrimediabilmente alla logica della spettacolarità tipica dello spazio televisivo. Il primo dibattito televisivo presidenziale risale al 1960 quando, negli Stati Uniti, un giovane Kennedy sfidava il rigido Nixon. Avviene invece nel 1994 il primo dibattito televisivo della televisione italiana: quello tra Berlusconi e Occhetto condotto da Enrico Mentana, che delle sue maratone elettorali ha fatto un genere cult.

La logica della spettacolarità e quella della politica, soprattutto nella sua dimensione elettorale, condividono sicuramente alcuni elementi. I programmi televisivi nascono sulla base di un “impacchettamento” della realtà, sulla scrittura di una narrazione, una scaletta, costruita con palchi, luci e jingle, operazioni tutte che mirano a un preciso obiettivo: lo share, il gradimento. La politica mira a raccogliere consenso, la fiducia dei propri elettori e si serve anche di logiche di miglioramento estetico, che però, a differenza della TV e degli influencer, poco dovrebbero ottenere in termini di voti in assenza di una sostanza. La politica fa uso anch’essa di immagini che possano non solo attirare l’attenzione, ma essere ricordate dal proprio elettorato attraverso l’uso di colori riconoscibili, slogan e molto spesso jingle o remix (date le ultime tendenze).

La politica, i social e i like

Se la politica e la TV condividono delle logiche che si influenzano a vicenda, c’è una cosa che i politici possono fare nello spazio social: parlare ai propri elettori quando e dove vogliono, dire quasi ciò vogliono a chi vuole ascoltarli, senza contraddittorio, senza dover rispettare le regole, i temi e i linguaggi del piccolo schermo. Attraverso i social, i politici possono rivolgersi direttamente al proprio pubblico e non hanno bisogno di alcuna mediazione. Nello spazio social i politici riescono a rendersi conto in tempo reale, grazie al numero di like e di reaction, “come stanno andando”.

Tutto ciò comporta un’inevitabile libertà espressiva del politico che, nel bene e nel male, racconta se stesso e il suo modo di fare politica, differenziando le strategie e mostrandosi, a seconda dei momenti, più istituzionale o più umano, sfruttando la logica del senso comune per cui l’equazione un like=un voto è sempre valida.

Ma le variabili che influenzano le motivazioni elettorali dei cittadini sono in realtà numerose, spesso non prevedibili e non razionali e ridurre la sostanza politica ad un like semplificherebbe di sicuro la vita a molti scienziati politici, ma non descriverebbe ciò che poi succede.

Perché ci fidiamo degli influencer che approdano in politica?

Un caso recente negli Stati Uniti può fornirci un esempio su cui riflettere. È la storia di Juli Briskman, che nel 2017 in Virginia mostrò il dito medio dalla sua bici alle auto nere del corteo presidenziale che sfilavano sulla stessa strada che stava percorrendo. In seguito a quell’episodio Juli, direttore marketing, venne licenziata dalla sua azienda, la Akima LLC (un appaltatore governativo); ma attraverso una raccolta di crowdfunding riuscì a raccogliere 142 mila dollari, ed è ora stata eletta nel seggio del consiglio di supervisori della contea di Loudoun, in Virginia.

La sua fama nasce proprio dai social — anche se non possiamo definirla un’influencer — dove la foto a suo tempo è circolata e diventata virale. Una situazione ad esempio diversa da quella di Beppe Grillo che, già comico conosciuto, ha sfruttato il suo tour teatrale per avvicinare gli italiani stanchi della vecchia politica corrotta ai temi su cui avrebbe poi puntato il M5S.

Juli, al contrario, non era un personaggio pubblico, ma lo è diventata grazie alla libertà di espressione insita nell’infrastruttura dei social, e ci è riuscita perché ha raccontato una storia reale, quella del suo licenziamento e della sua personale opposizione al Presidente non in occasione di una contestazione di massa, ma dietro casa sua, in tuta da jogging.

Assumendo che in politica non basta un like, perché l’equazione un like=un voto non è affatto esaustiva nello spiegare le numerose motivazioni che caratterizzano il comportamento elettorale di un soggetto o la sua militanza, quello che si innesca nel momento in cui un personaggio già noto, ma estraneo alla politica, vi ci entra, è sicuramente un processo di riconoscibilità. Riconoscibilità delle istanze che questi promuovono o nelle situazioni di vita quotidiana, come nel caso della Briskman, in cui numerosi utenti non solo si riconoscevano nel sentimento di dissenso nei confronti del presidente Trump, ma anche nella storia comune di un licenziamento.

Un processo di riconoscibilità che spinge da un lato i politici a mostrare sempre più di sé stessi e dall’altro i cittadini a conoscere e riconoscersi nei propri rappresentanti che attraverso questa logica diventano più familiari, più umani, quasi come “i comuni mortali”.

Tutto ciò descrive un processo che avviene all’interno di uno spazio che pone le sue fondamenta su principi, sicuramente democratici, di interazione e di accessibilità al confronto; ma sono anche da considerare i rischi connessi a tutto ciò: l’eccessiva personalizzazione della politica e la messa in scena, in alcuni casi, dello spettacolo dell’incompetenza.

Sabrina Carnemolla

Studio Comunicazione Pubblica e Politica a Torino dopo la laurea triennale in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali conseguita a Napoli, la mia città. Un po' polemica per natura, nel tempo libero affronto la dura vita di una fuorisede.

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