Fotografe del XX secolo: donne tenaci dietro l'obiettivo fotografico
Fonte: www.theatlantic.com

Della fotografia, al giorno d’oggi, non potremmo farne a meno. Ma ci siamo mai chiesti che valore assume un mezzo espressivo così potente nel momento in cui invade ogni spazio della nostra vita e, con l’esposizione virtuale, la riduce in innumerevoli frammenti? Il secolo scorso ci ha lasciato le opere di fotografe coraggiose che hanno saputo rincorrere e afferrare con la macchina fotografica scene di vita autentica e momenti densi di storia. Il loro contributo è stato fondamentale nella cultura e nella società dell’epoca, e riesce a conservare un’enorme forza di attrazione ancora oggi, davanti a un uomo del ventunesimo secolo abituato a essere bombardato da qualsiasi tipo di immagine.

Si tratta di fotografe che hanno creato con la loro passione scatti mirabili, oscurati il più delle volte da quelli di colleghi dai nomi altisonanti e più famosi. Fotografe che sono partite per zone di guerra e che hanno restituito con la fotografia un pezzo della loro epoca, anche sul versante più intimo. Si pensi a Gerda Taro o a Vivian Maier. La prima delle fotografe menzionate, conosciuta principalmente per il sodalizio con Robert Capa, fu una militante antifascista intraprendente che spese la propria vita nella documentazione dei campi di battaglia; la seconda, importante esponente della street photography, ricercò momenti quotidiani e più raccolti nel mare di gente in cui si tuffava, accompagnata dalla sua fedele Rolleiflex.

Fotografe tra guerra e industria: gli scatti di Margaret Bourke-White

Sin dalle origini, la fotografia ha intessuto relazioni profonde con innumerevoli campi: anche il giornalismo se ne servì abbondantemente, soprattutto per la possibilità di documentare eventi senza eccessivi filtri. Lo sguardo sulla società novecentesca è stato anche femminile, spesso riconoscibile per il livello di originalità delle fotografie. Tra le fotografe che maggiormente hanno scritto la storia della fotografia si deve ricordare Margaret Bourke-White.

La prima copertina di “Life”, il 23 novembre 1936, ritrae la diga di Fort Peck, nel Montana, simbolo del New Deal di Roosevelt. La fotografia comunica tutta l’imponenza dell’opera: lo stile è riconoscibile, ed è tutto femminile. Appartiene infatti a una delle fotografe più iconiche: Margaret Bourke-White, pioniera della fotografia industriale. Innamorata dell’architettura, decide di studiarla da vicino calandosi nei meandri del mondo industriale. La sua ricerca si svolge a doppio filo: da un lato approfondisce tematiche sociali (testimonia insieme al compagno Erskin Caldwell soggetti e vita degli Stati del sud, spesso con ironia e capillare cura dei dettagli), dall’altro documenta guerre e conflitti. Negli anni Quaranta, infatti, è inviata di guerra in Austria, Cecoslovacchia, Germania, e inoltre prima donna americana reporter sulla primissima linea del fronte. Riesce ad entrare nel campo di concentramento di Buchenwald il giorno dopo la liberazione: le espressioni incredule e stanche dei prigionieri vengono per sempre fissate sulla pellicola, dimostrando la grande fermezza della fotografa anche in momenti tragici. Le influenze delle correnti artistiche del Novecento sono ben visibili nelle sue fotografie: dal cubismo all’espressionismo, fino all’astrattismo.

Un occhio sulla vita di tutti i giorni: Vivian Maier

Di tutt’altro taglio è lo sguardo di Vivian Maier, una di quelle fotografe che sono rivalutate e letteralmente scoperte troppo tardi.

Nel 2007 John Maloof mette ordine in una cassetta piena di oggetti usati, funzionale a una sua ricerca su Chicago, e trova dei rullini mai sviluppati: facendo rigorose e pazienti ricerche, porta alla luce un mondo rimasto fin troppo sotterraneo. Numerose le fotografie scattate per le strade, senza necessariamente un preciso filo logico; altrettanto numerosi gli autoritratti. Sono tutte di Vivian Maier.

Lo sguardo da fotografa di Maier si posa su scene molto lontane dai campi di battaglia, dai Paesi occupati e dalle magnificenti opere architettoniche che ritroviamo nelle fotografie di Margaret Bourke-White. L’occhio cade su attimi banali, quotidiani, strappati all’oblio dalla macchina fotografica: persone che si muovono per le strade di Chicago, per lo più. Tra queste persone, spesso, si vede anche la stessa fotografa che, sguardo fisso nello specchio di fronte a lei, si riflette in tutta la sua semplicità.

Tra i soggetti più ricorrenti ci sono bambini che giocano, senzatetto, coppie di innamorati, lavoratori. Scene di ordinaria vita proprio nella città dove ha vissuto. Vivian Maier non si riteneva una fotografa: nella sua macchina fotografica custodiva piccole memorie che poi finirono chiuse in una scatola. Non sapeva nemmeno di essere tra le fotografe antesignane della street photography e una pioniera del modernissimo (abusato) selfie. Nonostante la sua gloria mancata e uno stile molto intimo, anche Vivian Maier ha scritto la storia della fotografia, inconsapevolmente.

Arianna Saggio

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